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Ettore Livini
La grande abbuffata da Pompei a padre Pio appalti solo per pochi
13 Febbraio 2010
Articoli del 2010
“La protezione civile dell’era Bertolaso è una multinazionale che ha gestito in 2 lustri dieci miliardi”.Di euro. La Repubblica, 13 febbraio 2010

MILANO - Emergenza continua. Per L’Aquila - devastata dal terremoto - come per le bufale campane ammalate di brucellosi. Per la drammatica esplosione di un vagone carico di gas alla stazione di Viareggio ma anche per il Congresso europeo delle famiglie numerose o per le regate della Louis Vuitton Cup. La protezione civile dell’era Bertolaso è una multinazionale da 700 dipendenti che nei nove anni sotto la guida del suo potentissimo capo-dipartimento ha cambiato volto e moltiplicato la sua potenza di fuoco. Le catastrofi e le loro conseguenze restano, se così si può dire, il suo core business. Ma un’escalation di ordinanze della presidenza del Consiglio - 330 del Governo Berlusconi dal 2001 al 2006, 46 dell’esecutivo Prodi e più di 250 dal ritorno del Cavaliere a Palazzo Chigi - ha portato sotto il cappello del super-commissario degli appalti tricolori un po’ di tutto: i lavori per mettere in sicurezza gli scavi di Pompei come i festeggiamenti per il quattrocentesimo anniversario della nascita di San Giuseppe da Cupertino, le piscine dei mondiali di Nuoto e persino la riesumazione delle sacre spoglie di Padre Pio.

La fabbrica delle emergenze, vere o presunte, muove soldi. Stanziamenti totali in due lustri: 10 miliardi. Si tratta solo di una stima, visto che solo il 22% delle ordinanze governative quantifica gli stanziamenti pubblici. Denaro speso a pioggia. Senza troppi controlli. Spesso in deroga, in nome della cultura emergenziale, a piani regolatori e a norme di trasparenza degli appalti. Sotto lo scudo spaziale della protezione civile - insieme a opere necessarie come le case de L’Aquila e alle cattedrali nel deserto della Maddalena (327 milioni ad oggi gettati al vento) - sono finite così le iniziative più esotiche: i provvedimenti necessari per sistemare il traffico a Napoli, i rifiuti di Palermo, il via vai di gondole e vaporetti a Venezia, l’anno giubilare paolino, le rotonde per i Mondiali di ciclismo a Varese.

Milioni su milioni capaci di creare autentiche fortune private quasi dal nulla. Prendiamo i bilanci delle società i cui nomi sono emersi nell’inchiesta di Firenze. La Anemone di Grottaferrata - che ha costruito il palazzo delle conferenze per il mancato G8 sardo e alcune piscine per i mondiali - ha visto il suo giro d’affari decollare dai 10 milioni del 2007 ai 37 del 2008 «in forza - spiega la relazione di gestione del gruppo - di appalti della pubblica amministrazione». La fiorentina Giafi del gruppo Carducci, battuta sul filo di lana da una società di Anemone nel maxi appalto da 62 milioni per il Parco della Musica nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni d’Italia (altra pseudo-catastrofe a gestione protezione civile) si è consolata con i lavori per l’albergo ricavato per il G-8 dall’ex ospedale della Maddalena. I suoi ricavi sono raddoppiati in due anni a 88 milioni. E il bilancio racconta bene di chi è il merito: «Il governo in carica - recita testuale - mostra di aver preso coscienza del fatto che bisogna colmare il gap infrastrutturale del paese». Un’emergenza che, come tale, va trattata dalla Protezione civile. Con tutto il decisionismo e la disinvoltura usciti dalle intercettazioni telefoniche di questi giorni. Un boom di entrate (+50% in due anni) hanno realizzato pure la Igit - cui la Bertolaso Spa ha affidato la ristrutturazione dell’aeroporto perugino di Sant’Egidio (25 milioni) e quella (da 58 milioni e secretata) del carcere di Sassari - e la Archea associati, lo studio fiorentino dell’architetto Marco Casamonti, dalle cui telefonate è partita l’inchiesta della magistratura. Proprio l’inchiesta ha cominciato a delineare lo scenario di intrecci tra gli alti burocrati delle opere pubbliche e alcune imprese che sono entrate in un sistema "gelatinoso" come lo ha definito il gip nell’ordinanza: quello che ha assicurato appalti facili e ha permesso di gonfiare i costi dei lavori. La diversificazione ha finito però per drenare un po’ della liquidità destinata alla gestione delle emergenze reali. Bertolaso negli ultimi nove anni ha dovuto occuparsi dei viaggi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, del congresso eucaristico di Osimo e dei giochi del Mediterraneo. I suoi attuatori finali come Angelo Balducci hanno dovuto mettere la firma sotto note spese che con l’affare delle catastrofi naturali, in apparenza, hanno ben poco a vedere. A Pratica di Mare, per realizzare la scenografia un po’ kitsch necessaria al successo del summit Nato-Russia del 2002, la protezione civile ha speso 36 milioni, tra cui 74mila euro per "facchini e trasporto statue", un milione per spuntare a regola d’arte prati e siepi e 42mila euro per i cartelli necessari alla viabilità. Il risultato paradossale è che a furia di emergenze farlocche rischiano di venir meno - complice lo stato dei conti pubblici - i soldi per quelle reali. Bertolaso ha già messo nero su bianco i suoi dubbi. Lo stanziamento per il suo dipartimento nel 2009 è stato "solo" di 1,6 miliardi di euro. «Soldi che non bastano per prevenire e gestire le emergenze del futuro», assicura il bilancio dell’ente, lamentando il taglio del 18% dagli 1,9 miliardi disponibili l’anno precedente. All’orizzonte incombono l’Expo 2015 in odore di commissariamento, le Olimpiadi 2020, il Gran Premio d’Italia di Formula 1 a Roma. Servono nuovi soldi pubblici. Le emergenze d’oro, in Italia, non finiscono mai.

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