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Ida Dominijanni
La grammatica liberale non fa 40
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Poche parole, molto chiare, sulle ragioni per cui l'intolleranza di alcuni articoli della legge 40 è incomprensibile. Da il manifesto del 27 maggio 2005

Il trucco principale del fronte teo-con che il 12 giugno si astiene o vota no consiste nell'aggiungere di tutto e di più alla già intricata materia referendaria. A sentire i suoi esponenti stiamo per votare non su una legge, la sua forma e la sua efficacia, ma: sullo statuto ontologico dell'embrione, sull'invasione delle pecore Dolly, sull'eugenetica, sull'intero catalogo della ricerca scientifica da qui al Tremila e chi più ne ha più ne metta. Va reso merito a Chiara Lalli di aver seguito, nel suo Libertà procreativa (Liguori, prefazione di John Harris, pp. 210, 14 euro), il metodo precisamente inverso: non aggiunge, toglie; non sporca il tema, lo pulisce. Sulla base di un impianto liberale che aiuta a riportare la posta in gioco referendaria ai suoi termini essenziali, anche se qualche volta semplifica troppo i dilemmi, tralasciando le dimensioni dell'immaginario e del simbolico inevitabilmente evocate dallo scenario biotecnologico, ed evitando di misurarsi con l'asimmetria della differenza sessuale che nella procreazione (e non solo nella procreazione) complica i giochi dell'individuo liberale. Due presupposti sostengono tutto il ragionamento. Primo, la libertà procreativa (ovvero la possibilità di scegliere se, quando e quanti figli mettere al mondo) è un bene inviolabile in quanto è espressione della libertà individuale; ed è una libertà negativa, cioè non tollera ingerenze né da parte di terzi né da parte dello Stato. Secondo, essendo la libertà procreativa ampiamente ammessa nella procreazione naturale, per limitarla nella procreazione artificiale sarebbero necessari argomenti validi, che la legge 40 non offre. Non c'è nessun argomento valido a sostegno della patente discriminazione che esclude le single dall'accesso alle Tra; né a sostegno del divieto per tutti, single e coppie, di accedere alla fecondazione eterologa. La controprova è semplice. In natura, si concepisce sotto le più disparate forme di relazione interpersonale e sociale: fra marito e moglie, fra amanti, fra un uomo sposato e un'amante e fra una donna sposata e un amante, fra una lesbica e un eterosessuale e un gay, fra una single e un partner occasionale; si danno casi di coppie sterili i cui singoli componenti si rivelano fecondi quando si accoppiano con un altro o un'altra partner, e in tal modo procreano; si danno casi di donne che non possono sostenere una gravidanza e mettono al mondo un figlio «prendendo a prestito» l'utero di un'altra in un patto d'amicizia. Nello scenario tecnologico così com'è normato dalla legge 40, per uomini, donne e coppie sterili queste possibilità si restringono enormemente: per usufruire delle Tra bisogna essere un uomo e una donna eterosessuali, sposati o conviventi e fedelissimi; onmosessuali, single, amanti, donatori e donatrici escono di scena. La legge 40, insomma, vieta di fare in laboratorio ciò che in natura è consentito.

Com'è possibile che si sia arrivato a questo? E com'è possibile che tutt'ora, nel dibattito referendario, si alluda invece continuamente al «disordine» che le tecnologie introdurrebbero in un «ordinato» mondo della natura? E' possibile, perché la legge varata dal parlamento italiano è una legge paternalista e moralista, argomenta Chiara Lalli, che non rispetta i limiti della coercizione legale della libertà individuale. E' possibile, perché sulle tecnologie riproduttive viene scaricata la paura per le trasformazioni della famiglia che nelle società occidentali sono in corso non da oggi. E' possibile, perché i media hanno alimentato per dieci anni le preoccupazioni per la presunta infelicità dei figli «artificiali», come se al mondo non esistessero milioni di bambini nati in natura da un padre biologico diverso da quello legale.

Un capitolo cruciale è dedicato infine alla questione dei diritti del concepito, e oltre a dimostrare l'assurdità di una grammatica che contrappone l'embrione alla madre ripercorre le tappe attraverso le quali questa grammatica si è fatta strada non solo in Italia ma anche negli Stati uniti. Sull'embrione si gioca una partita più ampia di quella ingaggiata in Italia dall'astensionismo di Ruini. Ne va della civiltà giuridica, di qua e di là dall'Atlantico.

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