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Mario Pirani
La frittata futurista
27 Marzo 2009
I tempi del cavalier B.
Nel piano casa il perfetto esempio dell’ideologia di governo dell’era berlusconiana: l’antipolitica. Da la Repubblica, 26 marzo 2009 (m.p.g.)

Tutto rinviato alla settimana prossima. Le Regioni non ci stanno e rifiutano di subire una decretazione d’urgenza che le spogli della sovranità, di recente conquistata, in materia di edilizia. Il primo testo, messo a punto, come le leggi ad personam, dall’avvocato Ghedini è rinviato al mittente. Berlusconi, comunque, ha ripetuto ieri sera che la metà delle abitazioni degli italiani saranno interessate. Che dire? Sembra che, come un soufflé mal riuscito, il piano-casa un giorno si gonfi e l’indomani si sgonfi. Vedremo alla fine cosa ne uscirà: una frittata rimediata con gli avanzi, una maionese impazzita, una torta pasqualina ad alto indice di gradimento? Eppure non è mai stato uno scherzo ma un’idea che ha suscitato, secondo i punti di vista, desolanti angosce paesaggistiche e sfrenate velleità edificatorie.

Ho avuto personalmente il senso di quanto stava accadendo quando un amico architetto mi ha riferito che aveva cominciato a ricevere, dopo il primo annuncio, due o tre richieste al giorno da clienti vecchi e nuovi, interessati a conoscere quali passi intraprendere per moltiplicare spazi abitativi, chiudere verande, soprelevare attici. Anche il felice proprietario di un ultimo piano a piazza Navona si era fatto vivo per sapere come modificare il tetto e costruirvi una terrazza con relativo roof-garden.

Ora sembra che simili attese andranno deluse e che la libertà di ampliamento si spalmerà su 10 milioni di case singole o bifamiliari. Anche se i centri storici saranno risparmiati si tratterà pur sempre di un bombardamento diffuso su gran parte del territorio nazionale, di una esplosione atomica a frammentazione per quanto riguarda l’impatto paesaggistico. Non è detto che questo susciterà proteste di massa.

Piuttosto va analizzata la natura accattivante di una vera e propria provocazione che, proclamando la possibilità di annullare alcuni principi base dell’ordinamento pubblico, si presta a raccogliere un potenziale di consenso di proporzioni difficilmente uguagliabili. Solo affermando la libera noncuranza per ogni regola si poteva, infatti, far lievitare una sicura rispondenza di amorosi sensi tra il leader e il "suo" popolo. Le remore che ha poi incontrato, le obiezioni dei presidenti di Regione, del presidente della Repubblica, di Bossi, anche se costretto a fare buon viso, debbono essergli apparsi qualcosa di vecchio, di conservatore, al limite di incomprensibile. Dalla sua aveva percepito la potenzialità di un arco di consensi che va dai milioni di proprietari di case ai costruttori piccoli e grandi, dai muratori rumeni e italiani, alla ricerca di restauri e ampliamenti di appartamenti agli immobiliaristi liberi di abbattere edifici vetusti e di costruirne di nuovi, dai tanti addetti dell’indotto ai risparmiatori che anelano ad investire nel mattone, dopo il naufragio delle Borse.

Agli effetti della bacchetta magica, foriera di cotanti plausi, vanno aggiunte due prospettive avvincenti: l’avvio di un volano di ripresa economica, sia pure parziale ma, comunque, da non disprezzare con l’aria che tira, e la riprova che, cancellando i pubblici controlli, è possibile rendere veloci le procedure. Se ne derivano danni non resterà che infischiarsene.

Così come se ne sono sempre infischiati sindaci e amministratori regionali disinvolti, palazzinari rapaci, edificatori abusivi, non certo frenati sotto la Prima che la Seconda Repubblica dal timore dello scempio paesaggistico. Agivano, peraltro. contro la legge ma quasi certi di potersi comprare l’immunità e la libertà di devastazione. Spesso in nome del progresso economico contrapposto al conservatorismo delle «anime belle», degli esteti benestanti, degli intellettuali insensibili alle esigenze dello sviluppo. Poi il fatto compiuto avrebbe disarmato il magistrato.

Ma ora il teorema berlusconiano rovescia i termini stessi di questa vecchia dialettica e fornisce la prova scientifica della peculiarità unica dell’avvento di questo singolarissimo personaggio al governo del nostro Paese.

Il tempo trascorso dalla sua discesa in campo si avvicina ormai al ventennio e permette di adombrare il delinearsi di un’epoca storica, a somiglianza di quelle del passato, l’epoca post risorgimentale, l’epoca giolittiana, quella fascista, e, poi, la democristiana e consociativa. Cosa distingue, a mio avviso, l’epoca di Berlusconi da tutte le altre? Il fatto che in tutte le precedenti, fossero ispirate all’assolutismo, al liberalismo, al nazionalismo, al cattolicesimo, al riformismo democratico, in tutte queste epoche, l’operato dei governi esprimeva un livello di mediazione, culturale ancor prima che politica, tendente a raggiungere un equilibrio tra interesse collettivo e quello dei singoli. In definitiva un’idea di una Nazione, ordinata da regole, pur diversamente ispirate od anche esprimenti una egemonia delle classi dominanti, che, tuttavia, aspirava a presentarsi come portatrice di del bene comune.

Così si alternavano i valori - dal nazionalismo imperial rurale del fascismo al solidarismo interclassista con garanzia atlantica del cattolicesimo democratico - ma non veniva meno l’ambizione ad esprimere, attraverso l’arte della politica, le aspirazioni della collettività nazionale.

Al contrario solo con Berlusconi trionfa l’antipolitica come pratica ed ideologia di governo al servizio degli interessi dei singoli e degli aggregati che gravitano attorno all’individuo (famiglia, gruppo di appartenenza, coagulo localistico). Quel che fino a ieri costituiva reato è oggi atto meritorio. Scompare anche il senso di colpa dello speculatore.

Da questo punto di vista la legge edilizia potrebbe segnare un trionfo della filosofia berlusconiana che coniuga l’identità fra l’arte del governare e l’ideologia della piccola impresa padana: se l’impresa è mia è giusto che governi io, che scelga il prodotto di successo, che detti le regole a me più congeniali. Se qualcuno vuole sostituirmi faccia pure, lanci un’Opa, s’impadronisca del pacchetto azionario di maggioranza. Nel frattempo non rompa i c....; non rivendichi equilibri di potere all’interno della "sua" impresa, non caldeggi prodotti alternativi. Il Cavaliere è convinto che tale sia il liberalismo.

Cosa importa, quindi, se si dissolve una eredità culturale che vedeva nella tutela del paesaggio urbano e rurale un valore inalienabile per il presente e per il futuro, se viene cancellata ogni ambizione urbanistica a un disegno di città in cui modernità e tradizione convivessero secondo regole etiche ed estetiche, fossero ispirate da Giuseppe Bottai o da Giovanni Spadolini, da Piacentini o da Piano?

Conta assai di più ciò a cui aspira ogni cittadino come singolo individuo e Berlusconi sa bene di interpretare milioni di singoli cittadini, guidati dal buon senso dell’interesse immediato e non da una ricerca inutile, lenta, dispersiva del bene comune.

Lo ribadirà la settimana prossima ai governatori. Bando alle ciance. Si metta mano al piccone e si dia il via alla colata di cemento. E, visto che si celebra quest’anno il centenario del Futurismo, potrebbe proporre, non più come provocazione ma come manifesto politico, quel proclama marinettiano contro Venezia e il chiaro di luna che vaticinava tra l’altro: «Il tuo Canal Grande allargato e scavato, diventerà fatalmente un gran porto mercantile. Treni e tramvai lanciati per le grandi vie costruite sui canali finalmente colmati vi porteranno cataste di mercanzie, tra una folla sagace, ricca e affaccendata d’industriali e commercianti... Non urlate contro la pretesa bruttezza delle locomotive dei tramvai degli automobili e delle biciclette in cui noi troviamo le prime linee della grande estetica futurista».

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