Richard Carson, La dittatura della Maggioranza Urbana, Planum, ottobre 2005; Titolo originale: Tyranny of the Urban Majority– Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
Sono stato di recente a un incontro pubblico dove un consigliere eletto poneva a un gruppo di urbanisti una domanda retorica: “Cos’è lo sprawl?”. La risposta di uno degli urbanisti è stata che lo sprawl si verifica quando una zona rurale viene suddivisa in lotti di grandi dimensioni per realizzare le cosiddette “ McMansions”. La replica del consigliere è stata: “Sareste più contenti se la gente invece mettesse lì case mobili per abitazioni a basso reddito?”.
Il dialogo mi ha turbato. Perché gli animatori delle tendenze urbanistiche più recenti – come la smart growth e il New Urbanism – per attirarsi sostegni finanziari e sostegno degli elettori, usano etichette denigratorie come sprawl, big-box, o McMansion. Per demonizzare lo sprawl c’è bisogno di un demonio. Coltivatori di campi e boschi non possono essere denigrati, perché si suppone che i pianificatori conservino queste risorse per il loro uso. E non è politically correct parlar male delle famiglie a basso reddito che vivono in case mobili. E così, chi si trova come capro espiatorio? I ricchi e McDonald’s sono obiettivi facili, e allora: Ricchi + McDonald’s = McMansion.
Questo doppio senso orwelliano è stato utilizzato dai suoi inventori per diffondere un programma politico che attacca un’istituzione tradizionale americana: lo schema insediativo di una cultura dominata dall’automobile e dalle lottizzazioni edilizie a basso costo del dopoguerra. La loro agenda sociale sfrutta paura e classismo per sostenere la causa: a spese delle convinzioni socioeconomiche e del benessere di altri.
Un pregiudizio schizofrenico
In America, termini come sprawl o McMansion risuonano tra noi almeno in parte a causa dei nostri schizofrenici pregiudizi personali: vogliamo essere ricchi ma non possiamo perché non riusciamo a smettere di comprare cose; beviamo, fumiamo, mangiamo porcherie, ma sappiamo che ci fa male. Ci sentiamo in colpa per il nostro spudorato, ossessivo consumismo. Ci sentiamo indifesi e usati dai volponi di Wall Street e Madison Avenue. E abbiamo la sensazione di aver venduto l’anima (e la libertà) al migliore offerente.
Peraltro, sospettiamo esistano persone che non hanno venduto l’anima, e anche questo ci scoccia. Fra questi, ci sono agricoltori indipendenti e forestali, che vivono della terra. Gli abitanti delle città nel loro subconscio sono irritati da questa apparente libertà.
E questa mancanza di empatia ha portato ad una nuova “dittatura della maggioranza” degli interessi non-rurali. I nostri meccanismi costituzionali di controllo ed equilibrio non sono riusciti a proteggere il proprietario di terreni rurali. Le iniziative connesse alla smart growth hanno tracciato margini di sviluppo urbano [ urban-growth boundaries] e poi ridotto le possibilità insediative delle proprietà rurali. Queste misure sono intese a contenere lo sprawl, ci hanno detto, ma esse aiutano anche a creare “riserve” urbane, che impediscono alla popolazione così addensata di distruggere l’ambiente naturale.
Avidità e risarcimenti
Quando gli urbani – no, gli urbanisti – si scontrano coi proprietari rurali, il risultato è sempre lo stesso: la gente di campagna perde. Tornati a casa, gli urbanisti vogliono i loro bar col caffè espresso, le boutiques, i drive-throughs, ma vogliono che le zone rurali restino un museo di terre pastorali, a conservarsi per le loro visite sui fuoristrada.
Il fatto è che gli urbanisti sono implicati nell’eliminazione di molte più specie della controparte rurale, a causa della loro avidità. Visto che l’80% dell’America abita nelle aree metropolitane, non sono colpevoli almeno all’80%? Non dovrebbero, gli urbanisti, rimediare a questa ingiustizia economica, e ripagare in dollari? Sì, perché altri – specificamente: proprietari rurali, costruttori, grandi operatori – devono pagare per i loro spropositati appetiti urbani.
Se volgiamo davvero migliorare la qualità della vita sia all’umanità che agli animali, cerchiamo di essere intellettualmente onesti sui costi sociali per tutti i cittadini: non di usare la propaganda partigiana degli urbanisti contro una minoranza di cittadini. È tempo che la maggioranza urbana paghi la sua parte. O almeno che discuta di come risarcire economicamente l’America rurale.
Nota: il testo originale al sito di Planum (f.b.)