Solidarietà, un'utopia necessaria. L'analisi di una parola apparentata a molte altre (naturalità, moralità, carità, assistenza, beneficenza, fraternità, doverosità, diritto, eguaglianza e gratuità, che la lambiscono, investono, assumono e la interpretano curvandola al loro spirito ed essenza. Il manifesto, 8 gennaio 2015
Col suo ultimo libro (Solidarietà, un’utopia necessaria, Laterza, pp.141, euro 14) Stefano Rodotà allarga il campo dell’impegno scientifico e politico nella lotta per i diritti che, da decenni, ha ingaggiato con tenacia ininterrotta e con successo non solo dottrinale. Lo amplia alle precondizioni, ai connettivi dei diritti e che ne sono forse anche i nuclei primigeni. A denominarli è un nome: principi. E, mai come a questo proposito, il nome è la cosa.
Di questi connettivi Rodotà sceglie la solidarietà, il più complesso (a questo proposito il rinvio è all’intervista rilasciata a Roberto Ciccarelli sulle pagine di questo giornale il 4 dicembre). Complesso perché ha una storia particolarmente intrecciata con quella di altri connettivi. Complessa perché matrici diverse la hanno motivata come propria derivazione, connotandola con le relative impronte, intanto che altri connettivi provavano ad assorbirla. Naturalità, moralità, carità, assistenza, beneficenza, fraternità, doverosità, diritto, eguaglianza e gratuità lambiscono, investono, assumono la solidarietà e la interpretano curvandola al loro spirito ed essenza. Ognuna di esse, in verità, ha svolto un ruolo che va riconosciuto almeno come rivelazione della possibilità e della pratica di un’esigenza umana mai del tutto sradicata.
Rodotà ne fa la storia degli ultimi secoli e ne descrive le movenze e i ruoli collaterali che ha svolto e anche le valenze strumentali che ha saputo esprimere. Ma sa distinguere, separare, sa individuare le impronte che possono come assorbirla ed esaurirne — e anche degradarne — l’essenza. Sa, soprattutto, scegliere il fondamento sicuro su cui costruire la solidarietà come principio. È quello del diritto, della norma giuridica. Prosegue così l’alto e nobile insegnamento di quel padre del costituzionalismo che formulava la prima enunciazione dei diritti sociali attribuendo allo stato gli obblighi di offrire a «tutti i cittadini la sussistenza assicurata, il nutrimento, un abbigliamento decente, e un genere di vita che non sia dannoso alla salute», Montesquieu.
La solidarietà è così che si concretizza. Per poter essere principio giuridico, deve poi dispiegarsi in diritti. È il modo in cui si libera dalle tante impronte che la hanno segnata. Da quelle impresse da una incerta naturalità, dalla inerme moralità, dalla doverosità a irritante garanzia della proprietà, dalla evanescente fraternità, a quelle, inesorabilmente mortificanti, della carità, della assistenza e della beneficenza. È il modo in cui si eleva a fonte rivendicativa della dignità umana.
Ma ha di fronte il mondo della globalizzazione. Che è quello del mercato capitalistico, perciò della proprietà privata e del profitto, del trionfo dell’una e dell’altra da trent’anni celebrato senza pause e senza limiti alla devastazione delle conquiste di civiltà che l’idea e le forze della solidarietà avevano raggiunto. È il mondo della barbarie postmoderna.
Rodotà non lo accetta, invita a riflettere sulla tortuosa storia della solidarietà, sulle politiche sociali che furono imposte dalle forze che ne avevano necessità e che ebbero ascolto nelle dottrine giuridiche e politiche che ne reclamarono forme di riconoscimento. Forme diversificate che andavano dal corporativo, al caritatevole, al compassionevole, al mutualismo contadino ed operaio. E che, pur nei limiti e con le torsioni che le caratterizzavano, testimoniano tuttavia una possibilità di affermazione pluralistica del principio. Consentendo in tal modo che per «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale» dell’articolo 2 della Costituzione, all’insostituibile e prevalente azione istituzionale possano aggiungersi iniziative sociali (volontariato, terzo settore) alla base della forma-stato. A questo proposito, va riconosciuto a Rodotà il merito di proporre un’interpretazione di quest’articolo della Costituzione che, nell’affermare che la Repubblica «richiede» l’adempimento dei doveri della solidarietà, estende al massimo i destinatari della norma, universalizza la sua efficacia.
Affronta la questione del Welfare State, della sua origine e crisi. Ne ricostruisce la molteplicità dei significati, mostra come e perché il Welfare denomina una specifica forma di stato costruendola proprio intorno alla solidarietà. Una forma di stato che, a partire dai principi fondamentali che furono enunciati nei primi articoli della nostra Costituzione e proseguendone il disegno normativo per la forma-stato della contemporaneità, ridefinisce la persona umana come centro di riferimento della solidarietà, sia come titolare del diritto sia come destinatario del dovere di solidarietà. La ridefinisce in termini di cittadinanza tanto comprensiva di diritti integrati l’un l’altro da assicurare il ben-essere, l’autodeterminazione, cioè il potere di crearsi un’esistenza dignitosa, a progettarla come credibile prospettiva, a viverla come effettiva condizione umana.
Ma quando, dove, come? Di cos’altro è indice, in quale contesto la si può concretizzare, con quale altro prodotto storico, per essere stata storicamente determinata, la solidarietà può e deve convivere? Chi può assicurarla nella materialità dei rapporti umani esistenti, chi la può sostenere alla base degli ordinamenti giuridici vigenti, insomma, di quale e quanta forza sociale dispone la solidarietà oggi?
Rodotà non nasconde affatto che il produttore storico della solidarietà, degli istituti che la hanno concretizzata, dei diritti che ha generato, il movimento operaio, insomma, è stato frantumato e che non c’ è più nessuno in grado di contenere e respingere le pretese e l’arbitrio dei costruttori del «nuovo ordinamento normativo governato da un potere sovrano, quello delle grandi società transnazionali che davvero si pongono come il soggetto storico della fase presente». La fase cioè dell’avvento e del consolidamento del dominio globale del capitalismo neoliberista, il nemico storico e strutturale della solidarietà.
Cosa opporgli che sia credibile e perciò consentaneo, collegabile, corrispondente anche nella prospettiva dell’esigenza sempre più pressante dell’universalizzazione della solidarietà? Rodotà non deflette dalla più rigorosa coerenza con le premesse, e le scommesse, da cui parte. Non credendo alla emersione di soggetti storici che possano, nel breve periodo, riprendere con successo la lotta del movimento operaio per la solidarietà, intravede però focolai di resistenza e di contrasto al potere sovrano delle centrali transnazionali del capitalismo neoliberista.
Al sociale frantumato, al politico servente l’economico per aver abdicato a suo favore, il giuridico gli sembra confermarsi come credibile potenziale di produzione della solidarietà. In una sentenza recentissima della Corte di giustizia dell’Ue scorge una sorta di rivendicazione della prevalenza dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta di Nizza sull’interesse economico di una corporation transnazionale della forza di Google. Attribuisce a questa sentenza l’efficacia costitutiva di «una nuova gerarchia fondata sui principi… espressi dai diritti fondamentali». Come se, per incanto, rovesciando la sua giurisprudenza di favore al principio della concorrenza e a danno dei diritti del lavoro, la Corte di Lussemburgo avesse abrogato quella che Rodotà chiama la «contro costituzione» dell’Ue, fondata sul Fiscal Compact e che, invece, io credo che sia la vera «costituzione» europea. Come se, la stessa Corte, avesse anche espunto dal Trattato sul funzionamento dell’Ue le norme che impongono come vincolo assoluto della dinamica e come fine dell’Unione «l’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza». Qui l’amore paterno dell’eccellente ma non solitario legislatore della Carta di Nizza ha fatto aggio sull’acutissimo spirito critico del giurista.
Ma, a riflettere, chissà: questa interpretazione-ricostruzione operata da Rodotà potrebbe anche assumere valore preconizzante di un processo che l’astuzia della storia del diritto futuro, grazie ad una raffinatissima ermeneutica, con tacite abrogazioni e provvide addizioni, consenta che i principi che Rodotà ha ridefinito acquistino effettività giuridica. Sicché da «utopia necessaria» diventi esperienza vivente quella solidarietà che il movimento operaio si inventò e che Rodotà ricorda come rapporto tra eguali e perciò autentica. Affiora così il tema dell’eguaglianza. Quello sul quale chi scrive sta aspettando il maggior defensor dei diritti del nostro tempo.