Diversamente da lei, caro urbanista marinaio così legato alla sua terra, io, per poter fare il mio lavoro, per voler fare il mio lavoro, il nostro lavoro, mi muovo nomade di luogo in luogo, di città in città, rapportandomi con realtà diverse ma in fondo molto simili: comune denominatore delle mie esperienze è la difficoltà di “convincere” – come dice lei – e muovere verso “livelli di qualità di vita migliori” – sempre usando le sue parole – quelle persone che sono coinvolte dal nostro mestiere, da chi ne è portatore di interessi a chi questi interessi li subisce.
Questa difficoltà non è incapacità di addomesticare, o di essere addomesticato – utilizzando la sua fantasiosa metafora – ma, peggio, è mancanza di civitas. Lei correttamente sottolinea nel significato della parola il luogo in cui “i cittadini per primi sono attori locali interessati alla ricerca di modi di sviluppo di tutela dell'ambiente e salvaguardia dei patrimoni”; mi dica in quante occasioni ultimamente lei ha potuto constatare questa partecipazione …
Forse il primo ostacolo alla pianificazione è far capire a chi la fa, perché eletto dal popolo e perché ne è coinvolto (i cosiddetti stakeholders), che cosa è. Non è possibile far fare urbanistica solo agli urbanisti, quindi importante è “insegnare” l’urbanistica a chi, per una ragione o per l’altra, gestisce il territorio. Non è addomesticamento, ma insegnamento.
Questi mondi civili non sono un miraggio – come dice lei – ma vanno costruiti pian piano, con pazienza. Ed è compito nostro, di noi urbanisti, insegnare e costruire: non è una missione, è un compito. Se lei perde energie e volontà saremmo sempre meno “insegnanti” …
Una collega
PS: In questo mio nomadismo il romanzo di Cervantes è una delle prime cose che metto in valigia.