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«La difesa delle autonomie locali, ieri e oggi»
6 Aprile 2012
Lettere e Interventi
Lodo Meneghetti

Caro Edoardo, Ti leggo nella postilla a "Grigia Toscana...": «E, soprattutto, che succederà al territorio e ai suoi abitanti se non cesseranno le politiche di totale autonomia dei comuni nel governo del territorio, anche quando essi utilizzano i suoli come uno strumento per lo "sviluppo", cioè come un modo di spalmare l'edificabilità ottenendo in cambio qualche briciola di "oneri di urbanizzazione"...»

Ti ricorderai, anche tu amministratore in altri tempi (tuttavia meno lontani di quanto riguardi me), che ci battevamo per l'autonomia democratica locale. Dovevamo, tra l'altro, liberarci dalle vessazioni dei prefetti.

Ma, da sindaci e da assessori, nulla potevamo decidere se non passando dal dibattito, spesso lotta senza esclusione di colpi con la DC, in Consiglio comunale. Dove non eravamo maggioranza e non detenevamo il potere agivamo senza tregua in ogni frangente per evitare gli abusi di democristiani e soci. Insomma, per un senso o per l'altro, il controllo esisteva, sindaci e giunte non potevano decidere senza render conto al Consiglio e ai cittadini. Poi, man mano, per ragioni che non rivango qui, è cominciato l'indebolimento dei Consigli, fino a che la riforma delle leggi elettorali per Regioni e Comuni, d'accordo tutti i partiti (quindici anni fa?) ha stabilito pazzeschi poteri "personali" a sindaci, governatori e relative giunte (formate anche da personaggi non eletti): possono farne di tutti i colori specie in materia di territorio e di edilizia, sprezzando le eventuali opposizioni dei disarmati consigli; del resto ormai per lo più afoni, essendo il principio dei maggiori poteri di comando ai vertici comunali, regionali, nazionale ("ampi poteri al premier!...") ormai quasi diventato senso comune. Temo che non ci sia più possibilità di "tornare indietro". Mancava il super-premier, ora ci stanno pensando PD, PDL e UDC con la loro orribile proposta di legge elettorale, altro che porcellum.

Tornare indietro naturalmente non si può. Ma andare avanti si. Ristabilire alcuni principi che nel passato hanno funzionato bene e che sono stati traditi o abbandonati si può, e di deve fare: non si va mai avanti se non si impara dalla storia.

Tra principi da ricordare e recuperare porrei quello dell’esistenza di diversi
livelli ai quali si manifestano le esigenze, i problemi e le soluzioni e quindi diversi necessari livelli di governo che devono esistere. I padri costituenti ragionarono a lungo sui rapporti tra i diversi livelli di governo; molti anni dopo se ne ragionò a livello della comunità europea, e si introdusse un principio (il principio di sussidiarietà) che, correttamente applicato, avrebbe consentito di attribuire sensatamente le responsabilità ai diversi livelli (Europa e stati e, in Italia, stato, regione, provincia, comune). Come spesso accade negli ultimi decenni, in Italia si abbandonò la fedeltà alla Costituzione repubblicana e si interpretò a rovescio la lezione europea: si proclamò “tutto il potere al livello inferiore”. Nel frattempo, si manifestarono forme nuove di centralismo surrettizio(sia statale sia, soprattutto, finanziario) travolgendo ogni ponderato equilibrio.

Ancor più rilevante fu l’altra “innovazione” introdotta negli anni 80 e 90, connessa alla medesima ideologia neoliberista: il primato assegnato alla “governabilità” sulla democrazie. Ciò comportò lo spostamento di ogni potere democratico dagli organismi collegiali a quelli monocratici (dal consiglio al sindaco e così via), l’abbandono del pluralismo, il rifiuto della dialettica tra le parti – e insomma gli altri aspetti del degrado delle istituzioni e della politica dei partiti.

Di fatto si è espressa, ed è divenuta egemonica, una nuova ideologia, largamente bipartisan, contro la quale bisogna lottare costruendo pezzi di contro-egemonia (per adoperare i termini gramsciani). A mio parere non si può farlo senza recuperare – naturalmente rivivendoli nella nuova temperie – alcuni dei principi colpevolmente traditi o frettolosamente abbandonati. E’ certamente un lavoro di lunga lena, e probabilmente non ne vedremo la fine né tu né io. Ma è così che cammina spesso la storia, quando non fa salti imprevedibili. L’importante, per ciascuno di noi, è camminare nella direzione giusta. (e.s.)

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