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Mario Pirani
La cultura industriale non abita più qui
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Cultura industriale all'italiana: ecco che cos'è oggi. Da Adriano Olivetti a volpacchiotti che "quando sentono parlare di cultura non mettono mano alla pistola ma aprono le fauci". Da la Repubblica del 25 ottobre 2004

Un tempo fioriva in Italia una ricca cultura dell´industria. Con questa definizione intendo riferirmi a quell´assieme di iniziative, di riviste, di movimenti, di reti intellettuali che facevano capo ad alcune delle maggiori grandi imprese, ne arricchivano e ne caratterizzavano il profilo al di là del mero fattore produttivo, ibridavano il pensiero umanistico con quello scientifico, tecnologico, urbanistico, sociologico. La letteratura e l´arte s´incrociavano con l´economia di fabbrica. La Olivetti, l´Iri, l´Eni, la Fiat e altre aziende, anche minori, si distinsero in quest´opera. Sorsero prestigiose riviste come Civiltà delle macchine, Pirelli, la Casa editrice Comunità, uno spazio espositivo di rinomanza internazionale come palazzo Grassi (oggi in vendita) e molte altre cose. Solo più tardi si moltiplicarono le sponsorizzazioni che, però, son cosa diversa, consistendo in finanziamenti, non collegati, comunque, alla crescita specifica di una cultura industriale.

Da questo punto di vista, anzi, l´arretramento è impressionante ed ormai di quel patrimonio resta un deserto. Se il tramonto delle grandi imprese ha trascinato con se la preziosa sovrastruttura culturale, le privatizzazioni hanno spento ogni vocazione nel management sopravvenuto.

Queste nostalgiche riflessioni mi sono state suggerite proprio in occasione di una conferenza che ho tenuto in un paese di 4.000 abitanti, Montereale Valcellina, a 20 km. da Monfalcone, dove una giunta di centrosinistra porta avanti assieme ad altri otto comuni del circondario una pregevole iniziativa culturale multimediale. Conversando col sindaco e con l´assessore alla cultura son venuto a sapere di un altro impegno assunto da questo comune che va ben oltre le dimensioni locali: il salvataggio, il restauro e la fruizione culturale di un grande monumento di archeologia industriale, la prima mega-centrale idroelettrica dell´Alta Italia che produsse energia e portò la luce nel Veneto fino a piazza San Marco fino allora illuminata a gas. Venne costruita nel 1900-1905 allo sbocco della Val Cellina ed ha funzionato fino al 1988. È ancora lì nella sua imponente struttura e con i suoi macchinari targati 1901, ormai fermi ma perfettamente utilizzabili a fini didattici. Ho chiesto di visitarla e sono rimasto impressionato per la mole, la struttura in pietra, l´eleganza floreale degli interni lastricati in lucidissimo granito. Le foto degli anni della costruzione sono toccanti: si vedono migliaia di uomini che scavano la montagna e un esercito di donne che trasportano a spalla gerle cariche di pietre. E´ difficile nell´assieme trovare una testimonianza così composita e completa della storia energetica italiana. La cosa era tanto evidente che l´Enel, ancora interamente pubblica, quando dislocò la produzione in centrali tecnologicamente più moderne, annunciò, diffondendo anche un documentario cinematografico in merito, la trasformazione della vecchia centrale, ritenendola «uno dei più emblematici esempi di architettura industriale degli inizi del secolo», in museo nazionale dell´energia idroelettrica, sia a fini espositivi che pedagogici per far conoscere dal vivo agli studenti delle facoltà tecniche il funzionamento di macchine ormai scomparse. L´Enel si proponeva anche di collocare nei grandi ambienti della Val Cellina il proprio archivio storico. Con la privatizzazione, pur essendo l´Enel ancora controllata dal Tesoro, ogni passione culturale si è spenta. Il progetto di riutilizzo è stato abbandonato e lo stesso edificio è stato salvato dal degrado solo per l´intervento volontario dell´associazione degli ex dipendenti. Nel frattempo l´Enel ha messo in vendita su Internet tutta la struttura e le adiacenze, compreso un bellissimo parco. Il rischio di una trasformazione devastante e di una speculazione sulle aree incombeva. Il comune si è allora fatto avanti. Ha ottenuto dalla Sovrintendenza il vincolo sull´intangibilità del bene. Ha presentato all´Unione europea e alla Regione un progetto di utilizzo sulla linea un tempo avvalorata dall´Enel, ha ottenuto dalle due istituzioni un contributo a tal fine. A questo punto si è presentato ai vecchi proprietari proponendo un acquisto, sperando in un prezzo simbolico.

Il Comune si era però illuso. All´Enel non sanno ormai che farsene di quell´impianto sfruttato per un secolo, ma quando sentono parlare di cultura non mettono mano alla pistola ma aprono le fauci: l´amministrazione locale dovrà sborsare 900 mila euro, Iva compresa, per l´ambito acquisto. Malgrado le sovvenzioni resterà così assai poco per avviare e gestire un´impresa di rilievo nazionale. Possiamo dire che è una indegnità?

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