Il Censis del buon Giuseppe De Rita ogni tanto annuncia – con l’immancabile sostegno ed entusiasmo della stampa, specie progressista - una delle sue scoperte, di solito lanciando sul mercato nazionalpopolare l’ennesima confezione di acqua calda, che per carità serve sempre. Ovvero usando dati, censuari o campionari, per confermare o smentire tendenze note a chi si occupa normalmente di quelle questioni, ma che grazie alle entrature del Centro Studi Investimenti Sociali potrebbero più facilmente trasformarsi in politiche pubbliche adeguate. Con la classe dirigente, se mi si consente la battuta, che ci ritroviamo, oggi non pare proprio l’atmosfera più adatta, ma come si dice la speranza è l’ultima a morire. Cos’ha scoperto adesso il Censis? Che oltre il 10% degli italiani vive la condizione riassumibile con l’anglofono single. Sono tanti, tantissimi, potrebbero formare un partito che la Lega Nord se la beve senza accorgersene, ma nessuno si accorge di loro, liquidandoli come stranezza, marginalità percettiva, caratteristi cinematografici sul set della vita.
Da anni, forse da lustri, ogni qual volta emergeva il dato statistico innegabile su questi singles subito saltava fuori l’esperto o il commentatore saldamente ancorato al principio dell’ovvio, a spiegarci che quella statistica non delineava certo un universo di belloni miliardari che lavorano nella moda o nel rock & roll, del tipo che si vedono nelle pubblicità tornare a casa soli a tarda notte a frugare nel frigo. Al massimo l’immagine del single da terzo millennio era la vedova con tanto di crocchia canuta, calza pesante agosto compreso, dotata di serie della borsa a rete da portarsi sulla via per il mercato rionale. Più raro ma ipotizzabile, l’ex marito o ex moglie senza figli alle prese con i disagi e l’adattamento psicologico della vita fuori dalla sacra famiglia nucleare. Stop.
Curioso che poi magari il medesimo pubblico, almeno nelle sue fasce alfabetizzate, trovasse contemporaneamente interessanti teorie come quella di Richard Florida sul ruolo della creative class nel delineare nuovi modelli di organizzazione sociale, produttiva, culturale e urbana. Perché a ben vedere, anche oltre certi schematismi del sociologo americano evidentemente più dettati dal mercato editoriale e delle consulenze che dalla coerenza scientifica, a quella fascia sociale appartenevano molte tipologie di individui, ben oltre il giovane ricco e in attesa di riprodursi (ed emigrare nella conformista categoria statistica dei normodotati). Adesso, anche nella familista e mammona Italia, anche il cantore del casa famiglia bottega territorio locale di solito semirurale che tanto fa bene allo sviluppo, anche lui si accorge che il single esiste e lotta insieme a noi. Alla buon’ora, e magari ciò si deve alla recente conversione psicanalitica del patron della sociologia subliminale, però va tutto bene ciò che finisce bene. Ok. E poi?
E poi pare caschi di nuovo l’asino, almeno da quello che riferisce la solita stampa amica progressista. La nuova entità riconosciuta, poverina, è costretta a spendere uno sproposito in più per consumi individuali indispensabili, tipo il supermercato e dintorni. E si prevede che ci vorrà più welfare. Ovvero, pare di capire, ci siamo statisticamente allargati dalla vedova con crocchia canuta d’ordinanza, ma a lei stiamo saldamente ancorati quanto a categorie interpretative: non si riesce a andare oltre la logica della disgrazia di essere single, e vista l’impossibilità di introdurre una bella tassa sul celibato (magari qualcuno del centrodestra ci ha pensato) come succedeva ai bei tempi, si evoca il welfare. Presumibilmente sognando simil-case di riposo, assistenza domiciliare per giovani eccetera? Magari no, però davvero anche rispetto ai fighetti ricchi e urbani di Richard Florida siamo indietro di qualche anno luce.
Il single, tanto per continuare a usare l’inglese in modo proprio, è una household tanto quanto la famiglia nucleare, tanto quanto la comunità, tanto quanto tutte le altre entità anche non riconosciute dalla nostra classe dirigente, se mi si consente la battuta: Remember DICO, remember PACS ecc.?
Oltre ad affermare diritti in modo astratto, tocca poi ragionare di conseguenza per vedere di dargli delle gambe meno vacillanti, a quei diritti, riorganizzando un pochino il mondo su cui camminano.
Giusto per restare dalle parti della ragione sociale classica del Censis, i territori, ce n’è uno che da sempre fa la parte del leone, ed è la dispersione suburbana ex rurale dei cosiddetti distretti, in cui si tollera di tutto perché si tiene famiglia, indissolubilmente legata a bottega, evasione, allegra ignoranza di norme ambientali e sul lavoro .. Giudizi sommari e magari un po’ pure somari, i miei, ma spero ci siamo capiti quanto a sostanza: il classico suburbio a bassa densità con capifamiglia mogli bambini anziani tutti al loro posto, è il brodo di coltura internazionale della household classica emersa dalla civiltà industriale novecentesca-automobilistica eccetera. Quale è stata l’intuizione innovativa di Florida, in una società già in gran misura postindustriale, che però ancora si fa trascinare indietro proprio dall’organizzazione spaziale disegnata su quel modello, e ingessata in decenni di investimenti delle famiglie? Che c’è un nuovo distretto di sviluppo, rappresentato da quartiere urbano mixed-use. Dove si vive, si lavora, ci si incontra, si è tolleranti, individuali e sociali.
Florida, così come ad esempio l’economista urbano Glaeser, o gli esponenti di punta del new urbanism, da bravi americani attenti agli affari e a non scontentare troppo nessuna potenziale clientela, ovviamente puntano su ciò che più fa immagine, e meno rischia di toccare esplicitamente il portafoglio di chi paga le tasse. Da qui le immagini spesso al limite del ridicolo, di posti che forse esistono solo in qualche opuscolo immobiliare, o magari negli esperimenti di centro commerciale di lusso con annesso residence. I quartieri veri, le città vere, sono un’altra cosa, lo sanno pure loro. Ma pensare solo alla “fragilità sociale” del single, alla necessità di interventi di welfare, vuol dire proprio essere graniticamente cocciuti in quel modello sfigato casa chiesa bottega di cui sopra. Che tra l’altro non funziona nemmeno più tanto bene, come ci raccontano altre statistiche, oltre a far malissimo allo stesso territorio decantato guardando solo ai conti correnti.
Certo, se intendessimo il welfare all’antica, che dico alla postmoderna, estendendolo alle cosiddette urbanizzazioni secondarie, e pure alla produzione di spazi in generale, sarebbe tutta un’altra cosa. Niente individui solitari naufraghi dentro all’unico modello di residenza che offre il mitico mercato, tagliato in semiesclusiva sulla domanda mamma papà bambini più tavernetta per festicciole di fianco al garage a tre posti. E niente più giardinetti residuali per distribuzione di briciole ai piccioni in attesa dell’eterna dipartita, o ad esempio quelle piste ciclabili esiziali, dal sagrato al piazzale del cimitero (ce ne sono a decine di migliaia concepite esattamente così, per una clientela di massa anziano-dolente ma sportiva). Il quartiere di Richard Florida popolato da improbabili modelle e maghi del social network (in fondo l’hanno rifilato pure a noi, con Santa Giulia di Foster) sarà una finzione retorica, ma in fondo lo è anche la mitologia del territorio produttivo operoso e familista, su cui modulare ogni Investimento Sociale, per omnia secula seculorum. Cose che il progressista, quando ad esempio cerca voti consensi idee, non dovrebbe tanto prendere sotto gamba.
Per chi ama la statistica e le fonti originali, di seguito l’articolo che ha ispirato questo post (f.b.)
Caterina Pasolini, “Il boom dei single, in Italia sono ormai sette milioni”. la Repubblica, 24 settembre 2011
ROMA - Soli ma socievoli, senza famiglia o coinquilini per scelta, e non solo per età o destino. Eccoli, sono i single italiani del nuovo millennio: 7 milioni di persone che abitano case e monolocali senza compagni, mogli o figli a riempire serate e silenzi, a creare confusione, scatenare litigi o risolvere assieme problemi. Sempre di più, sempre più spesso gli italiani si ritrovano a non condividere la vita quotidiana e in dieci anni è stato un vero e proprio boom: le famiglie composte da una sola persona sono infatti cresciute del 39%.
Lo dicono le cifre, elaborate dal Censis su dati Istat, che fotografano un paese dove si convive sempre meno e avere figli tra crisi e lavoro precario è un’impresa. Così se i single crescono del 39% e le coppie aumentano solo del 20%, molte culle restano vuote. Tanto che le famiglie con figli calano complessivamente del 7 per cento. Pochi i nuovi genitori (un misero più 2 %) mentre i nuclei con cinque e più persone (tre bambini o i nonni a carico) crollano del 18%.
Ma chi sono i nuovi unici padroni di casa che, stando ai dati della Confesercenti, si ritrovano a spendere per acquisti alimentari 71% in più rispetto a chi vive in coppia, ovvero 320 euro contro 187? Vedove, anziani, si sarebbe detto fino a poco tempo fa, ma ora le cose sono cambiate: «Vivere da soli è una condizione di vita che ormai coinvolge tutte le fasce di età», conferma Giuseppe de Rita, presidente del Censis.
In effetti, se è vero che dei sette milioni meno della metà sono pensionati, dall’altro lato si moltiplica in maniera esponenziale il numero delle persone che vive sola da quando è giovane. Tra i 15 e i 45 anni è infatti cresciuto rispetto al duemila del 66% (pari a 790mila unità) il numero di chi non condivide quotidianamente tavola e letto. Tra gli over 45 ma non ancora in pensione, negli ultimi dieci anni è più 59,9% (pari a 628mila) di non conviventi mentre tra gli anziani c’è un aumento del 19% (540mila persone).
Sono più giovani del previsto i single del nuovo millennio, e hanno le idee chiare su cosa faranno nei prossimi dieci anni. Quali luoghi e persone frequenteranno. Il 60% si vede con amici e parenti, il 29% va a cinema teatro, concerti e musei. Il 21% è decisamente attratto dai centro commerciali mentre il 17 vorrebbe partecipare a manifestazioni di piazza. L’11% pensa di coccolarsi in centri benessere, studi estetici e palestre. Chi può, un dieci per cento, punta a riposarsi nella seconda casa mentre i più giovani (4%) amano andare in discoteca.
L’esercito fotografato dal Censis, rappresenta il 13,6% della popolazione italiana dai 15 anni in su. Nel complesso sono più le donne degli uomini a vivere da sole (il 15,5% a fronte dell’11,6%). Ma se si guarda alle fasce di età, la fotografia del paese racconta storie di uomini solitari e padri separati con i figli affidati alle compagne, visto che tra i 15 e i 64 anni sono soprattutto i maschi a vivere non in coppia o in famiglia. Tra gli anziani le donne padrone di casa assolute sono invece molte di più (38% contro il 15%) a testimoniare la longevità femminile.
«Vivere da soli - dice Giuseppe De Rita - non vuol dire essere una monade, ma rappresenta comunque una fragilità sociale, visto che in genere, in caso di bisogno, ci si rivolge al coniuge o al convivente. Per questo il nuovo welfare deve moltiplicare al suo interno le relazioni, soprattutto quelle che nascono dal volontariato e dall’associazionismo, che costituiscono forze di coesione cruciali».