Il caso. Due distinte operazioni per far decollare l'Alta velocità a distanza di dieci anni l'una dall'altra. Ma entrambe miseramente fallite per la mancanza di una gestione imperniata sui principi di efficacia, efficienza ed economicità. A pagare lo Stato e le generazioni future in alcuni casi addirittura fino al 2060
La sezione di controllo della Corte dei Conti non fa sconti nella relazione sulla gestione dei debiti accollati al bilancio dello Stato contratti da Fs, Rfi, Tav e Ispa per le infrastrutture ferroviarie necessarie alla realizzazione del sistema dell'Alta Velocità. Nel mirino della suprema magistratura contabile due ipotesi di accollo dei debiti - una nel 1996 e l'altra nel 2006 - che hanno in comune "la scelta normativa di accollare debiti, insostenibili per il gestore del servizio pubblico, allo Stato". E la gravosità delle operazioni di prestito e la scarsa trasparenza amministrativa e contabile nella gestione del debito.
Nel primo caso, quello che risale più indietro nel tempo, l'operazione si è inserita nel "solco tradizionale dei prestiti di scopo, il cui ammortamento viene rimborsato dall'Erario, anziché con i proventi del servizio"; nel secondo ha assunto le forme del project finance atipico "con rischi interamente gravanti sulla parte pubblica" che, osserva la magistratura contabile, garantivano il finanziamento delle linee ferroviarie "con debito pubblico futuro, nemmeno acquisito alle migliori condizioni di mercato".
La Corte dei Conti è implacabile non soltanto nei confronti dei manager pubblici accusati di "gravi carenze e manchevolezze che hanno favorito il nascere delle passività successivamente assunte dallo Stato. Nella fattispecie in esame - scrive in un altro passaggio la Corte -, gli interessi dello Stato-proprietario dovrebbero essere tutelati anche attraverso la vigilanza su determinate scelte, separando la discrezionalità manageriale, assolutamente insindacabile, da eventuali decisioni irrazionali o immotivate che abbiano inciso direttamente o indirettamente sul patrimonio pubblico". Ma spietato è il giudizio su operazioni come quella dell'Ispa (ex Infrastrutture spa) in cui si "caricava meccanicamente sull'erario lo sbilanciamento tra ricavi e servizio del debito".
A finire sul banco degli imputati è soprattutto la gestione del progetto finanziario che si basava su stime "molto ottimistiche di flusso passeggeri e di utilizzazione della rete. "La scissione tra questa previsione, l'andamento dei lavori e le stime della utilizzazione della rete ferroviaria da parte dei soggetti interessati, nonché la stessa individuazione generica di questi ultimi senza riscontri di carattere programmatico e contrattuale - scrive la Corte dei Conti - hanno reso l'ipotesi dell'autofinanziamento meramente virtuale, inducendo il graduale abbandono del progetto iniziale, sancito con la incorporazione di Ispa in Cassa Depositi e prestiti, con contestuale accollo del debito correlato al patrimonio separato a carico dell'Erario".
Insomma, per la Corte dei Conti l'Ispa ha costituito un "diaframma operativo" sul quale non sarebbe comunque dovuto venir meno un dovere di vigilanza-ingerenza che consentisse una attendibile ricostruzione dei costi industriali, finanziari, di ammodernamento delle linee, progettazione e acquisto di nuovo materiale rotabile. "Il totale di dette previsioni, geometricamente superiore alla entità dell'indebitamento previsto, pari a 25 miliardi di euro, fortunatamente dimezzato nel suo concreto sviluppo, doveva essere confrontato con le ipotesi di copertura, costituite, secondo gli indirizzi più volte esplicitati in sede parlamentare, dai ricavi delle nuove infrastrutture", annota la suprema magistratura contabile che aggiunge: "La nascita di Ispa era giustificata dall'esigenza di reperire sul mercato di capitali le soluzioni finanziarie ottimali, sulla base di criteri di trasparenza e di economicità. È evidente come tali intenti siano stati smentiti".
Ma come è nata la decisione di creare Ispa? "La decisione di caricare sul bilancio statale gli oneri della fallita operazione di project finance è, probabilmente, anche conseguenza del fatto che fin dal 2005 Eurostat ha espresso perplessità sulla esternalizzazione delle poste di finanziamento Tav rispetto al bilancio pubblico, chiedendo la riclassificazione settoriale dei finanziamenti di Ispa a Tav. Nella buona sostanza, la posizione di Eurostat avrebbe abbattuto l'ultimo diaframma di questo project finance virtuale. Per chiarire, si può affermare che, mentre di regola il cattivo esito di un project ricade sugli investitori privati, nel caso di specie detto onere è gravato interamente sullo Stato" - scrive la Corte dei Conti che nelle conclusioni sottolinea: "Contratti di servizio e finanziamenti vincolati dovrebbero essere sufficienti per porre rimedio ad un simile pregiudizievole andamento ciclico di scarico degli oneri sui conti pubblici: la loro realistica e corretta gestione, unita ad un severo monitoraggio e vigilanza sul permanere delle condizioni ipotizzate, appaiono snodi ineludibili per prevenire le esperienze non positive venute alla luce a seguito della presente indagine. (...) In definitiva, la scelta delle modalità degli investimenti dovrebbe tenere conto dei fondamentali principi-guida dell'efficacia, secondo cui la fonte di finanziamento dovrebbe tendenzialmente generare le risorse necessarie per farvi totalmente o parzialmente fronte e dell'efficienza, che dovrebbe indurre a scegliere la migliore soluzione che ottimizza al massimo grado, a parità di risultati, il costo delle risorse; ciò nella fondamentale prospettiva dell'equità intergenerazionale, in base alla quale i soggetti che beneficiano dell'investimento dovrebbero essere anche quelli chiamati a ripagarne i correlati debiti".