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Cloe Piccoli
La città ristretta
30 Giugno 2013
Città quale futuro
In una intervista a Cino Zucchi, emerge la grande capacità comunicativa dei progettisti, rispetto allo schematismo burocratico degli urbanisti, che invece sarebbero per natura portatori privilegiati di una visione organica di città migliore.

In una intervista a Cino Zucchi, emerge la grande capacità comunicativa dei progettisti, rispetto allo schematismo burocratico degli urbanisti, che invece sarebbero per natura portatori privilegiati di una visione organica di città migliore. La Repubblica, 30 giugno 2013, postilla (f.b.)

Qual è il modello di sviluppo della città del futuro? In che modo sarà possibile costruire una viabilità sostenibile? E quale sarà il ruolo delle automobili nella nuova città? Ne abbiamo parlato con Cino Zucchi, architetto e urbanista, professore di Composizione architettonica e urbana al Politecnico di Milano, John T. Dunlop Visiting Professor in Housing and Urbanization alla Graduate School of Design di Harvard: «In fondo il modello della città antica, “a misura d’uomo” e con la compresenza di diverse attività negli stessi luoghi resta ancora, se aggiornato al contemporaneo, quello più valido», spiega Zucchi, fra i relatori del recente seminario “Infrastructural Monumental Center for Advanced Urbanism” del Mit.
«Con la rivoluzione industriale la città si è trasformata in metropoli attraverso la creazione di infrastrutture legate al movimento che hanno lacerato la continuità del tessuto urbano, dividendo tra loro le funzioni e creando grandi periferie collegate al centro da arterie “a misura d’auto”», continua l’architetto, in perfetta sintonia con gli ultimi studi internazionali sullo sviluppo urbano. Le ricerche più all’avanguardia in questo senso condotte dal prestigioso Massachusetts Institute of Technology, che con il suo progetto City Science, distribuito in ben ventisette laboratori di ricerca sparsi per il mondo, studia il futuro della città, sono arrivate alle stesse conclusioni: la ridensificazione del tessuto urbano, accompagnata da una razionalizzazione dei sistemi di trasporto, è la chiave di volta per mettere in armonia individuo e città. È l’obiettivo del masterplan per l’area di Keski Pasila a Helsinki dello studio Cza, Cino Zucchi Architetti, che negli anni ha elaborato proposte urbane per Monaco, Groningen, Deventer, San Pietroburgo, Herten, Lugano, dove ha appena terminato il nuovo ingresso della galleria Vedeggio-Cassarate.
A Helsinki il concetto è creare un luogo urbano denso e funzionalmente vario in modo da ridurre quasi del tutto la mobilità privata. «Nel progetto di Helsinki», racconta Zucchi nel suo studio di Milano affacciato sui binari della stazione Cadorna, «abbiamo pensato edifici alti con funzioni pubbliche alla base, uffici nella porzione inferiore, residenze ai piani superiori inframmezzate da serre collettive di incontro e gioco, ristoranti e palestre in cima. L’obiettivo era quello di miscelare tra loro le funzioni intorno a una sequenza di spazi comuni modo da ridurre al minimo l’uso dell’auto in un’area servita dal trasporto pubblico, treni regionali, tram e metropolitana». Ci saranno ancora automobili nella città futura? «Resteranno in circolazione, certo, ma avranno una funzione diversa.
A iniziare dalla Robo-Car, un’auto pieghevole per quattro persone, ideata al Mit e dal prossimo anno in produzione in Spagna», continua l’architetto. «Si stanno oggi studiando motori a energia alternativa e forme sempre più sofisticate di pilota automatico, in modo da integrare mobilità pubblica e privata secondo nuove modalità», riflette Cino Zucchi, che lavora da anni sul rapporto tra le nuove forme urbane e il paesaggio esistente alla ricerca di nuovi ambienti urbani sostenibili. «Studi recenti dimostrano quanto il modello suburbano, ovvero quello della città diffusa basata su strade a cul-de-sac e case unifamiliari, ancorché piacevole dal punto di vista individuale, rappresenti dal punto di vista energetico uno spreco inaccettabile: senza contare il consumo di territorio, un abitante dei sobborghi consuma circa due volte l’energia elettrica e tre volte l’energia combustibile di uno della città.
Un giornalista del New York Times, David Owen, racconta nel suo libro Green Metropolis come un abitante di Manhattan necessiti di molta meno energia di uno del bucolico Vermont». E se fra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso si è affermato il modello dello sprawl suburbano basato sul mezzo di trasporto privato, oggi molti vedono i caratteri di sostenibilità e di qualità della vita nel ritorno alla città. «In quegli anni il punto di vista in movimento di un ipotetico guidatore era diventato una nuova modalità di osservazione di una città-territorio non più riconducibile ai canoni classici», continua Zucchi. «Penso a libri importanti come The View from the Road di Kevin Lynch, AS in DS: An Eye on the Road di Alison Smithson - che viaggiava a bordo della sua Citroën DS per studiare il paesaggio - eLearning from Las Vegasdi Bob Venturi e Denise Scott Brown. Ma molte ricerche progettuali contemporanee - alcune delle quali documentate nella mostra “Energy. Architettura e Reti del Petrolio e del Post-Petrolio” curata da Pippo Ciorra per il Maxxi di Roma - tentano di capire quale sarà il rapporto tra la forma delle nostre città e l’evoluzione delle tecnologie di trasporto, considerando il ritorno alla densità urbana come uno dei principali strumenti per raggiungere una dimensione ecologica dell’abitare».
E proprio il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, rinnovato da Cza, racconta il rapporto tra evoluzione dell’automobile e stili di vita. «Un’auto è un frammento di cultura materiale, e spesso ci racconta dei costumi e dei valori di una società. Se la Ford T rappresentava il sogno dell’auto per tutti in un territorio in costante espansione, l’attuale miniaturizzazione della tecnica e il suo carattere sempre più interattivo corrispondono alla nostra presa di coscienza della limitatezza delle risorse e alla necessità di ripensare ambienti urbani dove la mobilità si integri con la salvaguardia del paesaggio».
Postilla
Il linguaggio dell'utopia, magari dell'utopia perfettamente a portata di mano: è lo strumento che ha fatto nascere l'urbanistica moderna tra le due guerre mondiali, la disciplina letteralmente esondata fuori dagli uffici municipali e andata a occupare le pagine delle riviste patinate, dai grandi concorsi per i piani regolatori e le nuove città negli anni '30, alle idee per la ricostruzione pianificata nel dopoguerra, alle unità di vicinato o alle new town … poi qualcosa è cambiato, e la capacità di comunicazione, addirittura la voglia o interesse a trovare consenso, a comunicare progettualità, pare sparita nel nulla. A comunicare idee, quelle che secondo il grande Daniel Burnham “rimescolano il sangue nelle vene” sono rimaste le cosiddette archistar, quasi sempre ridotte a poco più che testimonial pubblicitari di grandi interessi immobiliari, veri motori immobili della città contemporanea. Forse qualcosa sta cambiando, non tanto per iniziativa di chi dovrebbe darsi una mossa, ma grazie ai cittadini che si muovono per conto proprio. Ci vorrebbe davvero qualcosa in più, e l'ottima capacità di sintesi di Cino Zucchi in questo articolo ne è un esempio: si può imitarlo nel metodo? Se la buona urbanistica vuole riconquistare il consenso della civitas deve saper riproporre la sua visione della città (dell'habitat dell'uomo), esprimendosi con parole e immagini comprensibili a tutti. (f.b.)
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