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Claudia Fusani
La città ha perso i suoi luoghi: ripartiamo da lì
4 Aprile 2010
Terremoto all'Aquila
A un anno dal sisma, la redazione de l’Unità documenta il disastro di una ricostruzione sbagliata. Su L’Unità, 3 aprile 2010 (m.p.g.)

Prima i ragazzi si ritrovavano lungo la scalinata di S. Bernardino, sedevano a gruppetti, sguardi, qualche parola, gli amici, le amiche, lo struscio fino al Corso Vittorio e a piazza Duomo e al ritorno ancora la scalinata, monumentale, di pietra bianca, stile barocco, custodita ai lati dalle edicole dei santi. Alle spalle la basilica, intorno le montagne e il Gran Sasso. I primi amori. Il posto più sicuro e più bello del mondo. Questo prima, prima del terremoto.

Oggi i ragazzi si ritrovano al bar del centro commerciale. «Ed è molto triste, loro, i ragazzi, stanno diventando tristi...» dice il sindaco Cialente guardando la dolce discesa della scalinata ora piena di erbacce, detriti, le edicole ingabbiate nel legno e nel ferro. S.Bernardino è uno dei luoghi che fanno l’anima dell’Aquila, da generazioni testimone silenzioso di amori e passioni, delusioni e pezzi importanti di vita. «L’Aquila non ha più i suoi luoghi. Prima uscivi e non ti sentivi mai solo. Adesso passiamo la giornata in macchina. Come se voi a Roma la passaste sul raccordo anulare...».

L’Aquila oggi, un anno dopo, è ancora un non-luogo dove ti incontri e non chiedi come stai ma «tu cosa sei? A, B, C...», la classifica del danno delle abitazioni. Se sei E, che significa casa distrutta, sei in quello che il sindaco chiama «tunnel esistenziale». Da cui è difficile uscire. Aumenta l’uso degli psicofarmaci all’Aquila e nel cratere terremotato. Se ricostruire vuol dire anche ritrovare i luoghi dell’anima, quelli dove ti riconosci e ti senti a casa per sempre, la ricostruzione dell’Aquila può ripartire anche da questa scalinata. Riconsegnarla ai giovani. E al futuro. Riprendersi il passato. È urgente. Come, forse più, di tutto il resto.

Per la scalinata dei primi amori, dei sogni e dei progetti servono con urgenza centomila euro. «Non li ho» dice il sindaco, «mi devo inventare qualcosa. Lo devo ai ragazzi di questa città».

«Riprendiamoci l’Aquila» è scritto sul tendone bianco montato in piazza Duomo diventato la bandiera e il fortino della riconquista del centro storico proibito. Gli aquilani ci lasciano carriole e secchi, pensieri, idee, rabbia, progetti. È un luogo. Una stanza tutta per loro.

Un piano in nove mosse. È questo che ha in mente il sindaco e che il Capo della struttura di missione Gaetano Fontana ha spiegato in un libretto di 32 pagine intitolato: «Primo programma di intervento sperimentale con fattibilità a breve termine». Riguarda il centro storico dell’Aquila, 170 ettari ancora pieni di macerie, alberi sradicati e materassi marci. «Il sisma dell’Aquila è stato un evento oltre che drammatico anche molto complesso» dice il prefetto Franco Gabrielli. «Se escludiamo i quartieri fuori dalle mura, solo il centro storico è in assoluto il più grande d’Italia rispetto al numero di edifici vincolati». Non ci sono precedenti, nè con il Friuli nè con l’Umbria. Solo se si ha chiaro questo, si può capire perchè è così difficile ricominciare. Il Primo programma di intervento ha individuato sei aree, sei spicchi della zona rossa «più facilmente aggredibili». Dicono proprio così: aggredibili, come se il centro storico fosse diventato un nemico da combattere. Da aggredire, appunto. Andando in senso orario, partendo da ovest: zona Banca d’Italia-Belvedere; zona Lauretana; Santa Maria di Farfa; Porta Napoli est e Porta Napoli ovest.

Sulle mappe i confini sono già perimetrati. Si tratta di aree dove le case hanno in genere danni lievi (B-C, poche E), dove è possibile garantire l’allaccio di acqua, gas e luce e raggiungibili sia a piedi che con i mezzi. Luoghi dove è possibile riportare la vita e le persone. Quando? «Dal momento in cui si comincia servono tra i 60 e i 90 giorni». Ci sono anche i soldi, 2 miliardi e duecento milioni, gli unici stanziati finora. «Lo dico dal primo giorno, serve la tassa di scopo altrimenti i progetti sono solo parole» taglia corto Cialente.

Piano in nove mosse, si diceva. Le ultime tre riguardano altrettanti luoghi simbolo della città: piazza Duomo solo in parte recuperata; piazza Palazzo, dove era la sede del comune; piazza Repubblica, quella delle prefettura sulle cui macerie sono stati fotografati i grandi del mondo e relative first ladies. I simboli del potere religioso, civico e statale. Ma il sindaco vuole prima di tutto la gradinata di San Bernardino. Lo deve ai giovani. E al futuro di tutti.

Si vedano i video sul sito dell'Unità

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