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Maria Serena Palieri
«La città futura? La faranno i palazzinari»
7 Giugno 2006
Articoli del 2005
"Vezio De Lucia lancia un appello alla sinistra: bloccate la nuova legge urbanistica". Una intervista su l'Unità del 29 gennaio 2005

Gli «energumeni del cemento armato»: Vezio De Lucia rispolvera l’espressione che Antonio Cederna usava nelle sue prime battaglie per il Bel Paese, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, per definire coloro i cui interessi, sostiene, stanno di nuovo trionfando in questo 2005. Classe 1938, «da sempre», sono le sue parole, impegnato con Italia Nostra, De Lucia - l’«urbanista militante», definiamolo così, direttore generale dell’Urbanistica del ministero dei Lavori pubblici fin quando, essendo troppo scomodo, non fu destituito dal ministro dc Giovanni Prandini, poi storico assessore a Napoli con la prima giunta Bassolino, autore di una messe di saggi che, si è soliti dire, hanno spiegato l’urbanistica a chi urbanista non era - dalla Sala dello Stenditoio del complesso del San Michele lancia un appello. L’associazione celebra con un convegno il primo mezzo secolo di vita e qui circola questo documento contro la legge di riforma del territorio che, in esame all’VIII Commissione della Camera, è prossima ad andare in aula. Un appello che Italia Nostra sottopone alle firme dei cittadini. Ma i cui interlocutori politici sono da un lato i sindaci (i primi, spiega De Lucia, a essere spossessati dei loro poteri in materia urbanistica, se la legge passa); dall’altro però i partiti e la stampa di opposizione, colpevoli - giudica - di un interesse tiepido o nullo nei confronti della materia. La domanda sottesa è: per ignoranza o sostanziale concordia, su questo tema, col centrodestra? In vista delle elezioni, perora l’appello, i partiti dovrebbero chiarire come la pensano e cosa fanno «su un argomento così rilevante per il futuro del paese, le condizioni di vita dei suoi abitanti, la sorte stessa della democrazia».

De Lucia, il cinquantenario di Italia Nostra cade in un anno particolarmente sciagurato, quanto alle tematiche che l’associazione ha a cuore: il 2004 ha visto il ciclone Urbani sui beni culturali, il condono edilizio e il decreto delegato per la tutela ambientale; il 2005 nasce con la rimozione di Adriano La Regina dalla soprintendenza archeologica di Roma. Per vederla più rosea, diciamo «lunga vita a Italia Nostra»: di associazioni, come la vostra, che si battono per la tutela, ce n’è più che mai bisogno. La riforma del governo del territorio in esame a Montecitorio aggrava o migliora la situazione?

«Si va di male in peggio. La “legge Lupi” così viene chiamata perché l’estensore ne è Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, già assessore all’urbanistica al Comune di Milano e inventore di quello che io chiamo “rito ambrosiano”, ovvero l’urbanistica contrattata. Un’urbanistica che non vede più l’esclusiva competenza, in materia di decisioni, del potere pubblico, ma dove il pubblico contratta con gli interessi immobiliari».

E nel capoluogo lombardo il «rito ambrosiano» ha già prodotto danni?

«Milano è una città dove il rapporto classico tra piano regolatore e attività edilizia privata si è capovolto: sono i progetti edilizi, una volta approvati, a dettare il piano regolatore».Esportato su scala nazionale il «modello Lupi» dunque, è la sua tesi, produrrà sconquassi: quali?

«Vado in ordine di gravità. Primo: la legge cancella gli standard urbanistici. Cioè quei vincoli che sono stati conquistati grazie alle grandi battaglie degli anni Sessanta per migliori condizioni di vita sul territorio. Il decreto del 1968 garantiva una sorta di “diritto alla città”, espresso sotto forma di superfici minime assicurate a ogni cittadino italiano per ciò che concerneva i servizi essenziali».

A quanti metri quadri di servizi abbiamo diritto in quanto cittadini? Quanti ne stiamo per perdere?

«Nove metri quadrati di verde pubblico di quartiere e quindici metri quadrati su scala territoriale, due metri quadrati e mezzo di parcheggio, poi l’istruzione e altre attrezzature».

E invece, lo scenario futuro che cosa prefigura?

«Siamo al secondo punto: le scelte in materia di uso del territorio non saranno più di esclusiva competenza del potere pubblico, ma deriveranno da “accordi negoziali con i soggetti interessati”. E gli “interessati” non sono la totalità dei cittadini, ma i portatori di interessi economici».I palazzinari?

«Sì, i palazzinari. Terzo punto: la tutela dei beni culturali e del paesaggio viene scorporata dalla disciplina urbanistica, non fa più parte della materia. E allora ricordiamo che alcuni dei grandi risultati ottenuti, anche da Italia Nostra, per esempio a Roma la tutela di duemila ettari dell’Appia Antica, già lottizzata ma restituita a esclusivo uso pubblico col piano regolatore del 1965; la salvezza delle colline di Firenze, Bologna, Bergamo, Napoli; il grande parco, milleduecento ettari, delle Mura di Ferrara: a Roma anche Tormarancia, lottizzata e salvata, invece, col suo valore archeologico e paesaggistico: sono realtà che, con questo nuovo regime, non ci sarebbero».

Ma la trattativa coi palazzinari, in sede di piano regolatore, non è un compromesso necessario? Questa legge non ha il merito di rendere trasparente quello che finora avveniva sottobanco?

«Io dico che le pagine più belle dell’urbanistica del dopoguerra sono state scritte con assoluta limpidezza. Gli esempi fatti prima senza quella limpidezza non ci sarebbero. Mentre da domani saremo “costretti” a contrattare con la proprietà fondiaria».

Un altro urbanista, Paolo Berdini, in un articolo su Aprile di gennaio sostiene che le radici di ciò che avviene oggi - il trionfo di una visione neoliberista che, scrive, rende «le città puro fattore di mercato lasciato al libero arbitrio della rendita fondiaria e immobiliare» - sono in epoche più lontane. A inizio anni Novanta. Ad allora va fatto risalire l’inizio di un processo che abbatte quello che possiamo chiamare il Welfare urbanistico. E che interessa i cittadini in modo primario: un processo che ha fatto lievitare in modo astronomico i costi delle case nelle aeree metropolitane; che, per questo motivo, ha portato tra il ‘91 e il 2001 un milione di italiani ad abbandonare le città; mentre l’imprenditoria immobiliare guadagnava da pazzi, se - questo è l’esempio che Berdini porta - a fine 2004 una cordata di immobiliaristi guidati da Francesco Paolo Caltagirone sono riusciti ad acquistare la Banca Nazionale del Lavoro, uno dei maggiori istituti di credito. E se, aggiungiamo noi, oggi tra gli investitori più dinamici nel mondo dei media, dei giornali, ci sono proprio loro, i «palazzinari».

De Lucia concorda con quest’analisi del suo collega Berdini?

«Certo. Se la proprietà immobiliare si sottrae al rischio dell’autonoma determinazione del potere pubblico cosa succede? Che si valorizza in modo vertiginoso».

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