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Paolo Berdini
La città fuori centro
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Una sintetica esposizione del dramma delle città italiane, dalla scomparsa dell'edilizia sociale alla Legge Lupi. Da Avvenimenti, 5-11 agosto 2005

La vita delle periferie delle nostre città è segnata da tre grandi punti di discontinuità rispetto ai decenni precedenti. Il primo elemento è rappresentato dalla sostanziale scomparsa dell’edilizia residenziale pubblica nel panorama della costruzione delle periferie. Istituti per le case popolari, Ina casa, Gescal – strumenti che si sono avvicendati nella storia e che andrebbero analizzati e discussi singolarmente per rintracciarne luci ed ombre – hanno indubbiamente dato il volto alle periferie italiane e sono stati cancellati senza essere sostituiti da nuove prospettive.

L’ideologia liberista ha spazzato via ogni traccia di questi interventi. Sono anni che non vengono più finanziati interventi di edilizia sovvenzionata destinati alla parte meno protetta della popolazione. Vengono finanziate, peraltro molto esiguamente, cooperative di abitazione che possono risolvere il problema dell’abitazione ad una fascia sociale che ha già accumulato un piccolo risparmio ed è in grado di gestire il debito contratto con il mutuo. Ma di interventi pubblici nulla. Il massimo che si fa è acquistare orribili complessi edilizi che da anni non trovano alcun acquirente.

Non voglio qui sostenere che nella realizzazione dei nuovi quartieri pubblici tutto sia andato nel modo migliore. Sono troppo noti alcuni errori, sia in sede di programmazione, sia in sede di realizzazione, che hanno creato quartieri scarsamente vivibili o mal localizzati. Ma non si può negare la tensione culturale e il generoso tentativo di favorire l’integrazione sociale che erano alla base di quei tentativi.

È enormemente più grave il pregiudizio ideologico con cui dobbiamo fare i conti oggi, e cioè che deve essere cancellato qualsiasi intervento pubblico e che la realizzazione delle città è un fatto privato, da lasciare esclusivamente alle regole del mercato. Così nascono quartieri di densità ancora maggiore dei peggiori esempi speculativi degli anni Settanta, di pessima qualità architettonica, localizzati dove conviene alla proprietà fondiaria senza verificare se esistono i servizi di trasporto o sociali che garantiscono la complessità dell’abitare.

La seconda caratteristica inedita di questo periodo è che la nozione di periferia ha travalicato i confini dei singoli comuni e possiede caratteristiche metropolitane. Tutte le grandi città italiane presentano enormi fenomeni di abbandono residenziale: per stare agli ultimi due censimenti, le undici maggiori città italiane perdono complessivamente quasi un milione di residenti. Queste persone abbandonano le città a causa dei vertiginosi fenomeni di aumento dei prezzi immobiliari degli ultimi anni. Così, mentre una ristrettissima fascia sociale ha guadagnato in questi anni cifre colossali (i tre “giovani” immobiliaristi romani, insieme al meno giovane Caltagirone stanno in questo periodo facendo parlare le cronache italiane per gli acquisti di importanti banche o imprese nazionali) una grande fetta di ceto medio e popolare è stata costretta a cercare casa nelle enormi villettopoli che nascono intorno alle aree metropolitane.

Queste nuove periferie sono certo connotate da condizioni ambientali migliori che nelle città: le densità edilizie sono più umane e maggiori gli spazi verdi privati a disposizione. Ma a ben vedere esse sono la negazione della città, della ricchezza delle sue relazioni, della sicurezza della rete di servizi che aiutano il vivere quotidiano. Una larga fetta della società italiana sta facendo passi indietro nelle condizioni di vita, ad iniziare dalla ricchezza e dalla qualità dei servizi di vicinato. O, ancora, nelle modalità con cui si è costretti a risolvere il problema degli spostamenti tra casa e lavoro: gran parte di queste famiglie che si sono trasferite, a causa della storica assenza di reti di trasporto pubblico su ferro si sposta quotidianamente con mezzi propri, impiegando parecchie ore della propria vita in faticosi – e costosi – viaggi in automobile.

La terza caratteristica con cui si costruiscono oggi le periferie urbane è la realizzazione dei grandi centri commerciali che vengono realizzati in aperta campagna o in zone isolate dei tessuti urbani. La globalizzazione ha imposto una intensa cura di enormi centri commerciali: un sicuro affare per i grandi investitori economici. Le conseguenze, ovviamente, le pagano i cittadini: queste grandi concentrazioni commerciali impoveriscono la vita dei quartieri perché comportano la chiusura della piccola rete di distribuzione commerciale. Impongono un uso dissennato del territorio basato sull’uso dell’automobile. Insomma, mentre i quartieri delle periferie vedono scendere la ricchezza del tessuto urbano, i nuovi centri rappresentano i luoghi in cui si convive anonimamente accomunati solo dal consumo.

Nella costruzione delle nostre periferie emerge dunque il trionfo della città neoliberista. Ci troviamo di fronte ad un grande deserto sociale in cui i poteri forti dettano incontrastati le regole.

Converrà riprendere le cause strutturali. Della prima e più importante, la cancellazione di qualsiasi forma di intervento direttamente pubblico, abbiamo già detto. L’altro elemento che ha definitivamente spostato prerogative dalla sfera pubblica all’iniziativa privata è la sostanziale cancellazione della pianificazione urbanistica. Poche settimane fa la riforma urbanistica in chiave liberista, legge Lupi, è stata infatti approvata dalla Camera dei Deputati.

Essa afferma due cose di inaudita gravità. La prima è che i piani urbanistici si fanno insieme alla proprietà immobiliare: seppure edulcorato con alcune attenuazioni è questo il pilastro su cui si regge la legge. La seconda afferma che la fondamentale legge sugli standard urbanistici, e cioè quella grande conquista dell’Italia civile che prevede che sia garantita una quantità di servizi per ciascun cittadino, viene cancellata, sostituita dalla contrattazione volta per volta dei servizi da cedere. Un diritto collettivo viene mercificato e sottoposto alla oscura contrattazione con la proprietà immobiliare.

Il fatto che una parte dello schieramento progressista, come la Margherita, abbia appoggiato apertamente la legge Lupi, e che alcune associazioni culturali, prima tra tutte l’Istituto nazionale di urbanistica, si siano impegnate per far approvare la legge, dimostra quanto arduo sia il cammino dell’Unione di Prodi per costruire una reale alternativa al liberismo.

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