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Marco Guerzoni
La città è la norma
21 Dicembre 2005
Bologna
A Bologna la questione della legalità fa riemergere i principi fondativi della vita comune. Da il Giornale dell'architettura di dicembre 2005

Il Sole 24 Ore, nell’indagine sulla qualità della vita nelle città italiane relativa al 2004, colloca Bologna al primo posto della classifica. Le aree di valutazione che le garantiscono questo posizionamento sono principalmente il tenore della vita, la qualità del lavoro, dei servizi e del tempo libero. Si tratta cioè di quelle componenti qualitative che formano l’immagine della città, nel pensiero comune degli italiani. E sempre il Sole 24 Ore informa anche che la città felsinea è al penultimo posto per ciò che attiene la “criminalità”. Dato – anche questo – tutt’altro che inatteso, se non fosse per l’emerge, negli ultimi tempi, di una presenza insistente nelle cronache nazionali, delle azioni che si stanno mettendo in campo nella città governata da Sergio Cofferati, per contrastare “l’illegalità”.

L’impressionante copertura mediatica a documentazione delle attività per riportare la legalità a Bologna costituisce così un piccolo paradosso, se si prendono per buone le classifiche del prestigioso quotidiano di Confindustria. Da un lato i blitz nelle “banlieue” dei baraccati abusivi diventa una caso nazionale che invade i media come successe per le sanguinose faide di Scampia. Dall’altra l’immaginario collettivo di una nazione, corroborato dalle indagini statistiche, che vede Bologna campionessa della qualità della vita.

Sembra cioè che esista una città “percepita” e una, per così dire, “reale”. Quest’ultima, pur nelle mille difficoltà della sua metropolizzazione, è ancora, in fondo, il “benchmark” per le città medio piccole italiane ed europee. La città “percepita”, quella vissuta e camminata quotidianamente, dove le classifiche contano poco se sei tra i 40 mila studenti fuori sede che scuciono (magari in nero) fino a 500 euro per una stanza, quella sembra essere la palestra più interessante, cui dedicare attenzione e applicare il metro della legalità. Qualche numero può così aiutare a decifrare la percezione, perché è difficile ignorare, per esempio, che a fronte dei suoi 90 mila studenti universitari, la città offra soltanto 2 mila posti letto in strutture per il “diritto allo studio”, e che i restanti fuori sede debbano arrangiarsi col libero, ed insostenibile, mercato dei fitti.

Ma dall'altro lato c'è la Bologna del 65% di residenti con almeno una casa in proprietà, tendenzialmente anziani (col 26% di ultra sessantacinquenni Bologna è tra le città con più anziani del Paese), che sopportano costi e inflazione da primato nazionale: a giugno 2005, in città, l'indice dei prezzi al consumo segnava +5% per la componente legata ai costi per l'abitazione e l'energia. Così il sistema abitativo diventa un cane che si morde la coda, in una escalation di costi che erode la capacità di spesa tanto degli inquilini quanto dei proprietari.

Poi in una città con elevati tassi di ricambio sociale, in cui oltre il 60% dei residenti non è di origine bolognese e l'incidenza degli stranieri residenti è ormai vicina al 7%, diventa complicato mantenere in equilibrio il sistema delle regole, quando sono legate intimamente alla capacità dei cittadini di considerare Bologna la "propria casa" - da accudire, mantenere, "lucidare" - e non un luogo temporaneo di consumo e produzione.

D'altra parte però anche il governo urbano, a volte, non aiuta a questo fine. Si prenda ad esempio la programmazione delle attività commerciali, che sembra aver seguito lo spontaneismo più che la razionalità: alcune zone diventano così plaghe vuote di residenti e piene di uffici, che a notte sono territori di spaccio e degrado; o straordinari addensamenti di locali notturni fracassoni o pieni di vita - dipende dal lato in cui li si guarda - incompatibili comunque con la vita delle famiglie che vi abitano sopra o a fianco; e ancora fiumane di auto che assediano marciapiedi, passi carrai e corsie preferenziali.

Il caos prodotto dall'evasione diffusa delle (piccole?) norme che regolano i comportamenti di una collettività complessa come quella bolognese, finiscono così, inevitabilmente, per contribuire a percepire e praticare una città incivile e sregolata. A questo disordine comportamentale, forse, bisogna riferirsi per intendere a pieno la questione della legalità.

Che poi ad evadere le regole siano cittadini distratti, locali fracassoni, proprietari immobiliari senza troppi scrupoli, irriducibili dell'automobile, baraccati o spacciatori, poco importa. Il problema della legalità - in quanto principio fondativo della vita comune - non deve, per sua natura, proporre distinzioni di sorta. Bisogna però fare molta attenzione a non ostacolare la vita comune, e negare la città in quanto tale, per colpire l'illegalità. Sarebbe questo un danno peggiore di quello commesso dagli evasori.

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