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Mario Pirani
la cara e misteriosa bolletta della luce
29 Dicembre 2014
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«Ma non ci avevano detto che il mercato nel settore dell’elettricità avrebbe portato dei benefici? È allora tempo, ancora una volta, di qualche riflessione».

«Ma non ci avevano detto che il mercato nel settore dell’elettricità avrebbe portato dei benefici? È allora tempo, ancora una volta, di qualche riflessione». La Repubblica, 29 dicembre 2014 (m.p.r.)

Ho avuto occasione di sfogliare un corposo studio sui costi dell’energia elettrica in Italia. Esso è stato redatto da Rse, società dello Stato che sviluppa attività di ricerca nel settore. Alla fine quello che più impressiona un lettore generico è che la bolletta elettrica per gli italiani è la più cara di tutte. Lo sapevamo, ma non con così tanta differenza. Paghiamo la luce il doppio della media famiglia francese.

Viene spontanea e diretta la domanda: ma non ci avevano detto che il mercato nel settore dell’elettricità avrebbe portato dei benefici? È allora tempo, ancora una volta, di qualche riflessione. Andiamo per ordine. Fino a tutti gli anni Novanta esisteva il monopolista Enel e qualche azienda municipalizzata che producevano e distribuivano l’energia elettrica. Il suo prezzo veniva stabilito dallo Stato sulla base principalmente dei costi del petrolio e del carbone, tenendo comunque conto della situazione generale del Paese. Le aziende elettriche non avevano i bilanci in rosso, non erano forse efficientissime, ma tutto sommato non pesavano più di tanto sui contribuenti.
Arrivò poi una direttiva europea che impose di introdurre il mercato dell’elettricità (anche quello del gas). Un po’ difficile da comprendere come si possano applicare le regole di mercato su un prodotto “invisibile” al cliente. La modalità che noi scegliemmo fu quella di vendere gli impianti migliori dell’Enel a francesi e tedeschi. Poi dopo la svendita ci siamo messi a competere con loro in Italia. Il governo francese scelse diversamente: mantenne intatta la sua azienda di Stato (la Electricité de France - EdF), lasciando aperte agli altri le ulteriori quote di mercato disposte a competere. Alla luce di quanto è successo, sono stati più bravi loro. Le ragioni del mercato erano molto semplici: più concorrenza avrebbe portato a maggiore efficienza così che l’utente francese avrebbe avuto l’energia elettrica a minor prezzo. I governi dell’epoca decisero di fare ancor di più: privatizzarono l’Enel e la quotarono in Borsa, tenendosi il 30%. Lo Stato fece cassa ma il risparmiatore certamente no. All’epoca (circa 12 anni fa) ogni azione Enel valeva più di 8 euro, oggi 3,7. Per di più l’azienda è oggi oberata di debiti. Alcune aziende municipali seguirono la stessa strada (Acea, Aem,…), un disastro per i piccoli azionisti.
Per quanto riguarda il mercato va anche detto che è molto poca l’energia elettrica che viene gestita secondo le sue regole, in quanto deriva per il 30% da fonti rinnovabili immesse in rete con il beneficio di apparire bene di importazione meno caro di quello prodotto dalle centrali nucleari francesi. Allora continua ad aver ancora senso tenere ferme tantissime moderne centrali a gas? Sotto il profilo del regime tariffario, gli utenti finali si distinguono principalmente in due categorie: clienti in regime di mercato libero che si riforniscono direttamente senza intermediari e clienti in regime di maggiore tutela.
I clienti in regime di mercato libero rappresentano sia utenti industriali/ commerciali sia domestici che hanno esercitato il diritto a scegliere un proprio fornitore. In questo caso la tariffa elettrica applicata è definita sulla base di condizioni economiche determinate in regime concorrenziale fra gli operatori (venditori/compratori). Per le famiglie con consumi molto bassi si applica un regime cosiddetto di “maggior tutela” garantito dallo Stato. Il problema è che per poter soddisfare i consumi ed il benessere di una famiglia di oggi con tenore di vita “europeo” occorre impegnare una potenza di circa 6KW (lavatrice, condizionatore, ferro da stiro, forno,..). E guarda caso le tariffe odierne vanno a penalizzare proprio questa fascia di utenti, che finisce per pagare per tutti e che comprende anche negozi, artigiani e piccoli uffici.
La prima azione “democratica” da compiere consisterebbe nel far pagare in maniera proporzionale alla quantità utilizzata, in regime di mercato infatti chi consuma di più dovrebbe godere di sconti corrispondenti. Ma il vero nodo sta nella “struttura della bolletta”. Nonostante ci sia una diversificazione degli utenti finali per tipologia di consumo e di trattamento tariffario, tutti sono accomunati dalla stessa struttura di prezzo del kilowattora consumato, che include le seguenti componenti: costo di approvvigionamento (combustibili, produzione, commercializzazione,..); costo per il servizio di gestione del sistema elettrico italiano; costo dei servizi di trasmissione e distribuzione (trasporto dell’energia dalla centrale di produzione fino al cliente Terna ed Enel); oneri generali di sistema (incentivazione alle fonti rinnovabili ed altre voci); imposte.
È tra queste componenti che si deve andare a trovare la riduzione dei costi. Su quelli di approvvigionamento, una volta ottimizzata la gestione operativa delle centrali alimentate con combustibili tradizionali, il risparmio dipende dai prezzi internazionali del petrolio (in questo periodo la congiuntura sarebbe favorevole). Una sforbiciata sui costi di funzionamento del Gse (gestore della rete) e di altre società collegate non farebbe male (spending rewiew). Per quanto riguarda i servizi di trasmissione ad alta tensione e di distribuzione gli oneri pretesi dalle due società Terna ed Enel sono molto più alti rispetto a quelli praticati in Europa. Gli utili delle due società appaiono comunque eccessivi perché dovuti a questi elevati margini. Non sono necessarie strategie energetiche, ma urgenti misure di equità.
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