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La calda estate a Expolandia
23 Settembre 2010
Milano
A che punto è il saccheggio di risorse pubbliche (e private dei cittadini di oggi e di domani) battezzata “Expo 2015”. Un articolo del Comitato NoExpo

«Milano, maggio 2015, viene finalmente inaugurata l’Esposizione Universale più attesa della storia. L’enorme lavoro preparatorio, migliaia di cittadini che hanno portato idee e proposte in centinaia d’assemblee locali, ha dato i suoi frutti. L’Expo milanese sarà il primo a impatto zero: nessuna speculazione, nessuna nuova edificazione ma un grande lavoro di recupero, riutilizzo e valorizzazione del patrimonio urbano esistente; 200.000 visitatori attesi al giorno che si muoveranno solo con mezzi di trasporto pubblico a emissione zero. Per l’occasione Milano si è rifatta il look; il nuovo bosco urbano realizzato al posto del vecchio quartiere fieristico è il simbolo della prima città mondiale ad aver risolto i problemi energetici e della mobilità con un ricorso totale a energie rinnovabili, con una rete di linee pubbliche e percorsi ciclabili che non hanno paragone al mondo. I quartieri periferici sono stati trasformati in tante cittadelle dove cultura, socialità e vivibilità sono le nuove parole d’ordine. Il Parco Sud è diventato il principale fornitore di alimenti biologici alla città e costituisce il più vasto sistema di agricoltura periurbana d’Europa; una rete wireless gratuita fruibile da milioni di persone quotidianamente ha reso la metropoli più ricca dal punto di vista culturale, cognitivo, scientifico e tecnologico; il 40% del territorio comunale pedonalizzato. Questi sono solo alcuni dei fiori all’occhiello del Rinascimento ambrosiano. Insomma oggi Milano è una città dove chiunque vorrebbe vivere e il modello cui tutte le metropoli si ispirano per superare i problemi che stanno portando il pianeta al collasso….Purtroppo non sarà così…»

Sono passati tre anni da quando scrivemmo questa visione onirica di un Expo impossibile, introduzione del dossier contro la candidatura di Milano per Expo 2015. Da allora è successo di tutto, sono cambiate tante cose, non i motivi e le ragioni che ci portano oggi, settembre 2010, a continuare a lottare contro Expo e le logiche che stanno dietro il grande evento.

Il modello economico-sociale, sino al 2007, anno di esplosione della crisi che stiamo conoscendo, si è fondato sulla finanziarizzazione di ogni spetto della vita sociale, con intreccio fondamentale tra ciclo immobiliare e mercati finanziari, con la cartolarizzazione dei crediti concessi per l'acquisto della casa, con tutti i dispositivi finanziari di cui si è parlato. Parlando ad esempio della Spagna, tanto celebrata per le sue varie 'Esposizioni' assistiamo al crollo del ciclo finanziario immobiliare che ha travolto l'economia ed ha portato a una disoccupazione superiore al 20 per cento. Lo sfruttamento estremo delle risorse territoriali e la privatizzazione totale delle sue risorse sono componenti ineliminabili delle logiche di valorizzazione, analogamente accade per la privatizzazione ed esternalizzazione di quelli che un tempo erano definiti servizi pubblici, sia che si tratti di reti infrastrutturali che di reti di servizi alle persone. Inoltre il modello, da noi noto come “modello lombardo”, esalta la precarizzazione di ogni rapporto di lavoro. Questo modello di gestione del territorio è infine privo di qualsiasi dimensione strategica; crea e deve comunque ricostruire costantemente le basi del consenso alla propria gestione del potere e del territorio, in questo la mobilitazione mediatica attorno ai grandi eventi e l'altra faccia rispetto alla mobilitazione mediatica dei sentimenti di paura e razzismo.

In questo quadro “pre-crisi” Expo 2015 serviva per ristrutturare, ridefinire e ricomporre centri di potere economico, politico e finanziario, a perpetuare modello e profitti; oggi serve per drenare le poche risorse pubbliche rimaste e beni comuni da privatizzare, scaricando, secondo logiche da shock economy, sui territori e la collettività, i costi della crisi e della speculazione finanziaria e immobiliare. Nonostante tre anni di tagli, privatizzazioni, promesse future e deroghe legislative l’operazione non decolla, anzi il pesce Expo puzza sempre più di marcio, non solo per i sempre più evidenti appetiti delle organizzazioni criminali sugli appalti di Expo.

Expo è diventato un ospite ingombrante per gli stessi che avevano cavalcato a fini propagandistici ed elettorali, l’assegnazione della rassegna a Milano e all’Italia. Malgrado le sparate roboanti dei vari sponsor politici di Expo e le rassicurazioni tremontiane, appare evidente che soldi non ce ne sono, idee men che meno, e che l’unica certezza è che per fare Expo si devono regalare soldi, sottoforma di diritti edificatori, ai proprietari delle aree, per realizzare una rassegna che anche i meno scettici vedono già fallimentare sotto tutti i punti di vista. Non a caso i balletti e le lotte intestine al blocco politico-economico maggioritario nel paese sul controllo di Expo: o Expo resta un business finanziario e garantito con denaro pubblico o crolla tutta l’impalcatura e nessuno vuole rimanere con il cerino acceso in mano, a meno di non trovare nuovi equilibri e nuovi garanti, anche in materia di controllo sociale e dei “malumori” di piazze e territori.

La lettura a posteriori delle cronache dell’estate milanese conferma quest’analisi, anche in virtù di alcuni fatti, di portata nazionale, che ben si addicono a essere applicati alla vicenda Expo.

Innanzi tutto la vicenda Expo Spa. Dietro l’uscita di Stanca e la sua sostituzione con Sala nel ruolo di amministratore delegato, uomo vicino alla Compagnia delle Opere, è ben visibile la volontà del sistema di potere formigoniano, fino a questo punto abbastanza defilato, a prendere pieno controllo dell’operazione Expo, non accontentandosi più di gestire la parte infrastrutture e solo indirettamente, tramite Fiera, le vicende legate al sito Expo. Quest’accelerazione a riaffermare il proprio ruolo da parte di Formigoni è quasi contemporanea all’intreccio di inchieste e arresti che colpiscono esponenti di spicco della Regione Lombardia, uomini della Cdo, imprenditori, cosche, scoperchiando un marciume che va dalla movimentazione terra, allo smaltimento rifiuti, alle bonifiche con evidenti riscontri dell’interesse di ‘ndrangheta e mafia per partecipare al business di Expo. Le inchieste coinvolgono anche l’area di Santa Giulia, uno dei progetti fiore all’occhiello con cui la Moratti aveva presentato al B.I.E. la Milano del 2015.

Queste inchieste non fanno che confermare un quadro già evidente tre anni fa: Expo è una grande opportunità per ‘ndrangheta e mafia, lo strumento ideale per lavare soldi sporchi e arricchirsi di profitti puliti. In questi anni diverse inchieste della Magistratura hanno evidenziato il problema, solo Moratti, De Corato, Formigoni e il Prefetto sembrano non vederlo, preferendo distogliere l’attenzione dei milanesi, individuando di volta in volta pericolosi soggetti, cui rivolgere accuse e deliri securitari (rom, centri sociali, quartieri meticci, occupanti di case per necessità). Come se non bastasse, alla piovra criminale si somma la piovra politica, spesso affine alla prima come le indagini sembrano evidenziare, e in particolare il sistema di potere e clientelare che Formigoni e gli uomini della Compagnia delle Opere hanno in tutta la regione.

Oggi tutta l’operazione Expo si può dire sia gestita da uomini Cdo: da Sala, A.D. di Expo Spa, a Fiera, proprietaria delle aree, al tavolo Lombardia controllato da Formigoni, che si occupa di tutte le opere infrastrutturali, ai comuni più interessati all’evento (il sindaco a Rho, Masseroli l’uomo del PGT di Milano, i comuni della Brianza interessati da Pedemontana e altri progetti previsti in nome di Expo). La vicenda dell’acquisto delle aree, inoltre, rende ancora più chiaro che gli appetiti affaristici sono tanti e che s’intrecciano alle lotte intestine alla destra per le prossime elezioni amministrative. Lotte che sono già emerse sull’approvazione del Piano di Governo del Territorio di Milano.

Ed è proprio quest’ultimo strumento normativo a fornire le garanzie migliori per il business Expo. Infatti, il PGT, approvato a luglio e che dovrà passare in seconda votazione entro marzo 2011, sancendo la completa deregolamentazione urbanistica e il trionfo dei diritti volumetrici, permette di trasformare in diritti edificatori i soldi che non ci sono, per buona pace di Boeri e di quanti pensano ancora all’Expo-Gulliver gigante buono. Le volumetrie enormi previste dal PGT unite al trionfo della sussidiarietà nella gestione di quelli che erano i servizi pubblici (tema e business caro alla Cdo, ma anche alle Coop, come del resto il mattone) permetteranno ai privati che investono in Expo di trovare ben laute ricompense.

Saprà la città evitare tutto questo? E come? Questa è la scommessa dei prossimi mesi, salvo implosione su se stesso di Expo complice la borsa chiusa di Tremonti. La prossima campagna elettorale sicuramente si giocherà anche su chi la sparerà più grossa e darà più garanzie sul tema Expo. Già oggi assistiamo a un riposizionamento di tutta una serie di soggetti politici ed economici, trasversali agli schieramenti, sia in chiave nazionale che milanese. Strani feeling, candidature improvvise, riconoscimenti reciproci. In questo senso la candidatura di Boeri a sindaco, sostenuta dal PD, non è solo l’ennesima ambizione dell’archistar buono per tutte le stagioni (dal CERBA nel Parco Sud, a Ligresti, ai grattacieli di Garibaldi, al masterplan di Expo). Leggiamo in quest’operazione la volontà del pallido PD milanese e del sistema economico che vi ruota attorno, di volersi erigersi a garanti dell’operazione Expo e di quanto contenuto nel PGT, magari con un po’ di case in più per le Coop (già interessate al business Expo tramite la proprietà di Euromilano sull’area di Cascina Merlata). Soprattutto vediamo il centro sinistra ambire a un ruolo rispetto ai centri del potere economico-finanziario di alternativa credibile alla destra nel portare avanti grandi eventi e grandi opere, in un clima di maggior disciplinamento e controllo sociale e di accettazione di tagli e sacrifici. Come leggere se no le tante dichiarazioni estive di Penati e Boeri che reclamavano soldi e attenzioni per Expo? Siamo al ridicolo, con la proposta di nuove aree dove fare la rassegna (da Arese a Porto di Mare) e con Tremonti che si erge a paladino degli Expo-scettici, dopo aver devastato scuola, università e ricerca per trovare i soldi per le grandi opere. Così come fa sorridere l’ingenuità di chi scopre solo oggi i rischi speculativi legati a Expo e propina prima un inutile referendum dal sapore elettorale, imbarcando chi continua a ritenere l’evento una grande opportunità per la città, un referendum utile solo alla campagna elettorale di Boeri.

Un paese normale avrebbe già chiesto scusa al mondo e risparmiato soldi per altri impieghi ben più urgenti visto lo stato di crisi che vive l’Italia. Ma le iene del grande evento, banche e speculatori vari non si arrendono e confidano che nel sempre più confuso clima politico italiano, Expo vada avanti in nome dell’orgoglio patrio e dell’emergenza nazionale. Tutti amici, tutti fratelli, tutti sul carro con il sacco da riempire e guai a chi contesta. Sembra un fumetto e invece è il contesto in cui si annuncia l’ennesimo autunno di crisi e di lotte cui la politica non sa più rispondere se non con insofferenza bipartisan e ricette sociali ed economiche a senso unico. Chi critica i signori della crisi, i Marchionne, i finti sindacalisti o riformisti teorici del meno diritti e più precarietà, è considerato alla stregua di un pericoloso terrorista. Ai territori stufi di essere saccheggiati o inquinati si risponde con le manganellate, come con gli Aquilani a Roma, o a Chiaiano. Così come con i manganelli si risponde a chi lotta per difendere il posto di lavoro e la dignità dello stesso. E mentre accadeva questo, in un agosto silenziosamente bipartisan sono state rinnovate le deleghe alla Protezione Civile in materia di grandi eventi, Expo incluso, a chiarire che comunque non esiste altro Expo che non quello che hanno in mente lorsignori, costi quel che costi.

Solo un soggetto manca nella tragi-farsa: la popolazione della metro-regione Milano, coloro che pagheranno i costi diretti di Expo, così come sono assenti le tante vittime indirette, i “tagliati” nella scuola e nei servizi pubblici, i precarizzati. Sembra che Expo cali dall’alto e i soldi maturino nelle fantomatiche serre. Sappiamo bene che non è così, che la città sta già pagando i costi di Expo uniti e sommati a quelli della crisi. E sappiamo che le tasche degli italiani sono già troppo impoverite per poter arricchire una casta privilegiata ingorda e arrogante. Sappiamo anche che il prossimo voto milanese non risolverà la partita, se non si esce dalla logica “degli expo” o delle “olimpiadi” e non si pensa a un progetto di città, di convivenza sociale, di pubblico e bene comune, di nuovo welfare su scala metropolitana. Tutto questo manca nel dibattito, non solo milanese, perché non è funzionale alla metropoli onnivora cara al capitalismo globalizzato e che Milano ben rappresenta. Ma i bisogni e le emergenze restano e quindi la necessità che siano le persone, le popolazioni, i soggetti attivi sul territorio a ritornare protagonisti, condividendo saperi e percorsi reticolari di lotta e rivendicazione, a partire dalle emergenze più immediate: fermare il PGT di Milano (con ricadute positive a cascata sui PGT dei comuni metropolitani) e avviare un percorso virtuoso di ripensamento sulla città metropolitana, sul concetto di servizi pubblici e di mobilità, d’interesse pubblico e bene comune; uscire da Expo 2015 e costruire un movimento più ampio per l’abolizione della Legge Obiettivo (quella delle grandi opere e dei grandi eventi in deroga a tutte le norme e poteri speciali nelle mani di pochi); rilanciare la città con un patto sociale basato su un nuovo modello di welfare metropolitano, che garantisca continuità di reddito, servizi pubblici.

Comitato No Expo, settembre 2010;
info@noexpo.it

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