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Susan Watkins
La Blair's Revolution, figlia di Thatcher
11 Maggio 2007
Sinistra
L’abbandono del leader della “sinistra moderna” letto nel quadro della rottura dei confini tra sinistra riformista e neoliberismo. Da il manifesto dell’11 maggio 2007

Un altro primo ministro è disoccupato. Come Margaret Thatcher, Blair è stato licenziato dai colleghi di partito, che sperano di migliorare le loro sorti politiche senza di lui, invece che essere sottoposto al giudizio dell'elettorato, come sarebbe dovuto accadere. Ma anche se sotto molti aspetti il programma di Blair è stato una versione eufemistica, anche se più sanguinaria, di quello della Thatcher, lo stile con cui i due se ne sono andati è molto diverso. Il licenziamento della Thatcher da parte dei suoi colleghi conservatori fu una rappresentazione drammatica: l'annuncio dato davanti alla piramide di vetro del Louvre, durante il Congresso di Parigi che annunciava la fine della guerra fredda; le lacrime; una Camera dei Comuni affollatissima. L'uscita di scena di Blair avviene di malavoglia, su uno sfondo di autobombe e carneficine in Iraq, con centinaia di migliaia di persone uccise o mutilate dalle sue politiche. E Londra bersaglio primario di attacchi terroristici. I sostenitori di Thatcher, in seguito, si definirono orripilati da quello che avevano fatto. Persino i maggiori adulatori di Blair confessano invece un senso di sollievo nel vederlo andare finalmente via.

La premiership di Blair non sarebbe potuta esistere senza quella di Thatcher. Il New Labour emerse all'inizio degli anni '90 all'interno di un paesaggio sociale da lei trasformato. La tradizionale supremazia della City si era grandemente estesa, i servizi privatizzati, i sindacati ridotti a una nullità, le industrie del carbone e dell'acciaio cancellate. Privatizzazione e deindustrializzazione avevano visto una migrazione massiccia della popolazione dal nord verso il sud delle periferie e dei servizi, e un palese trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi. Il Labour Party fu anch'esso rimodellato. Dopo la sconfitta della sinistra nelle battaglie ideologiche degli anni '80, Neil Kinnock impose modifiche strutturali per eliminare l'influenza degli attivisti e avviò le campagne ispirate al New Democrat - cieli azzurri, bambini e una scipita promessa di «cambiamento«. Completavano il programma un rigido impegno all'austerità fiscale da parte del cancelliere ombra John Smith, e la promessa di graduali riforme per attrarre alleati.

Blair e Brown, nel succedere alla leadership nel 1994, dopo la morte di Smith. confezionarono il tutto in una forma più giovane, telegenica e manifestamente neoliberista e promisero di spingere il libero mercato fino ai confini dell'Ue e oltre. Se la Thatcher era trattata con rispetto e timore nella carta istitutiva del New Labour del 1996, «The Blair Revolution», una deferenza ancora maggiore era riservata alla Casa Bianca. Blair e Brown erano stati sostenitori accaniti del circuito di Washington sin dall'inizio della loro carriera. Mentre erano ancora all'opposizione, chiesero il sostegno unanime del governo ombra laburista ai bombardamenti di Clinton in Iraq del 1996. Anche se ora gli ammiratori di Blair presenti nel Guardian e nella London Review of Books parlano di «delusione» nei confronti del New Labour, il suo programma di militarismo neoliberista, confezionato a Chicago e a Washington, era noto ben prima della vittoria elettorale del '97.

I frenetici tentativi di Blair, una volta divenuto premier, di restare all'avanguardia dell'avanzata militare americana in Eurasia - sollecitando l'invasione di terra nei Balcani, contraffacendo fax sull'uranio «yellocake», creando falsi dossier sulle armi di distruzione di massa con i missili di Saddam in grado di raggiungere l'obiettivo in 45 minuti - si sono basati su una fredda logica politica.La City e le multinazionali britanniche hanno tutto l'interesse a sostenere l'espansione del libero mercato, e Blair si è affrettato a proporsi come cappellano militare dell'unica superpotenza la cui dotazione di armi poteva garantire tale espansione. In base alla «dottrina della comunità internazionale», scritta per lui nel 1999 da Lawrence Freedman, gli attacchi preventivi dell'America, l'occupazione di stati sovrani, potevano essere guidati da «un mix più sottile di interesse reciproco e proposito morale», le cui nobili ragioni avevano la precedenza sul diritto internazionale. Questo offriva una foglia di fico ai bombardamenti Nato sulla Jugoslavia, che ignoravano l'esistenza stessa del Consiglio di sicurezza dell'Onu. E potrebbe anche fornire una giustificazione retrospettiva al bombardamento anglo-americano del 1998-99, l'Operazione Desert Fox.

Con l'11 settembre, Blair è diventato un fanatico sergente reclutatore della guerra al terrore, inneggiando ai valori occidentali mentre le cluster bomb piovevano sui campi afghani. Già nell'aprile 2002 Brown aveva stanziato 3 miliardi di sterline per finanziare la forza di invasione britannica in Iraq. Si dice che Blair e Colin Powell abbiano osteggiato molto il piano iniziale di Rumsfeld, che prevedeva un attacco chirurgico alla leadership Ba'ath e un rapido ritiro, lasciando intatto il grosso dell'amministrazione statale irachena. La posizione di Blair, favorevole a una occupazione militare a lungo termine per ristrutturare l'Iraq secondo le esigenze «umanitarie» del libero mercato, ebbe il sopravvento. Bush sostituì Garner con Bremer, e la discesa nel caos sociale iniziata con l'invasione precipitò nell'incubo attuale. Secondo i suoi consiglieri, il vantaggio di Blair sul palcoscenico mondiale stava nella sua capacità di rassicurare gli americani circa la «nobiltà» della loro missione imperiale. Le elezioni Usa di mid-term, nel novembre 2006, hanno scavato la sua fossa politica.

In patria, la peculiare inconsistenza dell'egemonia di Blair negli ultimi dieci anni ha potuto contare sull'assenza di un'opposizione. Mentre Thatcher doveva vedersela con l'ostilità di settori importanti dei media, nel 1997 e nel 2001 Blair ha goduto dell'appoggio di tutti i giornali di Murdoch (Times, Sun, Sunday Times) più il Guardian, l'Independent, il Daily Express, il Daily Mirror, l'Economist e il Financial Times. Sotto questo unanimismo c'era lo sfinimento post-thatcheriano dei Conservatori. Il successo elettorale che il Labour ottenne nel 1997 si basava solo sul 31% dell'elettorato totale. L'astensione di massa degli elettori Tory fruttò a Blair una maggioranza storica - 413 seggi su 650, con i Conservatori ridotti a 166. Da allora, il voto laburista è diminuito ad ogni tornata elettorale - fino al 24% dell'elettorato nel 2001, e al 20% scarso nel 2005 - ma il perdurante insuccesso dei Tories ha favorito il governo laburista.

Fatalmente, per ogni speranza di rinnovamento politico radicale, Blair non è stato messo in discussione dalla sinistra. Almeno in Inghilterra (la Scozia è un caso un po' diverso), i liberal di sinistra che rifiutavano la rivoluzione liberista di Thatcher sono rimasti in silenzio mentre il Labour proseguiva sulla stessa strada - tagliando gli aiuti per i genitori single, aumentando le tasse universitarie, appoggiando gli affaristi del settore privato in progetti di istruzione e di salute pubblica. Ai poveri furono lasciate poche briciole, come i crediti fiscali o i sussidi per i centri per l'infanzia, a testimoniare la compassione di Brown. In nome della guerra al terrore, la sinistra Labour ha fatto approvare leggi da stato di polizia per trattenere i sospetti senza accuse o sottoporli agli arresti domiciliari. Solo 12 parlamentari laburisti hanno votato a favore di un'indagine sull'invasione. Leali a Blair, i sostenitori del Labour hanno appoggiato la guerra più dei Conservatori. L'enorme manifestazione contro la guerra che si è svolta a Londra nel febbraio 2003 si è risolta in niente, una volta iniziata l'invasione. Storicamente, questo è stato il maggior risultato per Blair: conciliare i critici «left-liberal» con l'ordine neoliberista e le sue guerre.

Nella stampa liberale, commentatori ed editorialisti hanno allegramente rimosso le prove della corruzione nel New Labour. Quando una donazione di un milione di sterline del presidente della Formula Uno produsse come risultato una speciale esenzione dal divieto di publicizzare il tabacco nelle gare automobilistiche, e un contributo di tre milioni di sterline al Millennium Dome del governo fu seguito dall'immediato rilascio del passaporto britannico al trafficante indiano di armi Srichand Hinduja, in fuga dal suo paese per accuse di corruzione, il columnist del Guardian Hogo Young scrisse: «Se la perfezione morale è lo standard, presto non ci saranno più leader».

Gli elogi a Blair hanno registrato un crescendo ad ogni nuova impresa militare. L'Economist lodò la sua «scioltezza emotiva» sull'Afghanistan, il Guardian elogiò «la sua abilità» nel presentare il falso dossier sulle armi di distruzione di massa irachene alla Camera dei Comuni». La piaggeria è andata a braccetto con l'accettazione di una nuova cultura di corruzione politica. Ben pochi hanno protestato quando Blair ha licenziato il presidente e il direttore generale della Bbc per avere mandato in onda un servizio che avanzava dubbi sull'esistenza delle armi di distruzione di massa irachene, o quando il direttore del Daily Mirror, contrario alla guerra, fu licenziato: era caduto in una trappola e aveva pubblicato fotografie taroccate di atrocità britanniche in Iraq, a quanto pare messe in scena con la connivenza delle forze armate.

Ricchi uomini d'affari hanno comprato posizioni politiche con sfrontata impunità. Una donazione di un milione di dollari al Labour fruttò all'imprenditore del bio-tech Paul Drayson un titolo nobiliare, un contratto da 32 milioni di sterline in vaccini con il servizio sanitario nazionale e un posto nel governo. Ora Drayson è indagato per un appalto di armi del ministero della difesa. Un'indagine sulle tangenti per vendite di armi all'Arabia Saudita è stata chiusa da Blair «nell'interesse della sicurezza nazionale». Persino l'Mi6 ha protestato, facendo notare che l'interesse nazionale non era in gioco.

L'autocompiacimento del New Labour è stato puntellato dall'effetto ricchezza della bolla immobiliare durata un decennio nel sud dell'Inghilterra, gonfiato dal ruolo della City come terreno deregolamentato per la finanza globale e dal boom dei consumi basati sull'indebitamento. Ma i tassi di crescita nel settore dei servizi nascondono una lunga recessione nell'industria manifatturiera e l'aumento di disuguaglianze regionali. L'occupazione è cresciuta grazie a lavori a tempo determinato o part-time: sì e no un terzo dei lavoratori britannici ha un lavoro permanente e a tempo pieno. Le fortune della classe media si sono divise, con il settore pubblico in declino mentre hanno prosperato le vendite e il marketing. Una working class desindacalizzata e deindustrializzata è stata riassorbita nel commercio, all'ingrosso e al minuto: il consolidamento in chiave blairiana del sogno di Margaret Thatcher.

Lo pseudo cambiamento di regime che vede l'ascesa di Gordon Brown non modificherà queste coordinate.

L’autrice è Editor della New Left Review. Traduzione M. Impallomeni

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