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Mario Centorrino
La bandiera del ponte davanti alle emergenze
10 Ottobre 2006
Il Ponte sullo Stretto
Il ponte sullo stretto come pretesto per rivendicazioni localistiche ed esercizio di contrapposte furbizie mediatiche. Da la Repubblica, ed. Palermo, 10 ottobre 2006 (m.p.g.)

La provincia di Catania decide di stanziare un milione, distogliendo la somma da altre utilizzazioni, per acquisire quote di una futura società costituita per la costruzione del Ponte sullo Stretto. Quasi in un ideale dialogo, il sindaco di Venezia, Cacciari, lamenta che il Ponte di Messina sottrae risorse preziose al programma d'interventi pubblici nel Nordest, dal Mose al passante di Mestre. Detto con brutalità, ci troviamo di fronte a due tentativi ben studiati di conquistare spazio nella comunicazione. Con obiettivi opposti. Da un lato c'è l'affermazione di un improbabile sicilianismo «fai da te» in grado di eccitare velleitari conati autonomisti, facendo dimenticare le emergenze quotidiane di una regione come la Sicilia, che giorno per giorno vede accrescere i suoi divari rispetto ai parametri europei. E dall’altro lato il vellicamento di una mai sopita passione "per la «questione settentrionale», alibi fortunato per tutti coloro che esitano nell'affrontare la simmetrica (ma le cose stanno davvero così?) questione meridionale.

Possiamo provare per qualche mese in Sicilia a dimenticare il Ponte e a concentrarsi su criticità più immediate? Non sarà facile. Il Ponte sullo Stretto è infatti al quarto ciclo di attenzione dal dopoguerra a oggi. Alla prima fase che vide il fiorire di fantasie progettuali ne seguì una seconda di attesa, nella quale l'ipotesi Ponte, che allora contava su un numero notevole di estimatori, bloccava di fatto scelte fondamentali per lo sviluppo dei trasporti in Sicilia. C'è stata poi, relativamente breve, ma intensa, la stagione del progetto, inaugurata da una precisa volontà politica sostanzialmente bipartisan, verdi e sinistra radicale a parte, che non trovava però, salvo nobili e disinteressate eccezioni, alcuna eco ideologica né sul piano regionale né su quello locale. Stagione esauritasi quando Prodi si presentò alle elezioni (e vinse) con un programma che teneva conto dei risultati di un ampio dibattito che attestavano una carenza di consenso nei riguardi dell'opera e precise istanze, invece per infrastrutture di maggior urgenza. Val la pena sottolineare che nel corso di quel dibattito, elevatosi di tono alla vigilia delle regionali in Calabria e delle amministrative per Messina, si contarono sulle dita di una mano le voci del centrodestra dissonanti con un corale rifiuto espresso dalla cosiddetta società civile e dai partiti di centrosinistra.

Ed eccoci al quarto ciclo: il Ponte come bandiera di un movimento che ripesca modelli di colpevolizzazione nei confronti dello Stato e pretese riparazioniste a fronte di ripetuti, torti e vessazioni. Con lo stesso ragionamento ci si potrebbe lamentare dell'assenza di una normale velocità nella rete ferroviaria, della mancata chiusura dell'anello autostradale, dell'inesistenza di un sistema aeroportuale non limitato a due poli e dell'insufficienza dei porti isolani. Invece è sul Ponte che appare più facile suscitare orgoglio e desiderio di vendetta. Ad Agrigento una popolazione si solleva al pensiero che la possibile costruzione di un aeroporto distrugga paesaggio e tradizioni. La stessa popolazione probabilmente voterebbe compatta per il sì in un referendum pro o contro il Ponte, indifferente al fatto che in questo caso vengano messi a rischio altri paesaggi e tradizioni. Il famoso complesso del Nimby (not in my back-yard).

Assistiamo dunque a un fiorire di iniziative che non producono alcunché sul piano concreto ma tengono accesa la passione. Perché solo un milione, verrebbe da chiedere all'amministrazione provinciale di Catania, da destinare al Ponte? Stanziate un miliardo. Trovate, e non sarà difficile un'entrata virtuale per non compromettere equilibri di bilancio e il gioco è fatto: si ritorna alla fase del ciclo del «ponte in cartolina», una struttura cioè fatta di parole che però si sovrappone per chiasso mediatico, annullandole, ad altre problematicità addirittura emergenziali.

Getta benzina sul fuoco l'incauta e scorretta dichiarazione di Cacciari, ignaro (ma come è possibile?) che la finanziaria 2007, salvo sorprese, ha di fatto — piaccia o meno, sia giusto o sbagliato — cancellato il Ponte. Anche lui evidentemente ha bisogno di evocare modelli riparazionisti. E menomale che il famoso federalismo fiscale, al momento, è solo tema di convegni sussieguosi e soporiferi.

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