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Antonello Mangano
Keynes sotto il Ponte
27 Ottobre 2009
Il Ponte sullo Stretto
Nell’intervista a Ivan Cicconi i meccanismi di un sistema che innalza i costi per la comunità a vantaggio dei soliti noti. Da il manifesto, 27 ottobre 2009 (m.p.g.)

«Sono politiche keynesiane alla rovescia. In precedenza si prendeva la ricchezza prodotta per redistribuirla, oggi si danno soldi a chi è già ricco. Sono costi che pagheremo per diversi decenni». A parlare è Ivan Cicconi, uno dei maggiori esperti di infrastrutture e lavori pubblici, commentando l'annuncio del governo della prima pietra del Ponte sullo Stretto. «La varianti come quella di Cannitello sono ad hoc per il Ponte, si tratta di opere funzionali al progetto». Cicconi ha denunciato già molti anni fa le storture dell'Alta velocità. Profitti privati, costi per tutta la collettività, cantieri lumaca. Oggi ravvisa nel Ponte lo stesso modello. Il keynesimo alla rovescia, Robin Hood al contrario: la ricchezza sociale che finisce nella tasche dei soliti noti: i grandi contractors, con Impregilo sempre in testa.

Esattamente quanto sostenuto nel libro "Ponte sullo Stretto e mucche da mungere": è «l'economia basata sulle partnership tra pubblico e privato che mungono attività senza rischio. Al primo soggetto spettano i costi, al secondo i benefici. È l'economia delle infrastrutture inutili, addirittura non volute ed imposte al territorio. È l'economia dei disastri e delle guerre».

Diventa dunque sterile disquisire di particolari tecnici, problemi ingegneristici, balle mediatiche o bluff elettorali. La "mucca da mungere" è un modello che esiste di per sé, è il cuore del problema. Il Ponte non è realizzabile? Un'ottima occasione per nuovi studi e revisioni di progetto. Le opere collaterali vanno fatte prima? Intanto si muove la solita economia para-mafiosa fatta di movimento terra, sub-appalti, cantieri eterni, lavoratori ricattati ed umiliati. L'esperienza dell'A3 ci racconta di continue revisioni dei conti, infiltrati mafiosi in pianta stabile, operai coinvolti loro malgrado in scene da Far West oppure morti in incidenti sul lavoro che non meritano neppure poche righe in cronaca.

Già nel maggio 2003 terrelibere.org scriveva: «Attenzione. Quando leggete Ponte, non pensate al manufatto da modellino, agli esempi virtuali dei computer. Meno che mai alla fattibilità, all'utilità effettiva dell'Opera. (...) Quando si dice Ponte si pensa a: cantieri, studi di fattibilità, commesse, ingegneri, parcelle, movimento terra, tangenti sugli appalti, pizzo sul movimento terra, ricorsi, avvocati, parcelle, interventi ulteriori, subappalti». A distanza di pochi anni, la facile profezia si avvera in un paese senza memoria.

Lo schema proposto per il Ponte, infatti, è identico a quello del Tav. Si tratta di un "metodo" datato 1991, durante l'ultimo nefasto governo Andreotti. Spiega ancora Cicconi, questa volta in una intervista del 2002: «Il sistema fu inventato dal fantasioso ministro Paolo Cirino Pomicino. Si crea una società dalla costola delle ferrovie, il Tav, che assegna i lavori alle solite grandi imprese. Il secondo passo è il project-financing, che consente di attivare finanziamenti privati. Che sono i prestiti per Tav spa, garantiti dallo Stato». Sostituendo al Tav la "Stretto di Messina" il risultato non cambia.

A proposito del Tav, d'altronde, c'è una storia illuminante. Negli anni '96-'97, il conflitto tra i piccoli imprenditori e i grandi che lavorano per i cantieri dell'Alta velocità era al culmine. L'associazione delle imprese medio-piccole produsse un "documento bomba" dove si diceva che, rifacendo quei contratti, e pur pagando le penali, lo Stato avrebbe comunque risparmiato circa 5 mila miliardi di vecchie lire. Dopo lunghissima riflessione, arriviamo al 2000: il ministro Bersani annulla i contratti. Il governo successivo li ha ripristinati. Tali e quali. Qual è il movente di questo modo di operare? Intanto reperire fondi che non ci sono e poter avviare i cantieri promessi. Secondo: spostare su una società privata un rilevante deficit pubblico che all'Unione Europea non risulterà e ci consentirà di non sforare sugli impegni comunitari.

Per quanto riguarda la data di consegna dei lavori, il ministro Matteoli ha indicato che nel tempo record di sei anni Sicilia e Calabria saranno collegate. Perché non ci crede nessuno? «Il general contractor tende a far durare i lavori più a lungo possibile e a farli costare di più», dice ancora Cicconi. «Perché questo è il suo interesse d'impresa e senza rischio di gestione viene meno la volontà di ridurre tempi e costi».

* www.terrelibere.org(ha collaborato Claudio Metallo)

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