Ytali, 6 giugno 2017 (c.m.c.)
“Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito” a cura di Antonio De Lellis (Bordeaux Edizioni 2017)
E se il debito fosse il frutto di una scelta ragionata per imprigionare i popoli? E se il tutto fosse finalizzato a impoverire i popoli asservendoli alle logiche dominanti della finanza e di un mercato neoliberista, ormai esanime, che distrugge posti di lavoro o uccide i lavoratori e il pianeta, la nostra casa comune? Da queste domande prende spunto il libro appena uscito Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito a cura di Antonio De Lellis (Bordeaux Edizioni 2017) a cui ho contribuito con un saggio su etica, economia e solidarietà sociale nella visione islamica contemporanea.
Il libro raccoglie vari altri saggi – di ispirazione cattolica e non – in cui gli autori ragionano sui diversi aspetti del debito e sulla costruzione di percorsi di aggregazione che possano invertire le attuali rotte di marginalizzazione e depauperamento per creare un percorso comune di giustizia, sostenibilità, uguaglianza e pace, affinché ci sia per tutti terra, casa e lavoro.
Il mio ragionamento sul “debito” si declina a partire da un versetto del Corano, a mio avviso tra i più belli, che esalta il valore economico della generosità: «E quando uno dona dei suoi beni sulla via di Dio è come un granello che fa germinare sette spighe, ognuna delle quali contiene cento granelli, così Dio darà il doppio a chi vuole, e Dio è ampio e sapiente» (Cor. II, 26).
Sono partita da questo per illustrare un diverso modello di sviluppo economico, welfare e solidarietà (per molti versi utopico), che l’islam, come religione, propone. La solidarietà sociale è l’asse portante del pensiero economico islamico contemporaneo, un filone relativamente recente di studi e ricerche che, a fronte della pervasività dei processi di globalizzazione, propone una reinterpretazione della propria “tradizione” culturale, basata sul Corano e sui testi degli autori medievali, e della “modernità” occidentale.
Ne nascono teorie e pratiche economiche connotate come islamiche, frutto in realtà di un processo di ibridazione con prestiti dai principi dell’economia di mercato così come dal socialismo. In ambito islamico, l’interdipendenza tra etica e attività economica ha prodotto fenomeni come la finanza islamica, che ormai ha superato i confini dei paesi islamici per affermarsi anche in Europa, ma ha anche elaborato un impianto islamico di welfare, costruito sulla rivisitazione dell’elemosina legale (zakàt) che grazie alla rete globale di internet sta sperimentando nuove e sempre più efficaci forme di raccolta e distribuzione.
Nella visione islamica, gli obiettivi di sviluppo non sono realizzabili senza tener conto del fattore umano, la cui tutela è garantita nell’ambito dello stato sociale. Gli interventi del welfare devono essere modulati in base a criteri di urgenza sociale: lotta alla povertà, famiglia, formazione e inserimento lavorativo. L’importanza della solidarietà sociale nella concezione islamica deriva anche dal principio secondo cui l’uomo, in quanto rappresentante di Dio sulla terra, altro non è che l’affidatario delle risorse terrestri: queste appartengono in ultima istanza a Dio e sono un bene collettivo di cui tutti (le generazioni presenti e quelle future) hanno diritto di godere. Da qui la logica del rifiuto della competizione “cannibalistica” proposta – secondo l’ottica islamica – dal neoliberismo e la sua sostituzione con una “competizione cooperativa”.
Gli economisti islamici contemporanei ravvisano nella razionalità mercantile proposta dal capitalismo internazionale e dalla spinta alla globalizzazione una nuova forma di imperialismo, un impulso alla crescita che non ha per finalità i bisogni sociali o individuali ma diventa fine a se stessa; l’umanità appare sempre più dominata da questa razionalità mercantile che privilegia le funzioni economiche e appare retta dai valori di efficienza e redditività. Viceversa, secondo Umar Chapra, uno tra i più noti economisti islamici dei nostri tempi, i paesi islamici hanno bisogno di un differente sistema economico capace non solo di garantire benessere e sviluppo, ma anche di soddisfare l’esigenza di fratellanza e giustizia.
Il sistema dovrebbe essere in grado non solo di rimuovere le disuguaglianze, ma anche di garantire una giusta riallocazione delle risorse in modo tale che siano assicurate sia l’efficienza che la giustizia. Dovrebbe essere in grado di motivare i soggetti ad attenersi ai suoi principi e ad agire non solo nel proprio interesse ma anche in quello della collettività. Tale riposizionamento del sistema economico è possibile solo attraverso riforme di politica economica e sociale tali che nessun individuo o gruppo possa trarre un ingiustificato vantaggio violando i principi base del sistema. Per creare un equilibrio tra le scarsità delle risorse e i bisogni è necessario focalizzarsi sugli stessi esseri umani piuttosto che sul mercato e sullo stato.
Gli esseri umani non possono diventare destinatari e mezzi di un sistema economico a meno che esso non sia basato su una visione d’insieme (una Weltanschauung) che restituisca loro un posto centrale. L’islam ha una Weltanschauung e una strategia armoniche con i suoi principi religiosi, che sono in grado di fornire una guida per una soluzione giusta e fattibile dei problemi che i paesi islamici si trovano ad affrontare, partendo dal presupposto che ci sia la volontà politica di adottare gli insegnamenti islamici e implementare delle riforme coerenti con tali principi. Dato che le economie di molti paesi islamici sono ancora in via di sviluppo, non dovrebbe essere difficile – sostiene Chapra – adottare un nuovo progetto e riorientare i sistemi economici e finanziari. Lo sviluppo non è, dunque, un fatto meramente economico; fede e etica hanno un ruolo fondamentale nella crescita di una regione (Chapra, Islam and the Economic Challenge, Markfield, 1992).
Fede, solidarietà e una forte morale possono fare da volano per lo sviluppo economico poiché creano unità e spirito di sacrificio. Per gli economisti islamici, il discorso religioso si integra con quello economico tenuto conto che etica e morale sono elementi fondamentali della realtà sociale ed economica.
Il welfare islamico oggi: modelli e prospettive
Lo studio su un modello di welfare islamico applicabile al contesto contemporaneo si colloca nel quadro del complesso rapporto tra tradizione e modernità, continuità e rottura nel mondo islamico e la ricerca (che riguarda un contesto ben più ampio di quello islamico) di modelli alternativi di sviluppo e protezione sociale rispetto a quelli convenzionali, rivelatisi spesso inefficaci o fallimentari nei paesi emergenti anche a causa di problemi economici strutturali e dell’incapacità delle classi dirigenti di conciliare crescita economica e programmi di welfare. Le politiche di aggiustamento strutturale e le riforme neo-liberiste implementate in molti paesi arabi negli ultimi decenni, con il conseguente ridimensionamento del ruolo dello stato, soprattutto nel campo dell’assistenza sociale e medica e dell’istruzione, hanno maggiormente dato spazio a iniziative islamiche di welfare.
In paesi come l’Egitto e la Giordania (ma possono spiegarsi in questi termini anche la vittoria di Hamas nelle elezioni politiche del 2006, così come il sostegno che Hezbollah trova in Libano), movimenti e partiti legati ai Fratelli Musulmani hanno guadagnato consenso anche grazie alle molte iniziative di welfare dal basso che essi conducono. In Marocco la crescita del Partito Islamico per la Giustizia e lo Sviluppo, ormai accettato nella scena politica specialmente dopo le riforme liberiste introdotte dal re Muhammad VI, è legata anche alla sua attività nei quartieri più poveri e al suo ben organizzato associazionismo femminile.
Nel sistema ridistributivo proposto dall’islam, l’elemosina rituale, uno dei pilastri della fede, gestita a livello statale, para-statale o tramite associazioni caritative locali e internazionali, è considerata da sempre il principale strumento operativo. Dal punto di vista dell’etica economica islamica, la società è un sistema cooperativo in cui l’individuo, agente responsabile, una volta soddisfatti i propri bisogni, si prende naturalmente cura di quelli degli altri secondo le proprie capacità.
L’odierna dottrina economica islamica sottolinea l’importanza di liberare la comunità dalla povertà, incoraggiando ciascuno a trasferire parte dei beni ai poveri. Si pone l’accento sulla riabilitazione e il recupero dell’autosufficienza, facendo sì che il povero ridiventi un membro produttivo del gruppo sociale. Prendendo spunto dagli insegnamenti coranici, dalla tradizione profetica e giurisprudenziale dell’islam classico, gli economisti islamici contemporanei cercano di sviluppare un modello macroeconomico basato sullo spirito cooperativo nei rapporti tra gli agenti economici. Essi enfatizzano il fatto che l’islam incoraggia la giustizia distributiva e assicura un dignitoso standard di vita a tutti i membri della società attraverso l’istruzione, la formazione, un lavoro decoroso, un giusto salario, la sicurezza sociale e l’assistenza ai poveri.
Per raggiungere questi obiettivi non si può prescindere dall’introduzione di un moderno sistema fiscale in cui l’elemosina legale (zakàt) deve, però, occupare un posto centrale. Essa assume dunque un grande valore, anche simbolico, nella costruzione di un welfare state islamico. Alle associazioni islamiche non è sfuggito che anche la raccolta delle elemosine poteva trarre vantaggio dalle grandi potenzialità della rete: ultima metamorfosi del lungo cammino di questo pilastro dell’islam dal medioevo ad oggi sono gli zakàt calculators, formulari elettronici che permettono di calcolare, e in genere anche di pagare on-line usando una carta di credito, la zakàt. Molte organizzazioni e ONG islamiche (tra cui le note Muslim Hand, Muslim Aid, Muslim Relief) hanno al loro interno uno zakàt calculator per raccogliere fondi con cui finanziare progetti assistenziali o di intervento in caso di disastri e calamità naturali, destinati prevalentemente alle comunità islamiche, ma non solo.
Il paradigma della secolarizzazione che ha dominato il secolo scorso sembra superato nel XXI secolo, insieme all’idea che la perdita di confini dell’agire umano avrebbe consentito l’espansione su scala planetaria di una cultura egemone. La globalizzazione ha, viceversa, messo a nudo i conflitti di cui soffre ogni società, e minacciato le identità storiche locali, esponendole ai rischi della loro relatività. I processi di globalizzazione stanno proponendo in modo nuovo, spesso sullo sfondo di eventi dolorosi, la centralità del problema dell’identità, collettiva e individuale. Il confronto tra globalizzazione e religioni – in quanto elementi identitari fortemente sentiti – si propone ormai in maniera sempre più evidente.
L’etica islamica permette di relazionare le scelte statali ai bisogni dell’uomo e di garantire un armonioso svolgersi della vita sociale. In tale contesto la necessità di dare spazio alle esigenze dei più deboli si traduce in un programma solidaristico e la solidarietà viene intesa come principio che consente di assumere in modo etico l’interdipendenza tra gli uomini. La trasformazione della beneficenza in solidarietà appare destinata a diventare “stile di vita” degli uomini migliorando il tessuto sociale della comunità: sapersi partecipe nelle emergenze, in interventi destinati al bene degli altri diviene fattore di elevazione personale che finisce col migliorare il tessuto sociale della comunità. La solidarietà assurge a presupposto nell’avvio di attività sociali e, in particolare, del fenomeno del volontariato. Più in generale si pone alla base di una riformulazione del rapporto tra economia, diritto e morale sociale. Le odierne pratiche islamiche di welfare rientrano dunque in un più generale progetto legato all’attualizzazione dell’islam e alla sua pacifica convivenza con l’occidente e le altre religioni.