«Così procede l'Europa, seguendo il fallimento della politica statunitense come un cagnolino addomesticato – così procede, sonnambula come tante volte in passato, verso nuove guerre e nuovi esodi».
Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2015
Gli attentati del 13novembre a Parigi sono stati perpetrati da assassini che hanno storie eprovenienze diverse, e sono tuttavia legati da esperienze comuni di foreignfighters, attratti dalla propaganda e dalle guerre dell’Isis. Molti di essi,intervistati, dicono di appartenere alla “generazione della guerra alterrorismo”: guerra scatenata da noi, cui gli affiliati dell’Isiscomincerebbero a rispondere spargendo sangue fin dentro l’Europa. Sempre dalloro punto di vista, a una guerra che ha ucciso migliaia di civili non si puòche rispondere con una guerra contro i civili europei.
L’Europa reagisce:“Siamo in guerra”. Un annuncio ovvio, la guerra è in corso da 14 anni. Quelche conta è capire come mai quest’ultima ha fallito e come combattere l’Isis.L’Europa reagisce anche con più controlli alle frontiere, e pure questo sarebbeovvio se non tendesse a mescolare rifugiati, richiedenti asilo e aspirantikamikaze, politica della migrazione e strategia antiterrorista.
L’unica guerra
ècontro i migranti
Alcunisostengono che fin dal naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 siamo alleprese, non solo in Europa, con una “guerra ai migranti”. Ma le fughe di massa ele migliaia di morti in mare e su terra sono il danno collaterale di una seriedi guerre che l'Occidente ha scatenato per ragioni geopolitiche in Afghanistan,Iraq, Libia, e prima ancora in ex Jugoslavia: regioni dove ha provocato, epresentato come soluzione, non la pacificazione che pretendeva ma il tracollodelle strutture statali e la loro settarizzazione, etnica o religiosa.L'Occidente ha acuito i conflitti appoggiando l'Arabia Saudita: è il casodello Yemen. In altri casi i profughi sono vittime di dittature che l'Unionefavorisce. La dittatura dell'Eritrea viene addirittura finanziata dall'Unione(e così per i paesi del “processo di Khartoum” di cui si è parlato al verticeeuropeo di La Valletta) nella speranza che il despota Afewerki trattenga ipropri fuggitivi, in galera o nei campi.
E qui che il discorsogeostrategico e la semantica dei rifugiati si congiungono. Il nome piùcorretto da dare a chi approda in Europa non dovrebbe più essere quello dimigranti, o ancor meno migranti illegali, ma di rifugiati: la percentuale deicittadini aventi diritto a protezione, sugli arrivi illegali via mare inEuropa, è stata quest'anno del 75 per cento, secondo l'Economist, soprattuttodalla Siria e altri Paesi in guerra o sotto dittatura. Ma dovremmo chiamarlicol nome che ha dato loro James A. Paul, ex direttore esecutivo del GlobalPolicy Forum a New York. I siriani, gli iracheni, i libici, gli afghani, sonoregime change refugees, rifugiati nati dalla cosiddetta esportazione dellademocrazia che ha caratterizzato il disordine unipolare a guida Usa nel dopo-guerrafredda. È un'espressione che i governi occidentali non useranno mai perché –spiega James Paul– “l’aggressiva bestia nazionalista dell'establishment deiPaesi ricchi non è disposta a imparare la lezione, e a prevedere la vampa diritorno scatenata da futuri interventi militari”.
La strategia militare del regimechange in Afghanistan, Iraq, Libia, ha prodotto caos e Stati falliti, finendocol dar vita e forza all'Isis. Ma l'esperimento è ricominciato tale e qualecon la grande illusione delle primavere arabe, illusione che a partire dal 2011ha ingenerato la campagna per abbattere in Siria Bashar al Assad, mentre l'Isise le forze siriane di al Qaeda hanno anzi ricevuto finanziamenti Usa. Lacampagna in Afghanistan è stata condotta con l'aiuto del Pakistan, quella inSiria con l'aiuto dell'Arabia Saudita e Qatar: sono gli Stati principali da cuiprovengono – fin dall'11 settembre 2001– i dirigenti sia di al Qaeda, siadell'Isis. Anche nello Yemen, la preoccupazione statunitense è stata dispalleggiare l'Arabia Saudita, in funzione anti-iraniana. Il 28 settembre, duegiorni prima di intervenire militarmente in Siria, Vladimir Putin ha dettoall'assemblea dell'Onu: “Chiedo a tutti coloro che hanno creato questa situazione: vi rendete almeno conto ora di cosa avete fatto? Temo che ladomanda non riceverà risposta, perché i responsabili non hanno maiabbandonato la loro politica, basata sull'arroganza, l'eccezionalismo el'impunità”. È difficile dargli torto. Ancora non sappiamo l'esito della suacampagna in Siria. Ma l'egemonia Usa e il suo disordine unipolare sono falliti,lasciando in eredità caos e disperate fughe di popoli.
La nuova Europa
è peggio della vecchia
Al “grande gioco” che ha la Siria come epicentro andrebbero aggiunte le questionigeopolitiche interne all'Unione. Fin dalla guerra di Bush jr in Iraq, nel 2003,l'Unione è divisa in due: una vecchia e una nuova Europa. La seconda vede sestessa come vittima della storia ed è priva di complessi su guerra, pace eautoritarismo. Non che la prima sia aperta ai rifugiati. Ma c'è un vasto arco,a Est, che sembra ignaro della Carta Europea dei diritti o delle ConvenzioniOnu sui rifugiati, e che con la massima impudenza costruisce muri e impedisceogni passo avanti sulla questione. Nelle sue chiusure, l’Est dell’Unione sisente più che mai rafforzato, in questi giorni, dagli eventi parigini. Parlodella Polonia in prima linea – visto il peso politico che ha nell'Unione –e della Repubblica Ceca, della Slovacchia, dell'Ungheria, dei Baltici. Averallargato l'Unione a questi paesi, senza porre condizioni stringenti eridiscutere i rapporti dell'Europa con la Nato, si sta rivelando una sciagura.La loro opposizione è netta a condividere le responsabilità nella sistemazionedei richiedenti asilo, ad accettare i piani di ricollocazione, a evitare laconfusione tra rifugiati e terroristi dell’Isis. Il governo slovacco accetta unsiriani, ma a condizione che siano cristiani. Affermazioni simili sono venutedal governo polacco precedente la vittoria di Jarosaw Kaczynski. L'Ungheriacostruisce muri e agita lo spauracchio di una società multietnica. Nei paesibaltici è del tutto assente una cultura di pluralismo etnico: in Lettonia laminoranza russa è ufficialmente apolide, privata di diritti civili fondamentali.
Ma il peggio ce lo hariservato Donald Tusk, già premier polacco, oggi presidente del Consiglioeuropeo, che ha pronunciato frasi indegne della carica che ricopre. Il 13ottobre, in una lettera ai colleghi del Consiglio europeo, ha scritto: “Lafacilità eccezionale con cui si entra in Europa costituisce uno dei principalipull factor” per migranti e profughi. Lo stesso argomento fu usato perl'operazione Mare Nostrum: salvava troppe persone e fu affossata per essersostituita da Frontex, che non fa più proattivamente Search and Rescue. Nellastessa lettera, Tusk ha auspicato un accordo con la Turchia sui rimpatri. È laparola d'ordine del momento (“la Turchia ci salverà, diventerà il nostro partnerprivilegiato”): questo proprio nel momento il cui Erdogan sta stabilendo unregime liberticida, colpendo i curdi in Siria e Iraq con la scusa di combatterel'Isis in nome della Nato.
Tusk fa capire chebisognerebbe dare qualcosa a Erdogan: “La Turchia ci sta chiedendo di sostenerela formazione di una safe zone nel Nord della Siria, opzione che Moscarifiuta”. Dovrebbe rifiutarla anche l'Unione, ma i suoi dirigenti non si pronunciano.In realtà, la safe zone serve solo a controllare e intrappolare i curdi in Siria.Il 22 ottobre, al Congres-so del Partito popolare europeo di Madrid, ilPresidente del Consiglio Ue ha rincarato la dose: “Dobbiamo smettere di farfinta che il grande flusso di migranti sia qualcosa che noi vogliamo, e chestiamo conducendo una politica intelligente di frontiere aperte. La verità èdiversa: abbiamo perso l'abilità di proteggere le nostre frontiere, la nostraapertura non è una scelta cosciente ma è la prova della nostra debolezza”.
Così procede l'Europa –fingendo di non capire cosa siano la forza e la debolezza, distorcendo parole ecifre, seguendo il fallimento della politica statunitense come un cagnolinoaddomesticato – così procede, sonnambula come tante volte in passato, versonuove guerre e nuovi esodi