Ridurre il controllo pubblico sulla gestione degli affari è sempre stato un obiettivo centrale del neoliberismo. Ha tutti i titoli per lavorare con efficacia per questo obiettivo l'autorevole esponente lombardo del governo renzusconiano; troverà certamente aiuto tra i suoi colleghi. Arcipelagomilano online, 25 marzo 2014
Mercoledì scorso il ministro alle infrastrutture Maurizio Lupi in un’intervista pubblicata il giorno dopo su la Repubblica dichiarava: “… Un altro risparmio lo otterremo prendendo una decisione forte ma che non è più rinviabile: e cioè chiudendo l’Autorità dei Lavori Pubblici … visto che si può integrare in altre Authority.”. Due giorni dopo l’intervista la procura di Milano mette in galera i vertici di Infrastrutture Lombarde, con a capo l’ingegner Rognoni messo lì da Formigoni insieme ai soliti amici della ben nota famiglia di ciellini della quale fa parte lo stesso ministro.
Ma quali sono le competenze di questa autorità? Tante, tutte utili ma fra tutte cito quella che fa al caso nostro: “vigila sui contratti pubblici, anche regionali, per garantire correttezza e trasparenza nella scelta del contraente, di economicità ed efficienza nell’esecuzione dei contratti e per garantire il rispetto della concorrenza nelle procedure di gara.”. La stessa autorità in una sua nota immediatamente successiva all’arresto del Rognoni scrive: “L’Autorità con propria delibera n. 29 del 30 luglio 2008 segnalò le anomalie, oggi venute alla luce con le indagini della magistratura, al Presidente della regione Lombardia, al Consiglio di Sorveglianza ed al Consiglio di Gestione della società IL. S.pA.” e aggiunge maggiori dettagli. Vi sembra poco? Dobbiamo chiuderla e integrarla con altre autorità? Siamo di fronte al solito caso italiano d’insofferenza per ogni tipo di controllo. Quest’autorità, visto l’andazzo dovrebbe essere potenziata ma soprattutto costituita da personale “veramente” indipendente e non raccogliendo burocrati dall’inesauribile casta romana.
Ma veniamo al caso specifico: Infrastrutture Lombarde. Che nei suoi affari ci fosse poca chiarezza l’ho detto e l’ho scritto fin dai tempi della mia collaborazione con la Repubblica e poi dalle pagine di codesto settimanale e non solo ma anche a orecchie sorde e disattente. Ma la cosa che desta maggior stupore è che l’opposizione in Regione negli ultimi anni non avesse “mai” avuto la curiosità di guardare dentro questa società che faceva girare milioni. Per altro non l’ha fatto nemmeno nella sanità, dove le cifre in gioco erano ben maggiori. Io credo che per i pubblici amministratori valga quello che vale per gli amministratori delle società private, l’obbligo della sorveglianza: dunque nessun innocente per quello che è successo, anche se la gravità delle colpe è molto diversa tra sorveglianti e sorvegliati. I primi a casa i secondi colti, con le mani nella marmellata, in galera. L’opposizione i poteri li aveva e l’accesso ai documenti pure, perché non sorvegliare?
Non si può che ridere alle affermazioni che la legalità è stata garantita dall’intervento della magistratura: chiunque l’abbia detto è un ipocrita. La magistratura è intervenuta su segnalazione di una vittima di malversazioni in appalto, non certo su segnalazione di qualche pubblico amministratore attento e onesto.
Ma quello che finalmente emerge dalle carte dei magistrati è una cosa ben precisa. Siamo di fronte a un’organizzazione ben radicata sul territorio, in grado di pilotare appalti, di assegnare incarichi di progettazione, consulenze legali, di promuovere candidati a cariche elettive e di farli eleggere, di sistemare amici in consigli di amministrazione, di affrettare, rallentare o bloccare carriere, di favorire società di ogni genere purché amiche e così elencando. Cauti però, salvo qualche grossolanità come nel settore della sanità, nel far circolare denaro che, come si è visto lascia tracce indelebili o quasi.
Siamo di fronte alla sottile strategia del baratto corruttivo che può essere messo in atto solo da un’organizzazione capace ed efficiente in modo che i percettori delle utilità siano tanti, difficilmente individuabili, lontani dal vertice cui però resta saldamente in pugno il “potere”, che in fondo è quello che conta perché il cerchio si chiuda. E il cerchio si chiude quando si è tanto potenti da rendere inoffensiva qualunque forma di controllo.
Che fare domani? Passare al vaglio tutti gli appalti e gli incarichi per consulenze e progettazioni e i relativi concorsi, con un vaglio fine, per accertare che non solo la forma sia stata rispettata ma anche la sostanza. Rivedere le scelte fatte per accertare che non vi siano state collusioni tra giurie e giudicati, che la cosiddetta “urgenza” non sa l’ampio mantello che tutto copre e occulta.
Da tempo tutti quelli che si occupano di criminalità organizzata denunciano l’assoluta inefficacia ai fini del contenimento di questo fenomeno e di quello più generale della corruzione che la alimenta, l’inefficacia dicevamo della legislazione sull’appalto pubblico: voci nel deserto. È arrivato il momento di mettervi mano. È competenza del ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Al secolo Maurizio Lupi. Siamo in buone mani?