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Paola Bonora
In quel piano sulla città i cittadini sono assenti
25 Gennaio 2007
Bologna
Prima analisi del PSC di Bologna, e prime critiche. A partire dal concetto di "città metropolitana" su cui occorrerà ritornare. Da la Repubblica, ed. Bologna, 25 gennaio 2007 (m.p.g.)

Strane coincidenze, un giorno si illustra il Piano Strutturale Comunale di Bologna e il giorno dopo il ministro Lanzillotta presenta la legge di riforma delle amministrazioni locali che istituisce le città metropolitane – tra cui Bologna. Evviva, si dirà da molte parti che speravano in questa decisione. Come la mettiamo ora con il PSC? Dato che salta la scala territoriale di riferimento e si dilata all´intera Provincia che nel disegno governativo sparisce sostituita dalla metropoli. Una transizione che era nell´aria da tempo, che cerca di sanare sovrapposizioni di competenze e duplicazioni di spese degli enti territoriali. Il PSC insiste invece, salvo marginali sbordature, sul territorio comunale. Disattento a ciò che da molto era noto ribolliva in seno a un governo amico. Una sfasatura che ne mette in crisi l´idea di fondo, la prospettiva urbanistica.

La Relazione illustrativa del PSC intende la città metropolitana come "conurbazione fisica" per "densità e continuità del suolo urbanizzato". Un´interpretazione che non tiene conto, a Bologna come in ogni città del mondo da trent´anni a questa parte, della dilatazione dell´organismo urbano. Che non è più un corpo compatto e uniforme, ma una ragnatela disseminata di gangli, in cui popolazioni e attività si sono decentrati a partire dagli anni ‘70. Su questo tessuto cresciuto senza ordine, polverizzato e informe, vanno pensate politiche di piano in grado di rafforzare le connessioni vitali, per dare unicità, coordinamento, fisionomia all´area degli interessi metropolitani. Una dimensione reticolare della metropoli che non è dunque solo metaforica ma scritta nei fatti.

Il PSC preferisce invece la città densa, compatta. Che è una buona regola trasportistica, ma che viene applicata alla sola Bologna cercando di riconcentrare ciò che è già diffuso. E andava invece finalizzata a un policentrismo metropolitano capace di razionalizzare il caos della dispersione. Attraverso una pianificazione di taglio territoriale più che urbanistica in senso tradizionale. Progettando la città dei cittadini decentrati nell´area vasta, non quella del continuum costruito (e da costruire, saturando i pochi spazi ancora vuoti).

Un PSC che ha anche buone intuizioni. La "città di città" viene infatti ricondotta a una logica funzionalistica. Di cui però quel termine implica il superamento, non negando la necessità di razionalizzazioni, ma affidandole a una concertazione degli interessi di natura plurima. A interventi cioè concordati in contesti e secondo procedure di decisione condivisa. Le "7 città", non a caso disegnate sugli assi morfologici, sono suggestive e sicuramente esprimono delle rappresentazioni utili al riassetto della città. Ma non è questa la città di città. Che va intesa invece come città dei cittadini, come insieme di polis federate nel corpo politico della metropoli.

Al PSC insomma manca una visione politica. Ignaro com´è da un canto della politica in atto a livello governativo, che riconosce la realtà metropolitana. E dall´altro delle sensibilità scaturite dalla critica al pianismo vecchia maniera, che da tempo propongono attenzione all´idea di cittadinanza attiva. Un piano insomma ancora di impronta modernista - senza neppure le mediazioni riformiste del buon welfare dei tempi andati - in cui i cittadini rimangono una variabile (tra le altre).

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