Ieri mi è capitato, ascoltando in diretta sulla radio il bollettino di guerra da Genova e non solo, di attraversare il ponte sul Po di Casei Gerola, alla confluenza dello Scrivia: beh, faceva paura. E non ero evidentemente il solo a cincischiarmi con impressioni del genere, visto che nonostante la pioggia battente e l’ambientino già poco accogliente di suo, c’era un po’ di pubblico ad ammirare lo spettacolo. E a guardare a valle della corrente, riflettendo sul fatto che oltre quelle cime di alberi che spuntano dalle acque limacciose, nel grande fiume si riversano poi dall’altra sponda l’Agogna, il Terdoppio, il Ticino. Si intuisce anche senza ragionare troppo, l’inquietudine che dal parmense in giù inizia a prendere la coscienza collettiva.
Ma questi sono ragionamenti sui massimi sistemi, anche un po’ faciloni e di bocca buona come il suo, Presidente, sul costruire troppo e male. Dato che quando il fango ti trascina via si tratta di faccenda più che mai terra terra, i massimi sistemi forse non sono il punto di vista più adeguato: restiamo sul pratico, come quel fiumiciattolo per ora non esondato che si chiama Lambro. Lei dovrebbe conoscerlo piuttosto bene, Presidente, visto che su quelle sponde ha iniziato a costruire la sua fortuna nel lembo del comune di Segrate appena fuori dalla Tangenziale che oggi si chiama Milano Due, lo stesso fiume che forse si intravede oltre i capannoni anche da qualche finestra degli uffici Mediaset di Cologno, o dalla cupola dell’Angelo Raffaele che l’amico don Verzé ho collocato in cima all’impero sanitario e cementizio rosicchiandosi altri pezzettini e pezzettoni di campagna nelle fasce attorno al fiume. Però in realtà vorrei parlare di una zona un pochino più a monte, un bel giro in bicicletta diciamo, cioè la Cascinazza a Monza.
Una zona che, dicono in tanti, tantissimi, non si deve costruire: perché non serve alla città, perché toglie un’area a parco di cui c’è tanto bisogno per tutti; perché, infine, elimina un’area di esondazione naturale alle piene del Lambro, che infatti lì si va a sfogare (stavolta non ancora) quando le precipitazioni, e l’urbanizzazione della Brianza a monte non dimentichiamo, ci fanno andar dentro troppa acqua. Solo propaganda antisviluppo, dicono da sempre i suoi sodali sostenitori e alleati, quella è una grande occasione per la città, e infatti dopo le ultime elezioni locali è stato spedito lì direttamente dalla capitale imperiale il viceré degli interessi superiori, che travestito da assessore al territorio (senza mollare la poltrona di sottosegretario o ministro, non ricordo) ha gestito tutta la grande variante del piano urbanistico necessaria allo scopo. E come si fa a rendere edificabile un’area di esondazione di un fiume? Nel modo più classico, ovvero imbrigliando in qualche modo le acque del fiume, con opere ingegneristiche.
Le quali opere ingegneristiche in primo luogo costano un sacco di soldi e di tempo, ma storicamente non ce la fanno mai, e poi mai, a star davvero dietro a tutti gli interessi scatenati dalla potenziale urbanizzazione indotta. I genovesi che oggi piangono le ultime vittime e svuotano le case dal fango probabilmente non hanno mai sentito nominare il prof. Ing. Gaudenzio Fantoli, luminare dell’idraulica che a cavallo fra XIX e XX secolo sviluppava tra l’altro gli studi sull’irreggimentazione del corso del Bisagno che hanno reso possibili ad esempio i progetti di Piazza Vittoria a Piacentini, o della Foce a Daneri, e in generale tutta l’infilata di strade e palazzi tra la ferrovia e il mare. Però a monte evidentemente le opere (e/o le manutenzioni periodiche indispensabili) non hanno retto il carico di un insediamento fatto a pezzi e bocconi, abusivo condonato, o del tutto legale ma sulla base di presupposti sbagliati. Con buona pace del luminare.
Anche a Monza, o in tanti altri casi simili, si trova sempre, magari pure in ottima fede, lo scienziato garante del progettone, realizzato o solo promesso, che risolve o dice di risolvere il problema. Ma anche nel migliore dei casi si tratta sempre e comunque di una soluzione locale, che il problema lo sposta a valle, e a valle c’è sempre qualcuno o qualcosa che ne soffre: gli vendiamo un altro bel costoso progettone locale? Che si fa per esempio con Milano Due e il San Raffaele, inondati dalla prossima piena del Lambro perché alla Cascinazza non si può più esondare? O alla Cascinazza stessa, quando il canale o chissà cosa realizzato a spese del contribuente non sarà più abbastanza, visto che ancora a monte si è realizzato un ulteriore progetto che impermeabilizza suolo? Non è una ipotesi peregrina, egregio Presidente: sta proprio davanti a casa sua.
Si tratta della cosiddetta Milano Quattro, prevista con apposita variante comprata al piano territoriale del parco fluviale: se ne è parlato qualche anno fa, e pareva davvero incredibile che un tizio senza problemi economici si giocasse quel magnifico spazio aperto, davanti a casa e fino al fiume, per farci l’ennesima palazzata fintamente “immersa nel verde” di fianco allo svincolo della prevista autostrada Pedemontana bi-partisan. Anche quella, c’è da dire, immersa nel verde grazie all’apporto ideologico dei compagni urbanisti che progettano le compatibilizzazioni, poco prima di presenziare ai convegni sulla piaga del consumo di suolo. E qui, forse, il cerchio si chiude, perché lei ci racconta sicuramente delle balle, quando dice che si costruisce troppo e male, ma non è assolutamente il solo a trattarci da imbecilli.