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David Ride Lane
In Italia c'è un regime e l'Economist l'aveva detto
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Da l’Unità del 19 Marzo 2005 questa intervista di Bruno Gravagnuolo al giornalista dell’Economist che rivelò come Berlusconi fosse inadatto a guidare l'Europa

Ride David Lane corrispondente dall’Italia dell’Economist dall’altra parte della Manica e dalla sua casa di Londra. Dove riusciamo a bloccarlo per telefono, distogliendolo da un «report» che deve consegnare subito al giornale. E ride con sibilo british. Quando alla fine di quest’intervista tiriamo in ballo il «modello Westminster». Per chiedergli se l’opposizione a Berlusconi debba essere «bypartisan» e costruttiva: «Westminster? Ma è proprio il contrario! Vuol dire contrasto duro e giorno per giorno al governo in carica». Ma non è solo stupore «politologico» quello di Lane. La verità è che il collega dell’Economist - coautore nel 2001 con Tim Laxton della celebre inchiesta sul Berlusconi unfit a guidare l’Italia - pensa che quel famoso modello bipolare sia stato letteralmente violentato dall’anomalia del modello Berlusconi. Anomalia mediatica, finanziaria, politica e istituzionale. Inassimilabile a qualsivoglia forma di governo conosciuta. Perciò Lane - baffi da ex ufficiale di carriera in Marina e ingegnere elettrico prima che giornalista - s’è presa la briga di spiegare ai suoi concittadini lo strano caso in questione. Con un volume dettagliato di pura storiografia giornalistica che ora giunge ai lettori italiani per Laterza: L’Ombra del potere (pagine 429, euro 19, traduzione di Fabio Galimberti, titolo originale è Berlusconi’s Shadow. Crime, Justice and the Pursuit of Power). Ovvero, fasti, nefasti, antecedenti e ascesa del signor B. Inquadrati nel famoso passaggio d’epoca dalla vecchia repubblica alla nuova, che nel giudizio di Lane conferma il trasformismo italico come autobiografia della nazione. Storia inverata nel miracolismo e nell’antropologia di un leader a cui tanta parte degli italiani ha dato il suo consenso. Per stanchezza, ingenuità, cinismo e mancanza di meglio... Morale: ce n’è per tutti, governo e opposizione, nell’analisi del «conservatore» Lane. Sentiamo.

David Lane, sono passati quattro anni dalla clamorosa inchiesta dell’«Economist» su Berlusconi «inadatto a guidare l’Italia». Ora il suo ultimo libro conferma la diagnosi, e in modo ancora più drastico. Perché?

«I risultati che gli italiani e non solo hanno potuto verificare, confermano che quella diagnosi centrava il bersaglio. E lo vediamo in tanti campi, dalla giustizia, all’economia, allo stile di governo, alle relazioni internazionali. Berlusconi ha deluso innanzitutto gli italiani più che gli stranieri, che peraltro non hanno mai riposto eccessive aspettative in lui, e nemmeno patiscono eccessivamente le sue scelte politiche. Sì, mi pare che siano proprio gli italiani i più delusi, o almeno dovrebbe essere così».

Ma dal suo osservatorio internazionale qual è la percezione che si ha del governo Berlusconi?

«L’abbiamo toccata con mano proprio in questa settimana. Con le ambigue e sfumate dichiarazioni sul ritiro delle truppe italiane dall’Iraq. Immediatamente seguite da una retromarcia di Berlusconi, che ha accampato il pretesto d’essere stato frainteso».

Sarebbe concepibile in Gran Bretagna, su tali argomenti, esternare in tv e tacere invece in Parlamento?

«No, e non solo in Gran Bretagna. Come minimo da noi verrebbe considerato un fatto molto anomalo, se non inconcepibile. Ma le anomalie come è noto sono ben altre...».

C’è il semestre europeo, pieno di gaffe, aggressioni e scontri, come sul caso Buttiglione...

«Infatti, e ho cercato di raccontare tutto questo nel mio libro. Guardi, per tagliar corto, voglio ripeterle a riguardo quel che ha detto Grahm Watson, capogruppo liberale britannico a Strasburgo. Ha parlato di fallimento personale di Berlusconi alla presidenza italiana del semestre. E ha detto che non aveva mai assistito, nei suoi nove anni e mezzo in Europa, a una presidenza preparata così male. Mentre negli altri casi il programma veniva allestito con anticipo di settimane, Berlusconi ha presentato il suo programma a semestre già iniziato, e per di più solo in italiano. Watson narra poi dei suoi colloqui romani di quel periodo con Berlusconi, ufficiali e a cena. Il premier diceva che tutti i giornalisti e i giudici erano dei “comunisti irriducibili”. E passò il resto di una serata a “raccontare barzellette come un piazzista di polizze assicurative”. Watson riferisce inoltre di essere uscito dal colloquio pensando che Berlusconi era completamente inadatto al compito».

Qualcuno potrebbe dire: i soliti inglesi snob e prevenuti contro l’Italia...

«Non c’entra lo snobismo. Sono solo i giudizi di Watson su certi comportamenti, riportati per filo e per segno nel mio libro».

Torniamo alle anomalie strutturali. Qual è a suo giudizio l’aspetto più preoccupante e senza precedenti del caso Berlusconi, e del modello politico che incarna?

«La cosa che più preoccupa politici e giornalisti stranieri sta proprio nel potere mediatico che Berlusconi esercita. Un filtro che gli consente di controllare l’informazione, privando gli italiani degli elementi per giudicare quel che accade. Da noi sarebbe una realtà inconcepibile, anche perché, da voi come da noi, la maggior parte della gente non legge i quotidiani politici per formarsi un’opinione, ma si abbevera alla tv».

Ritiene che ciò possa configurare un regime o qualcosa di simile?

«Non sono l’unico a pensarlo, ci sono tanti italiani a dirlo e a scriverlo. Il predominio sui media è inconcepibile e inspiegabile in una logica democratica. Per non parlare delle ricadute finanziarie e pubblicitarie del Berlusconi imprenditore, e insieme presidente del Consiglio: il famoso conflitto di interessi. Che il vostro premier non ha fatto nulla per dissipare. È un’anomalia davvero straripante, che esercita il suo peso anche nei confronti della magistratura. Aspetto tanto più rilevante se si pensa che l’ordine giudiziario indipendente è una colonna portante del vostro ordinamento costituzionale. Qui il pericolo è che si vada oltre i confini dell’ordinamento democratico».

Nel suo libro scomoda anche Mussolini. Non teme l’accusa di forzatura storica?

«No. I miei rilievi si riferiscono essenzialmente a ciò che Berlusconi stesso ha detto di Mussolini. Non è stato lui a dire che il Duce mandava la gente in vacanza? Che non è stato feroce e che non ha ammazzato mai nessuno? E poi tutte le sue imprecazioni contro i comunisti e contro il centrosinistra contengono sempre anche una vera e propria falsificazione storica, nei confronti dell’antifascismo e del suo ruolo storico. Trovo molto allarmante la svalutazione dell’antifascismo e della Resistenza, unita alla parificazione tra fascisti e comunisti in Italia. Qui non sono ammissimibili equivoci. I fascisti stavano con Hitler, erano dalla parte del torto».

E i comunisti?

«Senza alcun dubbio in Italia i comunisti hanno lottato per la libertà e per la democrazia. E i partigiani, anche quelli comunisti, hanno grandi meriti. Nessuna equiparazione è possibile con i ragazzi di Salò».

Insomma, lei denuncia un rischio molto forte di involuzione culturale e politica nella nostra democrazia. Una degenerazione già in atto. Ma lei sottolinea anche il ruolo del consenso degli italiani a tutto questo. Come lo spiega?

«Vorrei intanto precisare che non do giudizi moralistici o aprioristici. Mi limito a fotografare la situazione sulla base delle evidenze di fatto, raccontate in un volume analitico di oltre trecentocinquanta pagine. Quanto al consenso, è indubbio che la maggioranza degli italiani ha voluto questo governo. Anche perché l’influsso del potere mediatico è stato tale da convincere tanta gente per bene della bontà della politica di centrodestra. Certo, ci sono anche aspetti di mentalità ben precisa in Italia, per spiegare il credito concesso a Berlusconi. Penso al ruolo del perdono, tipico del costume cattolico. Nei paesi protestanti viene prima la punizione e poi il perdono. In Italia è il contrario. Beninteso, non è una questione antropologica o genetica. Scolpita nel carattere nazionale italiano. Il potere di Berlusconi è frutto di tante cose, dei media in primo luogo. E forse anche di una certa stanchezza sulla questione morale, dopo i traumi di Tangentopoli e le tragedie di Falcone e Borsellino. Allora l’Italia si trovava al bivio: ripulire la vita pubblica oppure rifluire, rinunciare. Purtroppo le grandi agenzie di opnione, dalla Chiesa ai media, non hanno insistito abbastanza su questa sfida davvero decisiva all’illegalismo».

Anche l’opposizione però avrà avuto i suoi demeriti, divisa come è stata e incapace di colpire al cuore l’anomalia berlusconiana per tempo...

«Il centrosinistra ha sbagliato a sottovalutare l’ingresso di Berlusconi in politica. E a non contrastare a fondo il conflitto di interessi nel periodo 1996-2001. Hanno pesato molto le divisioni e i personalismi. E poi la mancanza di un giusto equilibrio tra ragionevolezza e rigore. Credo che la coalizione di centrosinistra non abbia mai conseguito un buon punto di mediazione tra spinte estremiste e tendenze moderate, e lo abbia pagato».

Davvero ravvisa dell’estremismo, nel centrosinistra di oggi?

«Ci sono elementi che vanno ancora in questo senso, e che a mio avviso incarnano il passato e non il futuro»

Allora eccole servita la domanda delle domande, quella su cui molti litigano nel centrosinistra: con questo governo è possibile convivere in una logica bypartisan e costruttiva?

«Il bipolarismo modello Westminster? Significa posizioni polarizzate e contrapposte. Ogni giorno!».

I temi della legalità, del regime e del conflitto di interessi restano perciò irrinunciabili contro questo governo?

«Direi proprio di sì»

E sulla riforma istituzionale, sul premierato e quant’altro, sono auspicabili intese?

«Si può votare secondo coscienza su certi temi. Ma ora, se permette, le faccio io una domanda: il tentativo di intesa sulla Bicamerale ha prodotto qualche buon risultato?»

Berlusconi ha rovesciato il tavolo...

«Appunto

Unfit to lead Europe, l'articolo dell'Economist (maggio 2004)

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