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Eugenio Scalfari
Immunità, vergognoso privilegio medievale
13 Aprile 2004
I tempi del cavalier B.
Eugenio Scalfari, su Repubblica dell’11 maggio, riepiloga le ragioni per le quali molti ritengono che l’attuale Presidente del consiglio dei ministri sia un cittadino colpevole di molti gravissimi reati, comuni e politici.

"E' ARRIVATA la bufera / è arrivato il temporale / chi sta bene e chi sta male...": così cantava Renato Rascel trent'anni fa. Bisogna ricorrere alla triste risata dei comici e alla loro lungimiranza per capire meglio a quale punto della nostra "road map" siamo arrivati.

"Resistere" disse il giudice Francesco Saverio Borrelli davanti ai suoi colleghi nel gennaio 2002, all'apertura dell'anno giudiziario, e lo ripeté tre volte. Di fronte all'uragano mediatico scatenato da Berlusconi sulle teste di 46 milioni d'italiani adulti, a noi che facciamo un altro mestiere non resta che ripetere, ripetere, ripetere. Forse sarà stucchevole ma non abbiamo altro modo per tenere acceso un lumicino d'onestà intellettuale nel paese dove la comunicazione è la più monopolizzata e manipolata del mondo e dove il gioco delle tre carte non va in scena nelle suburre metropolitane o nelle piazze di paese, ma nella sala stampa di Palazzo Chigi e nel salotto rosso-oro del presidente del Consiglio. Perciò ripetiamolo questo catalogo delle bugie e del capovolgimento della verità e aggiorniamolo perché ogni ora che passa s'aggiunge un fatto nuovo di stupefacente enormità.

Tutto è cominciato con la lettera di Berlusconi al giornale di Giuliano Ferrara, poi con le "dichiarazioni spontanee" al processo Sme, poi con il comizio all'assemblea-quadri della Pubblica amministrazione, poi ancora con le ispezioni nella redazione del Tg3, e infine (per ora) con lo spot di 51 minuti a Excalibur l'altro ieri sera su Rai2 in prima serata.

Cinque giorni, cinque sortite riprese da tutte le reti televisive pubbliche e private e da tutta la stampa. Parla il presidente del Consiglio, diamine, che è anche imputato in tre processi per corruzione di magistrati (anche se da uno è miracolosamente scomparso per decorrenza dei termini), che tra un mese e mezzo diventerà presidente di turno dell'Unione europea e che controlla il 97 per cento dei media televisivi e una cospicua porzione dei giornali quotidiani e settimanali.

Ieri, parlando a Siena con i giornalisti in margine a un convegno di studi, Romano Prodi ha definito "indecente" l'intervista di Berlusconi ad Antonio Socci (Excalibur di cui sopra). Il presidente della Commissione europea non aveva mai usato un aggettivo di così totale squalifica nei confronti del massimo rappresentante di uno dei paesi fondatori dell'Unione.

Indecente e indegna ha detto Prodi aggiungendo "mi auguro che gli italiani ci riflettano". Lo faranno? Fino a che punto riusciranno a liberarsi dalla cappa della manipolazione mediatica che grava su tutti noi?

L'obiettivo dichiarato di quest'offensiva è di intimidire l'Ordine giudiziario riducendolo all'impotenza. Ma ce ne sono altri non meno rilevanti: intimidire l'opposizione, intimidire il presidente della Repubblica, la Corte costituzionale e più in generale tutte le istituzioni di garanzia, intimidire la stampa. Tutti questi obiettivi sono perseguiti con lucida pertinacia e dovizia di mezzi. Alcuni sono già stati in larga misura realizzati, altri sono in corso d'opera.

Secondo i disegni del nuovo Principe, dovrebbero andare a segno entro l'anno in corso e concludersi a fine legislatura con l'ascesa di "Mister B." al Quirinale con poteri di capo dell'esecutivo, alla francese. Se tutto sarà fatto come si conviene, gli italiani si godranno il regime (come altro chiamarlo?) fino al 2012. Ai posteri l'ardua sentenza. È fin troppo ovvio che ci saranno parecchi ostacoli da superare.

Perciò è già in movimento la tecnica dei veleni, inaugurata dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Telekom Serbia, dove s'è consentito a un faccendiere sott'accusa in Italia e in Svizzera per riciclaggio di capitali d'accusare di corruzione Prodi, Dini e Fassino. Poiché in quello stesso periodo Ciampi era ministro del Tesoro e quindi azionista di Telecom, vedrete che ce ne sarà anche per lui se non starà buono. La Commissione parlamentare s'è comportata come un ventilatore che schizza materia ignobile intorno a sé.

Analogamente il presidente del Consiglio nel comizio tenuto nell'aula del tribunale di Milano dove si celebra il processo Sme che lo vede imputato di corruzione di giudici. In quella sede, parlando senza subire né interruzioni né domande, il Principe ha di fatto messo in un colpo solo Prodi e Amato sul banco degli imputato al posto suo. Naturalmente non ha detto una sola parola sul reato dal quale dovrebbe difendersi; ha parlato d'altro, del prezzo al quale Prodi voleva vendere la Sme a De Benedetti, del maggior prezzo che fu invece realizzato dall'Iri nove anni dopo e di tangenti che sarebbero state versate, ma non ha detto da chi e a chi. I "media" della sua parte (quattro quinti del totale) ci sono andati a nozze.

"Un fatto è comunque certo - ha lapidariamente commentato il vicepresidente del Consiglio Fini - Prodi voleva vendere a 500 miliardi, ma la Sme fu poi venduta a circa 2000 pochi anni dopo". Ebbene: la Sme dell'84 era ben diversa da quella del '93 (nove anni dopo): piena di debiti, passivo alle stelle, obbligo per il compratore di non rivendere e di non scorporare l'azienda per dieci anni mantenendo lo stesso livello d'occupazione nell'84; nove anni dopo l'Iri aveva ripianato gran parte dei debiti investendo molte centinaia di miliardi nella società, che fu scorporata e venduta a pezzi fin dall'inizio con tanti saluti alla creazione d'un polo alimentare nel sud e ai livelli di occupazione di nove anni prima.

Quale delle due vendite - quella virtuale dell'84 e quella effettiva del '93 - sarebbe stata più utile all'economia italiana e allo Stato? Onorevole vicepresidente del Consiglio, la risposta non è affatto certa come lei sembra di ritenere; a lume di naso direi che la vendita effettiva del '93 si risolse in una catastrofe che non abbiamo ancora finito di pagare come contribuenti. Lei, tifoso della Lazio, dovrebbe ben saperne qualche cosa.

Visto che abbiamo parlato di Fini per logico sviluppo del nostro ragionare, fermiamoci un momento su questo personaggio che molti anche a sinistra giudicano migliore di Berlusconi, democraticamente parlando. Può anche darsi: battere nel peggio quel che Altan ha denominato una volta per tutte Silvio Banana è infatti un'ardua impresa. Ma anche Fini ci prova ogni volta che può.

Prendete il dibattito sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare, cioè dell'obbligo per i magistrati inquirenti di ottenere l'autorizzazione preventiva del Parlamento per poter avviare un processo contro uno dei suoi membri. Fini, come tutti i cani da pagliaio che fanno parte dell'alleanza del centrodestra, è schierato fino in fondo con Berlusconi. Nel suo partito c'è ancora qualche mal di pancia ma rientrerà, oh, se rientrerà! Dobbiamo comunque al bravo Gian Antonio Stella (sul Corriere della Sera dell'altro ieri) un rinfresco di memoria. Cito: "È ora che si sospendano gli stipendi ai parlamentari inquisiti, se non altro a quelli per i quali è stata chiesta l'autorizzazione all'arresto, che solo in virtù d'un privilegio medievale come l'immunità non hanno ancora fatto la fine del giudice Curtò": dichiarazione di Fini del settembre '93, quando già erano stati incriminati Craxi e Andreotti.

E più oltre, dopo il suicidio in carcere del presidente dell'Eni, Cagliari: "È inammissibile che si prenda spunto da questo suicidio per avviare la campagna di delegittimazione dell'inchiesta che la magistratura sta conducendo contro le ruberie del sistema di potere". Giuliano Ferrara conosce senza dubbio questi precedenti ma non ne parla mai. Neanche Vespa ne parla. E Socci. Perché il Fini del 2003 si è ravveduto, come Gasparri, come La Russa, come Storace, come Bossi. Miracoli di padre Pio? Potenza suggestiva di Silvio B.? Vai a sapere.

Nelle dichiarazioni "spontanee" rese al processo Sme il presidente del Consiglio ha spiegato ripetutamente che il suo intervento per mandare a monte la vendita della società dall'Iri a De Benedetti fu dovuto alla pressante richiesta di Craxi, allora suo predecessore a Palazzo Chigi. Di bugie ne dice più d'una al giorno il nostro capo del governo, ma questa volta ha detto certamente la verità. Apprendiamo dunque (si sapeva già ma ora ne abbiamo l'autentica certificazione) che il presidente del Consiglio Craxi, volendo bloccare un'operazione di mercato, chiese anzi pretese l'intervento di un imprenditore il quale non poteva dirgli di no.

Perché non poteva dire di no a una richiesta così anomala e sicuramente illecita? Per l'evidente ragione che l'impero tv berlusconiano era stato edificato sull'amicizia personale con Craxi e si reggeva - contro le sentenze della Corte costituzionale - unicamente su quell'amicizia e sui decreti-legge ad personam che ne derivarono. Il presidente del Consiglio di oggi è figlio di quello di ieri e ha il palato forte come il suo padre d'adozione. Semmai c'è da osservare che il figlio ha di gran lunga superato il padre.

L'istituto dell'autorizzazione a procedere - privilegio medievale secondo il Fini del '93 - fu abolito perché servì per quarant'anni a sottrarre sistematicamente i membri del Parlamento al controllo di legalità da parte della magistratura. Quando le evidenze erano così schiaccianti da non consentire l'omertà di casta, si faceva in modo di far avocare il processo dal tribunale competente a quello di Roma, non a caso denominato "il porto delle nebbie". Ed è esattamente su quel porto delle nebbie che hanno puntato i riflettori i magistrati di Milano nei casi Imi-Sir, Lodo Mondadori, Sme.

Poiché ho nominato poco prima Giuliano Ferrara, osservo che, proprio durante la trasmissione "indegna" di Excalibur il direttore del Foglio ha ricordato che i magistrati godono del diritto all'inamovibilità dalla loro sede; per simmetria, secondo Ferrara, i membri del Parlamento dovrebbero essere tutelati dal controllo di legalità della magistratura. Spettabile Giuliano Ferrara, l'inamovibilità non sottrae il magistrato al giudizio di giurisdizione, l'autorizzazione a procedere invece sottrae i parlamentari all'accertamento di possibili reati. Non si possono paragonare le pere con i pesci e lei dovrebbe ben saperlo.

È vero che Berlusconi, in quella stessa trasmissione, ha detto che l'autorizzazione a procedere sarà di rigore concessa in casi di flagranza del reato. Ha fatto anche qualche esempio: un parlamentare investe un passante e non lo soccorre; oppure viene sorpreso a compiere atti di libidine su un bambino; o ad uccidere un suo nemico. E la corruzione di magistrati per accomodare sentenze è una bagattella, signor presidente del Consiglio? Non è uno dei più gravi reati previsti dal codice penale? Cose da pazzi.

Eppure lui le dice e gliele lasciano dire, anzi è applaudito per averle dette. Ma obiettano: ci sono giudici politicizzati che incriminano per danneggiare l'onore d'un cittadino e rendono sentenze settarie. Quei giudici vanno dunque ridotti al silenzio. Chi sostiene questa tesi è nientemeno che il presidente del Consiglio, cioè il capo del potere esecutivo. Non è un'interferenza macroscopica mirante a intimidire per ridurre al silenzio l'esercizio della giurisdizione? Non è dunque una violazione intollerabile della separazione dei poteri? Quale concetto ha mai questa gente della separazione dei poteri? Che ogni potere amministri la propria giustizia a casa sua? Cioè che i panni sporchi si lavino in famiglia? O invece, come sta scritto in tutte le Costituzioni del mondo dopo il 1789, che ogni cittadino sia considerato eguale di fronte alla legge?

Gli "equidistanti" che passano il tempo a misurare la forza con cui un giorno danno il colpo al cerchio e il giorno dopo il colpo alla botte, suggeriscono alla sinistra "ragionevole", d'accettare il "lodo Maccanico", cioè la non procedibilità per le cinque più alte cariche dello Stato. E' ragionevole. Molto meno ragionevole è invocare una legge del genere (di modifica costituzionale) mentre è in corso da anni un processo che vede imputato un uomo che riveste una di quelle cariche. Ma sia pure. Fatela quella legge. Alla quale, per essere accettata, occorre almeno mettere due paletti. Primo: riguardi solo i titolari di quelle cariche e non altri. Secondo: la non procedibilità valga solo per il mandato in corso; chi ne gode non potrà concorrere ad altro mandato successivo che goda anch'esso della stessa esenzione.

Quanto all'immunità dei parlamentari, l'autorizzazione si è rimessa - se proprio si vuol ripristinare un filtro che fu abolito a furor di Parlamento appena dieci anni fa con 525 voti favorevoli, 5 contrari e un astenuto - a un collegio "terzo", composto pariteticamente da parlamentari e da magistrati. S'invoca tanto la terzietà, ebbene questo è il caso più adatto per utilizzarla.

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