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Fabrizio Bottini
Imbottigliata, farinosa, o impastata al cemento
26 Marzo 2009
Clima e risorse
Un caso classico di partnership molto privata e poco pubblica per spremere l'ambiente, dal dossier “Fare la pace con l’acqua” del nuovo trimestrale Cometa, n. 1, 2009

C’è Frank Lloyd Wright, avvolto in un mantello scuro, che scruta pensoso un orizzonte molto più ravvicinato di quello del suo deserto dell’Arizona: un basso tavolo al centro del quale campeggia inconfondibile la bottiglia dell’acqua San Pellegrino. La foto compare su un vecchio numero del mensile Urbanistica, negli articoli dedicati alla visita in Italia del padre dell’architettura “organica”: chissà cosa ne penserebbe, il progettista di Fallingwater, della montagna artificiale con cui un architetto dei nostri giorni, il francese Dominique Perrault ha imbottigliato le acque termali di San Pellegrino direttamente nella loro roccia, “ creando grandi blocchi in pietra, disordinati come i detriti di un ghiacciaio caduti a valle[1].

Immagine quanto mai significativa, quella dei grandi blocchi di pietra disordinati, soprattutto quando si guardano i disegni del progetto, letteralmente “caduto a valle” dall’iperuranio degli investimenti internazionali, su un centro termale della Valle del Brembo già famoso nel primo ‘900. Forse virtualmente ancor più famoso poi per l’acqua frizzante imbottigliata che circolava in tutto il mondo, fino a diventare negli opulenti anni ’80 oggetto di una indimenticabile discussione tra gli elegantoni newyorkesi devianti di Brett Easton Ellis in American Psycho. Insomma l’acqua strappata al territorio, non solo per metterla in bottiglia con un po’ di gas e rivenderla a caro prezzo sui tavolini della creative class globale, ma anche e sempre più per sublimarla in un ancora più lucroso e immateriale brand di rilevanza tanto ampia quanto più si allargano le onde della comunicazione. Spinte da una classica strategia di impresa: si cercano e si trovano “radici” nei territori locali, radici genuine, che poi impacchettate e transustanziate si rivendono, localmente ma non solo, cavandoci lauti profitti. Il che non sarebbe nulla di male se non avvenisse quasi sempre a spese esclusive (ambientali, sociali, e con consumo di risorse non rinnovabili, come il territorio stesso) delle popolazioni e degli ambienti inseriti nel “pacchetto”.

Guardando con un po’ di attenzione in più, insomma, il progetto dell’ archistar internazionale calato sulla valle del fiume Brembo, a fare da ciclopico sfondo alle tradizionali terme di San Pellegrino, giusto di fronte all’imponente mole del Grand Hotel sull’altra sponda, racconta benissimo a modo suo l’idea di sviluppo locale a partire dall’acqua.

Siamo in una delle tante articolazioni territoriali del sistema padano, e precisamente in una delle valli immediatamente affacciate verso la megalopoli delle pianure. Il fiume Brembo inizia a raccogliere le sue acque dai versanti più alti, su in direzione del passo San Marco (passaggio a nord-ovest mitico simbolico della Lega Nord), e poi si fa strada attraverso le seconde case delle stazioni turistiche, fino a sfociare in quella specie di escrescenza milanese che è l’area metropolitana di Bergamo. La megalopoli spinge, e risale il fiume insinuando da lustri fra le montagne la sua materia costitutiva: asfalto, cemento, e tempi rapidi di messa in opera. Poco più su dell’imbocco bergamasco della valle, il ridente borgo di San Pellegrino, col suo appeal turistico un po’ appannato e in cerca di rilancio attraverso la promozione pubblico-privata del territorio, come usa oggi.

I fatti, riassunti in poche battute [2], sono: un accordo di programma fra vari soggetti per la riqualificazione delle strutture termali, che comporta corposi investimenti in infrastrutture e trasformazioni territoriali varie. Nella migliore tradizione di questo tipo di interventi cosiddetti “integrati”, alla parziale deroga dalle procedure correnti corrispondono altri investimenti più o meno diffusi tesi al miglioramento della città, a interventi sociali, di formazione ecc. La cosa particolare nel caso specifico, però, è che la materia prima costituita dall’acqua sembra aleggiare ovunque come collante di identità, accordi, ambienti, ma allo stesso tempo essere ridotta a inafferrabilissimo brand. Tutto comincia a tenersi, se si prende in considerazione la qualità particolare dell’operatore privato coinvolto.

Si tratta infatti di Premium Retail, che come recita il sito web “è impegnata nella realizzazione di luoghi di alto profilo per produttori, distributori e consumatori”, luoghi che vanno intesi nella logica del complesso commerciale-turistico, se non esattamente dello shopping mall tradizionale mediato dalle forme più moderne del villaggio della moda, o di altre variegate innovazioni cosiddette mixed-use. E basta leggere un po’ meglio gli obiettivi di impresa per confermare la centralità di un tipo di sviluppo in cui quei luoghi prendono soprattutto la forma di metri cubi edificati, che siano i “grandi blocchi di pietra disordinati” dell’ archistar internazionale o altre più prosaiche aggiunte al panorama di valli e pianure, fino alle banalissime solite villette delle seconde case. Un modus operandi che del resto è piuttosto caratteristico (quasi da manuale, verrebbe da dire) di questa idea di sviluppo di iniziativa privata, applicata via via a territori relativamente deboli per un motivo o l’altro, che si tratti di aree urbane industriali che necessitano di rigenerazione, o di bacini turistici in cui sfruttare commercialmente le varie risorse naturali, acqua, suolo, paesaggio ecc.

Nel caso specifico, l’acqua assume valenze multiple e per molti versi inedite.

C’è quello base, dell’acqua come risorsa naturale, che conforma il fiume, la valle, e che ha dato origine alla prima attività turistica locale, ovvero le terme. Proprio a partire da questo nucleo originario iniziano però presto ad articolarsi gli altri due, che caratterizzeranno gli sviluppi “postmoderni”: il turismo alberghiero e delle seconde case che ruota attorno alle acque termali; la visibilità anche internazionale del marchio San Pellegrino veicolata dall’acqua in bottiglia e dai flussi della comunicazione pubblicitaria correlata.

Esiste infine un altro aspetto, per nulla secondario dal punto di vista dei territori direttamente coinvolti, rappresentato … ehm, dagli stati della materia. Ci insegnano sin dalle elementari infatti che l’acqua nel suo ciclo naturale assume via via varie forme: il vapore delle nubi, le onde del mare, il bianco della neve sulle cime delle montagne. Nella valle dentro la quale si colloca San Pellegrino, queste montagne servono anche, da parecchi decenni, da grande resort sciistico, degradato più di recente verso le forme di esurbio della megalopoli padana, con gli ex pascoli e pinete invasi da quartieri “periferici” di seconde case, a volte prima casa e mezza se si pensa che da Milano ci vogliono un paio d’ore scarse di macchina.

Il progetto di rilancio del brand abbraccia così davvero, è il caso di dirlo, tutti gli stati della materia acqua. Quello più corrente, delle fonti termali da cui in origine scaturisce il primo sviluppo turistico/immobiliare. Quello dell’immagine immateriale, “svaporata”, che la pubblicità dell’acqua e della neve irradiano in tutto il mondo. Infine quello concreto risultante dell’impatto locale, non a caso il più sottolineato dai critici: l’acqua impastata al cemento, che bene o male sembra rappresentare sempre lo sbocco di qualunque idea di “sviluppo integrato”. E che, come piuttosto noto, non fa benissimo a tutto il resto. Forse pensava a questo, Frank Lloyd Wright, scrutando quella bottiglia di acqua San Pellegrino.

Ma ad operatori che lavorano a colpi di “messa a punto di format adeguati al territorio” oppure di “gestione delle attività di pre e post opening in vista dello start up” [3] ovviamente frega assai poco.

Soprattutto pensando che alla cordata di soggetti si è “aggiunta” (si fa per dire) nientepopodimeno che la San Pellegrino/Nestlè in persona, piuttosto nota per le sue politiche locali.

Nota: per alcuni (solo alcuni) aspetti di quanto accennato nell'articolo, si veda il caso della vicina Piazzatorre (f.b.)

[1] L’intervento dell’architetto è tratto dall’opuscolo Premium Retail, Nuovo Complesso San Pellegrino Terme [2008] scaricabile in pdf dal sito www.premiumretail.it .

[2] Desumo le informazioni generali sull’accordo di programma per lo sviluppo locale da un articolo pubblicato dal quotidiano locale L’Eco di Bergamo, “S. Pellegrino, via all’accordo per Grand Hotel e Terme”, il 22 novembre 2006, in occasione dell’assenso della Regione Lombardia; e dal numero unico di un gruppo di opposizione in consiglio comunale, Il Ponte News, febbraio 2008 scaricabile dal sito www.nicolabaroni.it .

[3] Entrambe le citazioni da: a.b., “Gruppo Percassi: con Premium Retail verso nuovi investimenti immobiliari”, http://www.fashionmagazine.it 12 Giugno 2008

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