Queste elezioni del 9-10 aprile proprio non mi piacciono. Per niente e in niente. Se ne scrivessi, direi male di tutti. Perciò lascio perdere. Il che non mi vieta di inquadrarle e di metterle in prospettiva.
In passato esistevano veri leader. Un vero leader crede nei suoi ideali, combatte le sue battaglie elettorali con la sua testa, e non è disposto a qualsiasi bassezza pur di vincere. Invece in questa elezione trionfano più che mai i guru, i sondaggi e i colpi bassi. E i candidati sono finti nel senso che i loro discorsi sono scritti da altri, da specialisti in discorsi, e che quel che debbono dire o non dire è stabilito dai loro maghi e sondaggisti. Il momento della verità dovrebbe essere quello dell'incontro alla pari, in televisione, dei candidati massimi. Ma anche questo momento della verità non riesce a rivelare più di tanto. I contendenti si fanno allenare dai rispettivi «consigliori» e vengono più che altro imbottiti di punch lines, di battute a effetto; così il loro problema, al dibattito, è di ricordare al momento giusto la battuta prefabbricata da recitare.
In materia di duelli televisivi
America docet; e la dottrina americana è che in ultima analisi vince il candidato che ispira più «fiducia». Beninteso fiducia visibile, fiducia telegenica. Ma se è così, allora ci dobbiamo davvero spaventare. Perché i grandi imbroglioni sono tali proprio perché ispirano fiducia. Se non ispirassero fiducia sarebbero soltanto dei pataccari, dei furfantelli di poco conto. Ma se la fiducia è un'apparenza infida, allora di cosa ci possiamo fidare?
Come si dovrebbe sapere, esistono due tipi di comportamento elettorale: il voto retrospettivo e cioè sul consuntivo di quel che un governo ha fatto; e il voto, che dirò per simmetria proiettivo, di chi invece si regola sul preventivo, sui programmi e sulle promesse elettorali. Ma in queste elezioni il frastuono dei media raccomanda ossessivamente il voto sul programma. Il voto retrospettivo sui fatti, malfatti o non fatti del governo uscente viene dichiarato sterile e ridicolizzato come voto «dietrologico»: il che lascia il nostro povero elettore in balia delle sue facoltà divinatorie. Davvero povero elettore.
Per carità, ognuno è libero di votare con i criteri che vuole. Ma allora va anche lasciato libero di votare per premiare o, viceversa, punire chi ci ha governato. Chiedevo sopra come ci possiamo salvare dall'imbroglione che ispira fiducia. La risposta è di non badare alle sue promesse e di giudicarlo sul suo operato. E, a dispetto dei «programmisti », io mi regolerò così.
Mettiamo, per illustrare, che io sia un buon cittadino (che pertanto si sente in dovere di votare) «indeciso». Se leggo il programmone di quasi trecento pagine prodotto dal pensatoio prodiano temo che non mi sentirei di sottoscriverlo. Quel programmone è — come era previsto e prevedibile — un indigeribile pasticcio cucinato da troppi cuochi (undici, per l'esattezza). Ma fortuna vuole — per Prodi — che io non creda molto ai programmi. Non perché siano necessariamente disonesti. Però sono sempre gonfiati; e oggi sappiamo anche per certo che chi eredita il governo eredita un immenso debito (in prossimità del 110% del nostro Pil) e casse vuote, vuotissime. Il che mi riporta — per indurmi a votare — allo sputacchiatissimo voto punitivo. Che non sottintende che io rinunzi a sperare. Sottintende però che io debba intanto punire e rimandare a casa chi ci ha così bene disastrati da ultimo. Almeno questo.