Negli ultimi trenta anni, le società «occidentali» sono state ispirate da principi che sempre di più hanno esaltato il valore dell'individualismo come fondamento dell'organizzazione della società umana. I concetti di benessere e di ricchezza sono stati ridotti a quelli di benessere personale e di ricchezza individuale. La nozione di ricchezza collettiva non fa più parte della cultura sociale ed economica delle nostre società. Ciò che fu definito, fino a non molto tempo fa, il «tesoro pubblico», cioè le risorse finanziarie pubbliche, alimentate principalmente dalla fiscalità generale, è oggi considerato piuttosto come una forma di esproprio operato dai poteri pubblici sulla ricchezza de icittadini. Prelevare una parte della ricchezza prodotta di un paese, via la fiscalità, per finanziare la costruzione e la manutenzione di ospedali, di scuole, di acquedotti, di reti di trasporto urbano è sempre meno accettato come giusto e necessario. La sicurezza collettiva (l'esercito, la polizia) resta un settore dove il finanziamento pubblico è accettato. Per quanto tempo ancora? La maggioranza delle classi dirigenti dei paesi ricchi, imitata dalla classe ricca dei paesi poveri, è riuscita a imporre una visione utilitarista, corporativa e inegualitaria dei beni e servizi considerati essenziali e insostituibili alla vita e al vivere insieme. Secondo questa visione, i costi associati al loro accesso devono essere presi a carico, finanziati, dal consumatore del bene e/o del servizio, perchè, si afferma, anche questi beni e servizi fanno parte del campo dei bisogni e degli interessi individuali e non del campo dei diritti/doveri umani e sociali. Altrimenti detto, non siamo più degli esseri umani, dei cittadini, aventi diritto all'accesso all'acqua potabile, all'alloggio, alla salute, all'educazione perché esistiamo. Siamo stati ridotti a dei consumatori il cui accesso alla vita dipende dal potere di acquisto individuale in un contesto di scambi di merci e servizi obbedienti alla competizione per la sopravvivenza. Nel mentre nello stato detto del welfare, l'accesso a tali beni e servizi era garantito a tutti, anche alle persone deboli, povere; oggi solo i forti, sovente già ricchi, riescono ad avere l'accesso alla vita in maniera adeguata e degna di un essere umano. Le nostre società hanno ritrovato la grande povertà e sono frantumate da vecchie e nuove forme di esclusione, di ineguaglianza e d'ingiustizia. Ognuno di noi è in competizione/rivalità con tutti gli altri nella lotta per l'accesso ai beni essenziali. La società attuale è fondata sul principio dell'inevitabile esclusione dei meno competitivi, dei più deboli. Essa ha fatto della violenza il principio regolatore delle relazioni tra gli individui, i gruppi, le città, i popoli. Oramai, l'altro è necessariamente una minaccia, un nemico, un illegale. Su queste basi è impossibile costruire un vivere insieme «sostenibile», specie sul piano umano, né a livello locale, delle comunità, né a livello nazionale italiano. Figuriamoci a livello continentale o mondiale. Quel che diventa possibile è solo la creazione di mercati, di «città-mercati», e la costituzione di forti centri di potere, di «imperi», fondati sulla logica di conquista e di dominio. In questo contesto, la forza del diritto che ha rappresentato una delle conquiste sociali maggiori del secolo XIX è rimpiazzata dal diritto della forza. L'evoluzione della società italiana degli ultimi anni ne è un caso emblematico E' urgente ripartire dal vivere insieme sulla base della (ri) costruzione e della promozione di beni comuni quali l'acqua (contro la sua «petrolizzazione» e «cocacolizzazione »), la conoscenza (non si può accettare l'appropriazione privata dei saperi e la mercificazione dell'educazione, in particolare dell'università), la salute (opposizione alla privatizzazione del sistema sanitario), il territorio (contro l'attuale dissesto idrogeologico generale), la bellezza (risanare il patrimonio del paesaggio e dei beni culturali). Una vita umanamente degna e un vivere insieme costruttivo sono un diritto universale e un dovere collettivo. Da qui, l'inevitabilità della responsabilità e della cura comuni di tutti i beni e servizi essenziali e insostituibili alla vita. Il prossimo governo nuovo ha una grande principale sfida storica da raccogliere: deve diventare il primo governo dei beni comuni.