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Giorgio Nebbia
Il volto oscuro della società dei consumi
7 Giugno 2016
Giorgio Nebbia
Il 5 giugno di ogni anno si celebra la, quest’anno quarantaquattresima, giornata dell’ambiente proclamata nel 1972

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in occasione dell’apertura della Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma sul tema: “L’uomo e l’ambiente”. Quest’anno le Nazioni Unite propongono come tema la lotta al commercio illegale di specie vegetali ed animali e di loro parti come le zanne di elefante o le pelli di tigre. Un problema importante perché tale commercio è alimentato dal bracconaggio e da operazioni illegali e criminali che provocano la perdita della biodiversità da cui dipendono la stessa sopravvivenza delle specie, alla lunga della nostra stessa specie.

La giornata mondiale dell’ambiente rappresenta una occasione per leggere ancora una volta, tutte insieme, le forme in cui l’ambiente viene modificato, le cause delle modificazioni, i danni umani e anche gli effetti economici che le violenze all’ambiente provocano.

La prima cosa che viene in mente riguarda le modificazioni climatiche i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, anche in questi giorni di fine primavera; da Parigi a Bari, da Milano alle campagne tedesche e romene. Piogge improvvise cadono su città di asfalto e su campi supersfruttati e l’acqua non trova più le sue strade naturali di scorrimento e dilaga nelle cantine, esplode dalle fognature, distrugge coltivazioni agricole pregiate. Ormai, con buona pace dei negazionisti, non c’è più dubbio che tali violenze climatiche derivano dalla continua, crescente modificazione della composizione chimica dell’atmosfera, la quale, a sua volta è dovuta non a punizioni divine, ma ad azioni lecite e anzi lodevoli: all’uso dei combustibili con cui oltre un miliardo di autoveicoli sulle strade del mondo trasportano persone e merci e tengono in moto l’economia, con cui le fabbriche producono cose utili e benefiche come acciaio per la costruzione delle abitazioni, dai lussuosi grattacieli del Golfo Persico, alle periferie che continuamente si espandono per ospitare miliardi di persone, in Cina come a Milano, in Africa come in California.

I gas che modificano il clima vengono dall’agricoltura che assicura il cibo che “consumiamo” ogni giorno, dai campi coltivati con concimi e trattori, agli allevamenti del bestiame che fanno arrivare proteine pregiate sulle mense del mondo.

Se ci spostiamo dalle modificazioni climatiche agli incendi che devastano tante zone della Terra, dai boschi che circondano le ville dei divi in California, a Pantelleria, alle grandi foreste brasiliane, indonesiane, africane, si vede che tali incendi lasciano il suolo nudo ed esposto all’erosione da parte delle piogge. Incendi e distruzioni forestali che spesso sono intenzionali per lasciare spazio a speculazioni edilizie o a nuove coltivazioni o a miniere da cui estrarre preziosi minerali, operazioni che spesso rispondono alla richiesta di “cose buone”. La estensione delle coltivazioni di palme nel sud-est asiatico permette di soddisfare la domanda dell’olio di palma che entra in molti alimenti e del biodiesel, quel surrogato ”ecologico” del carburante diesel ricavato dal petrolio. Oppure i nuovi spazi, “liberati” dalle foreste, consentono di ottenere lo zucchero da trasformare in alcol usato come carburante “ecologico” al posto della benzina, o di estrarre due miliardi e mezzo di tonnellate all’anno di minerale di ferro che sarà poi trasformato in un miliardo e mezzo di tonnellate di ferro e acciaio, che sono cose buone e utili.

Tutte le cose buone e i “servizi” come la conoscenza, le telecomunicazioni, la difesa della salute, la possibilità di muoversi, richiedono dei beni materiali che vengono tratti dalla Terra, modificandola, e inevitabilmente comportano la restituzione alla Terra delle acque usate, addizionate di sostanze nocive per la vita, di gas, di scorie solide, un flusso di circa 250 miliardi di tonnellate all’anno di materie, corrispondenti ad un “peso” di circa 35 tonnellate all’anno per ogni persona che abita la Terra (500 volte il peso del corpo). Inutile dire che questo numero, oltre ad essere una grossolana approssimazione, è un valore medio; molti abitanti della Terra si appropriano delle sue ricchezze molto di più e molti altri se ne appropriano in quantità molto minore.

L’”ambiente” che le Nazioni Unite e i governi del mondo intendono difendere viene, insomma, continuamente attraversato da un flusso di materiali che trasformano la biosfera, che è cosa buona, in tecnosfera, il mondo degli oggetti capaci di soddisfare la richiesta dei “consumi” umani, che sono cose buone, come ci ripetono ogni giorno i governanti. Consumi che anzi dovrebbero aumentare per tenere vivace l’economia mondiale, ma la cui produzione e uso modificano inevitabilmente e negativamente proprio quello stesso ”ambiente” che diciamo di voler invece difendere.

Con strani effetti finanziari; l’aumento dei consumi fa aumentare la massa di denaro in circolazione e i danni ambientali, la distruzione del suolo, le alluvioni, gli inquinamenti, fanno aumentare la massa di denaro in circolazione per risarcire gli alluvionati, per costruire impianti di depurazione o pannelli solari o automobili elettriche e così via. La Terra ci rimette sempre e i soldi crescono sempre.

Le precedenti brevi considerazioni non hanno alcun fine moralistico né raccomandano necessariamente comportamenti di austerità merceologica, anche se una critica dei “consumi” figura in maniera quasi ossessiva perfino nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco; sono semplicemente avvertimenti degli effetti che l’attuale comportamento merceologico determina sulla Terra e sul suo ambiente. Tanto per saperlo.


L'articolo è inviato contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno
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