Il costruttore Gualtiero Cualbu al quale i giudici del Consiglio di Stato vietano oggi di edificare a Tuvixeddu, paragonò con squisitezza gli ambientalisti a “un cancro per la città”. Ma noi, che siamo ambientalisti e anche di più, consideriamo un cancro la smania edificatoria che divora Cagliari e riteniamo i palazzi a Tuvixeddu una grave complicanza. L’impresa Cualbu aveva previsto villette e strade nel colle che è la nostra storia, anche quella sentimentale che ci lega a quei luoghi, rocce bianche, falchi, orchidee, un mondo naturale perfetto e una necropoli stupefacente. Il Comune, un’eccezione planetaria, indifferente al valore di quel sito e, si vede, poco sentimentale, è schierato da vent’anni con l’impresa, disposto a difendere i mattoni sino all’estremo grado di giudizio.
La Sovrintendenza, la cui funzione “naturale” di tutela è stata deformata in un’opera di mediazione totale, funzionari che non ammettono l’evidenza dei nuovi ritrovamenti. Più di mille tombe scavate e negate nell’area che i giudici hanno definito unitaria. Per il sovrintendente negazionista Santoni una richiesta di rinvio a giudizio. Per la relazione dell’attuale sovrintendente Minoja basterà forse il pubblico giudizio.
Oggi, dopo la sentenza del Consiglio di Stato, si deve finalmente considerare tutto il colle un’unità paesaggistica e si può ambire ad abbattere la brutta palazzata già costruita in via Is Maglias. Il valore dei luoghi vince sugli affari e sulla rendita. Crolla la città dei costruttori e si sfalda l’accordo di programma che non è una tavola della legge. Salta per aria l’idea che la comunità sia in debito con l’impresa e vince il principio che, casomai, è l’impresa in debito con la comunità. Insomma, il Bene Comune, opposto al vantaggio di pochi, questa volta non fa capitombolo.
E i danni di immagine minacciati dall’impresa? Be’, un danno di immagine, in effetti, c’è. Ma lo abbiamo patito noi e la città. Cagliari, a causa delle scelte del Comune, di alcuni Sovrintendenti e della stessa impresa, è apparsa nelle pagine di grandi quotidiani italiani ed europei come una città che arriva a ripudiarsi da sé in cambio di palazzine. La città esce ridicolizzata dalla vicenda, altro che capitale, altro che metropoli civilizzata.
Animosa la giunta Soru, coraggiosi tutti coloro che, privi di un interesse personale, hanno speso energie per difendere il colle sacro. L’ex direttore regionale Elio Garzillo, l’ex sovrintendente Fausto Martino, le associazioni ambientaliste - per esempio Italia Nostra che ricorre al Consiglio di Stato - disposte perfino a sentirsi paragonate a un cancro. Greve il tentativo di trasformare i sostenitori del colle in un’associazione a delinquere. Il piemme ha archiviato le accuse a Soru, ai suoi assessori e consulenti. E ha chiesto, dopo inquietanti intercettazioni telefoniche, sette rinvii a giudizio, tra i quali l’ex sovrintendente Vincenzo Santoni.
Il Tar Sardegna, a favore delle costruzioni, contraddetto dalla luminosa sentenza del Consiglio di Stato che prescrive per il colle un regime di tutela “volta alla salvaguardia della relazione di insieme che si è prodotta nella storia tra le diverse testimonianze della civiltà umana e il più ampio ambito del contesto naturale”.
Infine questa è anche la sconfitta della rovinosa mediazione sproporzionata tra un bene fragile (la necropoli) e il potere della rendita. E’ accaduto che due posizioni contrarie e nette si siano battute in tribunale e che il tribunale abbia deciso di proteggere il bene immenso del colle. Dalla mediazione di quelli del “costruiamo un po’ meno e non esageriamo con la tutela” sarebbe nato un mostro.
Oggi possiamo fare della necropoli un luogo di meraviglia. Basta pochissimo, purché vinca l’idea che il progetto perfetto, l’unico possibile a Tuvixeddu, è quello che non si vede perché là, da vedere, devono esserci esclusivamente il colle e i suoi tesori.
L'articolo è pubblicato contemporaneamente anche su la Nuova Sardegna