Chi ha insistito per tanto tempo e con tanta petulanza sulla necessità che la sinistra si dia un progetto di governo ambizioso e concreto non può non esprimere soddisfazione di fronte all´accoglienza che la proposta di una Conferenza programmatica disegnata sul modello della "Convenzione" per la Costituzione europea sta avendo nel partito dei Democratici di sinistra.
Mi pare chiaro ormai il senso della proposta: non un dizionario esaustivo dell´universo mondo ma un´intesa chiara e salda raggiunta prima nel partito e poi presentata all´Alleanza come impegno solenne su poche grandi riforme da proporre al Paese: prodotto non solo di un gruppo di esperti, ma di una vasta interrogazione delle istanze economiche, sociali e culturali che gravitano nel mondo della sinistra.
Poche, perché attorno a queste occorre concentrare la più ampia possibile volontà politica. E anche per una ovvia esigenza realistica. Una legislatura che necessariamente dovrà affrontare il flusso degli eventi imprevedibili, oltre che il disbrigo dell´amministrazione ordinaria, non ha - specie tenendo conto delle nostre procedure decisionali - spazi per grandi iniziative di riforma, oltre quelle che si possono contare sulle dita di una mano: diciamo, al massimo, una all´anno.
Il partito laburista, quello che trionfò alla fine della guerra, con la rivoluzione del welfare state (prima che Tony Blair nascesse), ne varò non più di tre o quattro, fondamentali.
Ciò che conta, oltre a concentrare il fuoco su obiettivi davvero strategici, è una procedura mobilitante e rigorosa. La scelta dei temi fondamentali, anzitutto, che deve essere definita in sede politica: il prossimo congresso Ds può trovare in questa, oltre che nella reinvestitura del suo segretario, ormai felicemente scontata, un significato davvero storico. Inoltre: la proposta, a tutta la coalizione, della procedura "convenzionale": soggetti da coinvolgere, interrogazione sulla stampa e in rete sulle principali scelte, sondaggi da svolgere, tempi da osservare, regole per la elaborazione del messaggio finale da sottoporre alla decisione dell´Alleanza. Il rigore, soprattutto per la delimitazione dei temi, è decisivo per evitare che il topolino partorisca una montagna di chiacchiere.
Quali temi? Dovrebbe intendersi che il congresso dei Ds li formulerà come proposte per l´Alleanza, e che la decisione finale spetterà alle direzioni dei partiti che ne fanno parte, e soprattutto a Romano Prodi, leader dell´Alleanza stessa. Ciascuno può avere in proposito le sue preferenze. Per parte mia, le riassumerei in cinque punti:
1) ridestare la crescita di un Paese economicamente prostrato da una maggioranza incompetente e inconcludente ottenendo, non una revisione "magliara" del patto di stabilità, ma una sua integrazione con un vero patto di sviluppo secondo le linee del piano Delors, che rilanci l´Europa e l´Italia sulla via della crescita, risuscitando la politica della domanda; e attraverso un patto tra governo, imprese e sindacati su concorrenza e innovazione, che elabori una vera politica dell´offerta;
2) puntare alla piena e buona occupazione attraverso la creazione, anch´essa concordata con imprese e sindacati, di una rete permanente di informazione, formazione, qualificazione, riqualificazione e collocamento di lavoratori ai quali sia garantita la continuità della protezione sociale;
3) trasformare la scuola, dal livello primario dell´obbligo all´Università, in un sistema centrale della società: inteso non come distribuzione di titoli e avviamento professionale, ma, soprattutto, come palestra permanente per la diffusione e l´avanzamento della cultura;
4) far convergere il risanamento e la tutela ambientale con la valorizzazione del patrimonio storico e artistico in un piano di sviluppo del territorio: il più straordinariamente ricco del mondo;
5) orientare lo sviluppo non esclusivamente alla monomaniaca e fuorviante crescita del Pil, ma alla realizzazione di un sistema di obiettivi economici e sociali rappresentati da indicatori specifici; e riorganizzare la spesa pubblica non sulla base primitiva "del più e del meno", ma su quella razionale della programmazione.
C´è una seconda questione altrettanto rilevante e complementare del riorientamento programmatico: ed è l´approfondimento culturale da cui l´azione progettuale deve attingere la sua forza. Tra i ricordi del primo centrosinistra, il più vivo è la ricca vena di elaborazione culturale che ne animò la gestazione. C´erano i convegni di San Pellegrino delle forze progressiste cattoliche, animati da Pasquale Saraceno. C´erano, nel campo comunista, quelli dell´Istituto Gramsci. C´era la ricerca sulla programmazione, nata dal fresco contributo della sinistra socialista di Lombardi e di Giolitti e innescata sulla riflessione culturale di Fuà, di Sylos Labini, di tanti altri; c´erano, non certo ultimi, i convegni del Mondo della sinistra liberale. Spero di non indulgere alle tentazioni della laudatio temporis acti se constato che, al confronto, questo nuovo centrosinistra è in difetto di respiro. Non certo perché manchino intelligenze, ragioni, passioni. Ma forse perché sono impegnate più nel consumo che nell´investimento politico; distratte dalla quotidianità, dalla pobre semilla di una politica che si sbriciola, giorno per giorno, in glosse e risse sterili. E forse anche perché mancano istituzioni culturali giovani, popolari, aperte, attorno alle quali animare un dibattito politico alto, degno delle grandi tradizioni della sinistra di questo Paese.
Ricordate la Freien Universität di Berlino? Nata nel 1948 sull´onda di una secessione contestativa promossa da tre studenti di sinistra, sostenuta dalla amministrazione socialdemocratica della città, fu una sferzata di giovinezza per l´Università accademica e diventò una fucina di ricerca oltre che un´occasione per innovazioni architettoniche, organizzative, funzionali di alto livello e per la tessitura di una vasta rete di collegamento con l´Europa della cultura. Esiste e opera ancora oggi, sebbene sensibilmente "istituzionalizzata".
Intendiamoci: fondazioni e associazioni culturali esistono oggi anche da noi: nel mondo della sinistra ce ne sono tante. Ma quante hanno il respiro di una grande impresa culturale aperta, popolare, capace di fungere da terreno di scambio di idee e laboratorio di progetti, anziché da occasione per la pubblicazione di riviste, certo prestigiose, ma limitate alla raccolta di saggi all´interno di cerchie intellettuali ristrette? Una rigenerazione della sinistra accanto a un´iniziativa politica programmatica, avrebbe grande bisogno di un approfondimento culturale che la nutrisse continuamente. Perché non pensare a una "Libera Università Popolare" che realizzi un modello educativo innovativo, capace di fermentare i nuovi germi per una grande istituzione altrimenti morente?
Vedo subito insorgere il pedante di turno, che ci ammonisce sul rischio dell´illuminismo politico. Beh, francamente, se ci fosse in giro un gruppetto di redivivi Diderot, d´Alambert, Voltaire e Rousseau, io li scambierei volentieri contro i glossatori della terza via. Non propongo la nuova Encyclopedie: ma solo uno spazio aperto di dibattito permanente, di insegnamento accademicamente disinibito e di vasta sperimentazione culturale. Questa sì, mi parrebbe un´impresa utile e alla portata: un atto di investimento e non di consumismo politico.
Illuminismo? Magari! L´Illuminismo è stato il terreno culturale dal quale è nata l´unica rivoluzione politica vittoriosa della modernità.