il manifesto
Era il 28 marzo del 1999 quando alla riunione del Tavolo di Coordinamento governo associazioni per gli aiuti alla ex Jugoslavia, presenti l’attuale ministro Marco Minniti, allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Livia Turco, allora ministra del governo D’Alema, alle organizzazioni intervenute fu proposto – racconta Giulio Marcon nel suo libro “Le ambiguità degli aiuti umanitari: indagine critica sul terzo settore” – di partecipare al grande progetto italiano di assistenza ai profughi kosovari: Missione Arcobaleno. “Mentre bombardano, aiutano i profughi”, scrive Giulio Marcon. Dopo quasi vent’anni il governo Gentiloni e il ministro Minniti propongono un metodo analogo. Lo stesso schema di allora.
«Non staremo sotto il vostro elmetto». Questa fu la risposta di Raffaella Bolini, dirigente dell’Arci, per esprimere il dissenso del Consorzio Italiano di Solidarietà e di una parte delle organizzazioni presenti, che non partecipò alla Missione Arcobaleno. Anche oggi per noi dell’Arci, e non solo, la questione si pone negli stessi termini: non indosseremo la giacca del governo italiano e dell’Unione europea che hanno dichiarato guerra ai migranti. Fanno accordi con dittatori e governi fantoccio, con milizie criminali che torturano e stuprano, inviano strumenti e risorse per bloccare le persone in modo che nessuno possa arrivare alle nostre frontiere a chiedere protezione. Alle organizzazioni sociali, alle Ong che si occupano di progetti di cooperazione allo sviluppo, chiedono di collaborare per garantire servizi e i diritti umani delle persone che subiscono trattamenti disumani e violenti.
Come con la missione Arcobaleno si mettono in campo risorse, pare 6 milioni di euro, per intervenire nei lager libici, aprire nuovi campi e gestirli, in collaborazione con le autorità libiche. Presentate progetti, diranno, come avrebbero detto da lì a poco, nel lontano 1999 per i profughi kosovari. Aiutiamoli in Libia, con progetti da finanziare alle Ong. Cioè aiutiamoli a casa di altri per non farli arrivare in Europa, a “casa nostra”, e sentirci a posto con la coscienza. Un tentativo, come avvenne all’epoca, di avere una copertura dalla società civile, dal terzo settore, per un’operazione vergognosa, in questo caso di esternalizzazione delle frontiere, di guerra ai migranti, che ha trovato una forte opposizione sociale, nonostante l’ampio consenso pubblico.
Il tentativo di dividere le organizzazioni tra buone e cattive, com’è stato fatto con il codice delle Ong. Chi collabora sarà premiato, sul piano della comunicazione pubblica e delle risorse. Chi dissente sarà criminalizzato e isolato. Si rilancerà l’insulto “buonista” per mettere all’indice chi non vuole arrendersi alle violazioni della nostra Costituzione (ex art.10), della legge e delle convenzioni internazionali. Si dirà, com’è stato detto con il Codice Minniti, che c’è chi vuole partecipare a risolvere i problemi e chi invece fa l’anima bella e non si preoccupa del crescente razzismo che deriverebbe dagli arrivi sulle nostre coste, come dicono i “razzisti democratici”.
La Missione Arcobaleno fu una brutta pagina della storia delle organizzazioni che svolgono attività di solidarietà internazionale e di tutela dei diritti. Un’iniziativa di un governo di centrosinistra per dividere e distrarre l’opinione pubblica, ricercando un consenso altrimenti difficile da ottenere. Oggi, protagonisti nuovi e vecchi, ripropongono quel tentativo. Speriamo che nessuno caschi in questo tranello, per soldi o per calcolo politico. Una risposta forte e chiara di dissenso dalla società è auspicabile. E proveremo insieme ad altri a metterla in campo in questo autunno.
Nel frattempo, come in quella primavera del 1999, è bene far arrivare al governo un forte signornò!