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Andrea Capocci
Il tempo della cura è agire senza fretta
19 Giugno 2017
de homine
«Un’intervista con Antonio Bonaldi, presidente di Slow Medicine"L’eccesso di prescrizioni e la cattiva gestione vanno di pari passo. Lo dicono i dati forniti sul web dal Programma Nazionale Esiti"».

il manifesto, 18 giugno 2017 (c.m.c)

Il rapporto del Gruppo interdisciplinare sulla medicina basata sulle evidenze (Gimbe) ha riaperto una discussione ciclica sul costo della sanità italiana. La spesa sanitaria italiana è poco inferiore alla media europea, e in percentuale sul Pil dovrebbe scendere ulteriormente al 6,5% nel 2019. Tuttavia, secondo il rapporto Gimbe, ci sono ancora sprechi e inefficienze, calcolabili nel 20% circa della spesa sanitaria totale. Di norma, dibattiti di questo tenore preludono a nuovi tagli in nome della razionalizzazione.

L’esperienza, però, suggerisce che malgrado la pesante riduzione di spesa, l’efficienza del sistema sanitario non sia migliorata, anzi. L’impressione è che i tagli favoriscano la parte malata del sistema sanitario, dove proliferano sprechi, clientele e frodi, a danno del servizio sanitario pubblico. Dal canto suo, quest’ultimo invece ottiene regolarmente riconoscimenti internazionale, per la capacità di coniugare l’accesso a tutte le fasce sociali con un livello elevato di qualità delle prestazioni. L’equilibrio però è sempre più precario: la spesa sanitaria alimenta gli sprechi, ma riducendola si lede il diritto sociale alla cura. In entrambi i casi, il vero sconfitto è il paziente.

Una delle cause principali degli sprechi è il grande numero di prescrizioni sanitarie inutili. Secondo le stime, circa tredici miliardi di euro si volatilizzano in esami medici inutili, prescritti con leggerezza sia dai medici di base che nei reparti di ospedale. Proprio per restituire sobrietà al sistema sanitario, senza pregiudicarne il carattere universale e pubblico, è nata l’associazione Slow Medicine. E il riferimento a Slow Food non è affatto casuale. Oggi, infatti, troppo spesso si va dal medico a chiedere esami specialistici come a un supermercato per fare la spesa. Tra i fondatori di Slow Medicine, figurano medici, ma anche scienziati, economisti studiosi di comunicazione, tutti uniti dalla promozione di una medicina «sobria, rispettosa e giusta». Per capire come migliorare la sanità italiana, abbiamo parlato con il suo presidente Antonio Bonaldi. 65 anni, bergamasco, ha diretto diverse Aziende Sanitarie Locali del nord Italia, e conosce dunque da vicino la sanità pubblica e i suoi problemi.

La sanità italiana non è già abbastanza «slow»? Per un’ecografia bisogna aspettare molti mesi…Il nome si presta a interpretazioni maliziose, ma per noi «slow» vuol dire «agire senza fretta», o «prendersi il tempo». Invece spesso si agisce senza riflettere: per esempio si prescrivono esami medici illudendosi che «più» significhi «meglio». I greci avevano due termini per il tempo, chronos e kairos. Noi stiamo con kairos.

Si spieghi meglio.Il primo indica la sequenza degli eventi. Il secondo è il tempo giusto per fare le cose, dunque l’evento nella sua relazione con il contesto. Per noi «slow» significa questo, anche in medicina. Il dialogo e la relazione con il paziente sono un elemento fondamentale. Instaurare un rapporto con il paziente serve a spiegare che certi problemi medici non hanno una soluzione immediata. Invece ci si preferisce prescrivere esami o terapie inutili. Ma troppi esami non sono solo inutili: sono dannosi. Si arriva al paradosso di una medicina che ammala, invece di guarire.

Però il paziente è più soddisfatto…Soprattutto, si evitano contenziosi. Perché quando l’esito di una malattia è negativo, spesso nascono cause legali e si dà la colpa al dottore. Perciò, il dottore prescrive qualunque esame per dare l’impressione che si stia facendo tutto il possibile. Ci costa 10 miliardi di euro l’anno, e vale il 10% dell’intera spesa. Quasi l’80% dei medici ci casca. Ma così il paziente si illude che la medicina sia una scienza esatta e che la tecnologia fornisca la soluzione per ogni problema, perciò aspettative e contenziosi aumentano ulteriormente.

I contenziosi legali si evitano instaurando un dialogo con l’ammalato. Infatti, le cause si concentrano nella medicina ospedaliera, non riguardano il medico di base che conosce meglio i suoi pazienti.

Il decreto Lorenzin sull’«appropriatezza prescrittiva» del 2015 voleva porre un freno a questo fenomeno.
Ma non funzionava, e infatti è stato abrogato nelle sue linee sostanziali. Il decreto aumentava i controlli sulle prescrizioni dei medici, ma l’appropriatezza non si può raggiungere a colpi di decreto. Quando tra dottore e paziente si inserisce la legge, viene meno il patto che li lega. Il dottore non prescrive esami che ritiene necessari per paura di controlli, mentre il malato crede che per ragioni di risparmio economico gli sia negato un diritto fondamentale come il diritto di essere curati. Due figure che dovrebbero collaborare, il malato e il paziente, vengono messe l’una contro l’altra. Bisognerebbe invece intervenire sulle cause a monte, sugli interessi anche economici che spingono a prescrivere troppo.

Può essere più preciso?
La ricerca medica è guidata dall’industria, che persegue il profitto. Troppi dispositivi medici sono introdotti sul mercato senza che la loro efficacia sia provata da ricerche serie, ma da articoli sponsorizzati dalla stessa industria. Si pensi alla moda degli integratori vitaminici, del tutto inutili ma diffusissimi.

Anche la sanità italiana però qualche colpa ce l’ha, o no?
Certo, l’eccesso di prescrizioni e la cattiva gestione vanno di pari passo. Basta controllare i dati forniti sul web dal Programma Nazionale Esiti per capirlo.

Per esempio?
Le fratture al femore vanno operate entro 48 ore, altrimenti si rischia di morire. Però, il Piano nazionale esiti ci dice che, per mancanza di ortopedici, solo il 60% dei pazienti viene operato in tempo. D’altra parte, in Italia si fanno duecentomila interventi in artroscopia l’anno. In gran parte, per curare l’osteoartrosi. Ma come conferma anche un recente articolo del British Medical Journal, contro l’artrosi la fisioterapia ha la stessa efficacia della chirurgia, a costi molto inferiori. Se si facessero meno interventi in artroscopia, si libererebbero ortopedici per interventi necessari come quelli al femore.

Quali consigli darebbe al ministro per rendere più efficiente il sistema sanitario?Ripeterei quello che consiglia un recente rapporto dell’Ocse intitolato «Tackling wasteful spending on health». Innanzitutto, agire sulle prestazioni inutili. In secondo luogo, a parità di efficacia, privilegiare le alternative terapeutiche meno costose. Infine, per ordine di impatto economico, intervenire su frodi, inefficienze e ridondanze.

Non sarebbe utile investire maggiormente in prevenzione?
Certo, a patto che non si scambi il concetto di «prevenzione» con quello di «diagnosi precoce», perché in quel caso si aumenterebbe ancora di più il numero delle prescrizioni. Per prevenire occorre agire sul contesto o, come diciamo noi, «coltivare la salute« nei vari settori: l’ambiente, l’alimentazione, la sicurezza sul lavoro, i vaccini.

Quindi la nuova norma sui vaccini vi trova d’accordo.
No, l’approccio del ministro Lorenzin è di nuovo sbagliato. Lo abbiamo spiegato in un documento stilato insieme alle trenta associazioni della rete «Sostenibilità e salute». Intendiamoci, i vaccini sono importantissimi. Ho diretto per molti anni un’azienda sanitaria locale e io stesso ne ho prescritti a migliaia. Ma i vaccini non si impongono per legge, con pene severe per chi non la rispetta. Dodici, per giunta. I vaccini vanno prescritti caso per caso, secondo le esigenze di ciascuno, perché si tratta comunque di farmaci. Con i genitori bisogna parlare e convincerli. Non ha senso dividerli tra chi è «per» e chi è «contro» i vaccini. Sarebbe come dividersi tra chi è «contro» o «a favore» dei farmaci. E quando si creano fazioni contrapposte, le persone smettono di ragionare. E a quel punto diventa difficilissimo convincerle.

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