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Stefano Pareglio
Il sogno di una città di case e di cittadini
6 Marzo 2009
Milano
Cominciano i primi, negativi, bilanci sulla qualità urbana di Milano, dopo anni di deregolamentazione. Da la Repubblica, ed. Milano, 5 marzo 2009 (m.p.g.)

A Milano si è costruito molto negli ultimi dieci anni: grandi cantieri, ma soprattutto una moltitudine di piccoli interventi. Ora il vento è cambiato. La crisi economica deprime la domanda immobiliare, crolla l’occupazione. Sogni, promesse, progetti devono confrontarsi con la realtà. Con un tessuto urbano che, tra piccole e grandi lacerazioni, non trasmette un senso di insieme. Con una città non compiuta, che si rifugia entro i confini daziari negandosi un ruolo regionale e contraddicendo la sua stessa storia, fatta di scambi, di commerci, di relazioni.

È urgente riflettere su Milano. Disconnessa dai fenomeni globali, la città stenta ad aggiornare una tradizione ambrosiana fatta di innovazione e senso della misura. Mentre la proposta avanzata per superare la crisi e costruire il futuro è a senso unico: mattoni, e ancora mattoni, sfruttando il traino di Expo 2015. Un proposta peraltro non nuova nell’urbanistica milanese degli ultimi decenni. Lo testimonia Per un’altra città, pubblicato di recente da un gruppo di docenti del Politecnico. Tra i molti spunti, colpisce l’esito deludente degli strumenti negoziali. Introdotti per assicurare flessibilità, sono stati largamente impiegati per modeste o banali lottizzazioni. Numeri alla mano, hanno generato una scarsa utilità pubblica rispetto al corrispondente vantaggio privato. Mancano all’appello molte opere-simbolo che avrebbero dovuto caratterizzarli, e persino parte dei servizi promessi, attesi o semplicemente necessari.

Il deficit più evidente riguarda la mobilità pubblica, i cui costi, economici e ambientali, sono ora sulle spalle della comunità. Sostenere che, in carenza di risorse, la negoziazione con gli operatori privati sia l’unica strada percorribile è dunque fuorviante: se non è stato possibile in questi ultimi anni, in pieno boom immobiliare, come sarà possibile in futuro, in piena crisi economica? E ancora: una cornice formale è davvero un retaggio del passato? Dal 1980, tra varianti e deregolamentazione, la qualità urbana complessiva non è certo migliorata, con il risultato paradossale di deprimere ulteriormente il mercato.

Senza un quadro strategico, vacilla anche la presunta efficienza meneghina. Due esempi. Il sistema aeroportuale, con il progetto di metropolitana e l’idea di tunnel stradale verso Linate ("city airport" da ridimensionare) in assenza di un collegamento diretto su ferro tra la stazione Centrale e Malpensa (hub da rilanciare). O il sistema fieristico, definitivamente concentrato nel nuovo polo di Rho-Pero, con la dismissione del Portello che ha poco più di 10 anni di vita.

Nell’attesa di conoscere concretamente qual è il progetto complessivo di città, e come si intende realizzarlo, i (futuri) 2 milioni di abitanti hanno già legittimato l’incremento degli indici di edificazione, intervenuto per ampie porzioni di città. E giustificheranno nel nuovo piano l’assai probabile introduzione di nuovi diritti edificatori, mediante un indice fondiario unico esteso a tutta la città. Cosa rimarrà dunque da governare all’atteso PGT, quando vedrà la luce? Potrà farlo in modo efficace, dovendo confrontarsi con la somma delle puntuali negoziazioni connesse ai singoli programmi di intervento, il cui campo di applicazione è stato esteso e potenziato?

Nuove regole urbanistiche vuol dire anche nuovi operatori sulla piazza milanese. Una scelta di mercato, che richiede però un disegno strategico, per gestire il più che prevedibile eccesso di offerta. Per evitare che l’Expo rianimi la produzione edilizia bruciando per molti anni a venire il mercato immobiliare cittadino. Si torna dunque al punto: l’urbanistica a Milano non può avere ambizioni solo quantitative, né focalizzarsi unicamente sull’incremento dei residenti, come esito dalla prospettata riduzione dei valori immobiliari. Così facendo, sottovaluta l’effetto collaterale di un diffuso impoverimento patrimoniale per gli attuali proprietari della casa di abitazione. E accantona la vera emergenza sociale che è la riduzione del costo degli affitti: specie in tempi di crisi, è questa la condizione necessaria per frenare l’ormai più che decennale processo di selezione della popolazione milanese, e per fare di Milano una città compiuta. Una città di case e di cittadini.

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