«Referendum trivelle. Lo stato dell’arte è il seguente: ad oggi nessuna società petrolifera può chiedere nuovi permessi e nuove concessioni. Ma quel che la legge non consente non significa che venga impedito. Ad alcune condizioni». Il manifesto, 29 marzo 2016
Il prossimo 17 aprile i cittadini italiani si recheranno alle urne per decidere se cancellare la norma che attualmente consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Lo stato dell’arte è il seguente: ad oggi nessuna società petrolifera può chiedere nuovi permessi e nuove concessioni. Ma quel che la legge non consente non significa che venga impedito. Ad alcune condizioni.
I procedimenti amministrativi che erano in corso al momento dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2016, finalizzati al rilascio di nuovi permessi e di nuove concessioni, sono stati chiusi; le attività di ricerca e di estrazione di gas e petrolio attualmente in essere sono state tuttavia procrastinate dalla legge di stabilità 2016 senza limiti di tempo, ossia per tutta la “durata di vita utile del giacimento”. Ciò significa che quelle attività cesseranno solo in due casi: qualora le società petrolifere concluderanno che sia ormai antieconomico estrarre oppure qualora il giacimento sarà esaurito.
Dal punto di vista normativo, aver procrastinato senza limiti di tempo quelle attività non può dirsi del tutto coerente con la ratio che informa la decisione legislativa, in quanto il divieto di effettuare nuove ricerche e nuove estrazioni si giustificherebbe sulla base di “gravi ragioni di carattere ambientale”; così almeno si leggeva nella relazione illustrativa al decreto sviluppo adottato dal Governo Monti, con il quale si introduceva il limite delle 12 miglia marine. Eppure, tertium non datur: o quelle ragioni sussistono sempre o quelle ragioni non sussistono mai.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi – che ha definito il referendum “inutile” – è però di altro avviso: egli sostiene che l’attuale quadro normativo sia perfettamente coerente, in quanto, nonostante le attività di estrazione già autorizzate e ricadenti entro le 12 miglia marine potranno continuare ad essere esercitate, non sarà più possibile installare nuove piattaforme e perforare nuovi pozzi. In altre parole, non sarà più possibile “trivellare”.
Questa affermazione è, però, inesatta: attualmente, la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove piattaforme e perforati nuovi pozzi. La costruzione di nuove piattaforme e la perforazione di nuovi pozzi è, infatti, sempre possibile se il programma di sviluppo del giacimento (o la variazione successiva di tale programma) lo abbia previsto. Questa conclusione è avvalorata anche da un parere del Consiglio di Stato del 2011, reso al Governo Berlusconi, che chiedeva lumi sulla portata del divieto di ricerca ed estrazione di petrolio entro le 5 miglia marine introdotto l’anno prima nel Codice dell’ambiente. La risposta del Consiglio di Stato è stata la seguente: il divieto non riguarda i permessi e le concessioni già rilasciati e non ricomprende le seguenti attività: l’esecuzione del programma di sviluppo del campo di coltivazione come allegato alla domanda di concessione originaria; l’esecuzione del programma dei lavori di ricerca come allegato alla domanda di concessione originaria; la costruzione degli impianti e delle opere necessarie, degli interventi di modifica, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all’esercizio; i programmi di lavoro già approvati con la concessione originaria; la realizzazione di attività di straordinaria manutenzione degli impianti e dei pozzi che non comportino modifiche impiantistiche.
Ora, è sufficiente andare a verificare quali siano le concessioni tutt’ora vigenti (e ricadenti entro le 12 miglia marine) e leggere l’originario programma di sviluppo del giacimento per capire che nuove trivellazioni ci saranno eccome. Basti pensare alla concessione C.C 6.EO nel Canale di Sicilia, che interessa le 12 miglia marine per circa 184 kmq: rilasciata nel 1984, essa ha ottenuto una proroga il 13 novembre scorso, con scadenza al 28 dicembre 2022. Ebbene, in base a tale proroga, la società Edison potrà costruire una nuova piattaforma – denominata Vega B – e perforare 12 nuovi pozzi.
Se vincerà il “no” (o se il referendum non raggiungerà il quorum) la piattaforma potrà essere realizzata, i pozzi perforati e l’estrazione potrà darsi senza limiti di tempo, fino a quando la società petrolifera lo vorrà; se, al contrario, vincerà il “sì”, potrebbero profilarsi due differenti epiloghi: o si riterrà – come sarei propenso a ritenere – che la piattaforma Vega B non potrà essere realizzata, i pozzi non potranno essere perforati e l’estrazione non potrà essere avviata (e questo in quanto il quesito originariamente proposto dalle regioni aveva ad oggetto anche l’abrogazione della norma sui “procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi” e sulla “esecuzione” delle attività relative); oppure dovrà ritenersi che la Edison potrà comunque completare la sua attività, ma fino alla scadenza della proroga, e cioè fino al 2022; il che, per ragioni di mero calcolo economico, potrebbe anche comportare una rinuncia preventiva da parte della società petrolifera alla realizzazione degli impianti e all’estrazione del greggio. Ma quale che sia l’epilogo, una cosa sembra certa: che il referendum del 17 aprile proprio inutile non sarà.