Una prima vittoria contro un grave danno ambientale che è insieme deturpazione del patrimonio comune, omaggio a uno "sviluppo" insensato e violazione dei diritti dei poteri locali. Articoli di Serena Giannico ed Enzo Di Salvatore. Il manifesto, 20 gennaio 2016
LA CONSULTA: «SÌ AL REFERENDUM ANTI TRIVELLE»
di Serena Giannico
«No Ombrina. Via libera al quesito già ammesso dalla Cassazione sulla durata del permesso ai petrolieri. Esultano le nove regioni e le 200 associazioni del fronte No Triv. Battuto il governo che voleva impedire la consultazione. Gli ambientalisti chiedono di fermare le perforazioni fino ad un nuovo Piano energetico nazionale»
Si farà il referendum antitrivelle: esultano 9 Regioni e oltre 200 associazioni di tutta la Penisola. La Corte Costituzionale, infatti, ha dato l’ok all’unico dei quesiti referendari, contro gli idrocarburi, ammesso dalla Cassazione lo scorso 8 gennaio. I giudici hanno deciso, in poco più di tre ore, sulla richiesta di sottoporre alla valutazione popolare il sesto quesito, «quello sul mare».
«I cittadini – spiega in una nota il coordinamento nazionale “No Triv“saranno chiamati a esprimersi per evitare che i permessi già accordati entro le 12 miglia possano proseguire anche oltre la scadenza, per tutta la “durata della vita utile del giacimento”. Rimane fermo il limite delle 12 miglia marine, all’interno delle quali non sarà più possibile accordare permessi di ricerca o sfruttamento. La sentenza della Consulta dimostra come le modifiche apportate dal Governo con la Legge di stabilità – aggiungono — non soddisfacevano i quesiti referendari e, anzi, rappresentavano sostanzialmente un tentativo di elusione».
Tre dei sei quesiti depositati il 30 settembre 2015 sono stati recepiti dalla legge di stabilità, emendata: il parlamento ha modificato le norme su strategicità, indefferibilità ed urgenza delle attività petrolifere, che erano poco garantiste sulla partecipazione dei territori alle scelte. Un altro quesito è stato ora ammesso dalla Corte Costituzionale, mentre sugli ultimi due è stato promosso, da sei Regioni, un conflitto d’attribuzione tra poteri di fronte alla Consulta e nei confronti dell’Ufficio centrale della Cassazione.
I due quesiti riguardano la durata dei permessi e il Piano delle aree che – spiegano i No Triv — obbliga lo Stato e i territori a definire quali siano le zone in cui è possibile avviare progetti di trivellazione. «Si tratta di uno strumento di concertazione che risulta essere fondame ntale soprattutto se con la riforma del titolo V si accentra il potere in materia energetica nelle mani dello Stato». «Sappiamo ora che su uno dei quesiti centrali ci sarà il referendum, a meno che governo e parlamento intervengano sulla materia», afferma l’avvocato Stelio Mangiameli che ha rappresentato i Consigli regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise di fronte alla Consulta. All’ultimo momento, invece, ha battuto in ritirata l’Abruzzo che, con un voltafaccia del presidente della Regione Luciano D’Alfonso (Pd), si è infine schierato contro il referendum e a fianco del governo.
«Le norme precedenti — prosegue il legale — prevedevano, per i titoli già concessi, proroghe di 30 anni, aumentabili di altri 10 e altri 5. Le modifiche introdotte con la legge di Stabilità eliminano la scadenza trentennale e fanno sì che in sostanza non ci sia più un termine. Su questo punto ci sarà il referendum».
«Il fronte referendario è sul 4–2 nella disputa con il premier — dichiara il costituzionalista Enzo Di Salvatore, docente all’università di Teramo, colui che ha materialmente scritto i quesiti -. Il governo voleva far saltare il referendum, visto che i sondaggi davano la vittoria antitrivelle al 67%».
«Il presidente Renzi dev’essere contento perché quando il popolo irrompe sulla scena della democrazia, chi è iscritto al Partito democratico dev’essere contento per definizione»: così il governatore della Puglia, Michele Emiliano -. «Per festeggiare il risultato – dichiara — organizzerei un corteo con le automobili. Qui la campagna per il voto comincia subito». E non risparmia di commentare l’abbandono da parte dell’Abruzzo: «È come quando uno si vende la schedina prima della partita, e poi si ritrova col tredici. Lo dico con affetto nei confronti del mio amico Luciano D’Alfonso, che avrebbe potuto gioire con noi». «Non c’è uno Stato centrale che ama l’Italia e un territorio che la odia. L’interesse strategico di un Paese, con lealtà e trasparenza lo si costituisce insieme. E questo è un passo importante», gli fa eco il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza (Pd).
«Questa sentenza ci dà lo spunto per rilanciare richieste chiare al governo: rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa (a cominciare da “Ombrina”) e una moratoria di tutte le attività di trivellazione off shore e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale»: così Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e Wwf accolgono il giudizio della Consulta. «Pur di assecondare le lobby dei petrolieri, l’esecutivo Renzi – attaccano — aveva promosso forzature inaccettabili, come la classificazione delle trivellazioni come “opere strategiche”, dunque imposte. La Corte Costituzionale rimette al giudizio dei cittadini quei meccanismi legislativi truffaldini con cui si è aggirato sino ad oggi un divieto altrimenti chiaro, lasciando campo libero ai signori del greggio fin sotto le spiagge».
UNA PRIMA VITTORIA.
DA BISSARE
di Enzo Di Salvatore
La Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il referendum sulle trivellazioni entro le 12 miglia marine, in relazione alla durata dei titoli minerari, come disposta dalla legge di stabilità 2016. Con l’entrata in vigore di quella legge, infatti, l’articolo 6 — precisamente al comma 17 — del Codice dell’ambiente è stato modificato: i permessi di ricerca e le concessioni di coltivazione sono fatti salvi per tutta la durata di vita utile del giacimento. E questo vuol dire che non hanno scadenza certa. Con un duplice effetto: la possibilità di estrarre senza limite temporale; la possibilità che i permessi già rilasciati restino vigenti oltre la durata già fissata dal provvedimento amministrativo. Evidentemente nella speranza che prima o poi la normativa sul divieto entro le 12 miglia marine cambi.
Nonostante le obiezioni mosse dal governo, e sebbene la sentenza non sia stata ancora depositata, la Corte costituzionale avrà certamente ritenuto che una durata «sine die» dei titoli minerari contraddicesse uno degli obiettivi dei promotori, posto già a base di un altro quesito referendario: quello di contenere la durata di tutti i titoli, attraverso il divieto di rilasciare proroghe oltre i sei anni per la ricerca e oltre i trenta anni per l’estrazione. Ma questo solleva ora un problema ulteriore, giacché la Cassazione ha dichiarato chiuse le operazioni referendarie per tutti gli altri quesiti e, dunque, anche per quello sulle proroghe dei permessi e delle concessioni.
È una contraddizione in termini: a seguito delle modifiche del parlamento, infatti, il contenimento della durata dei titoli riguarderà solo i nuovi «titoli concessori unici», ma non anche i permessi e le concessioni, che potranno beneficiare di proroghe ulteriori.
D’altra parte, insoddisfatta resta anche la richiesta referendaria sul piano delle aree; e ciò perché il quesito proposto dalle Regioni presupponeva necessariamente il mantenimento del piano. Ma la legge di stabilità ha abrogato il piano. Questo vuol dire che è sparita la norma sulla quale far votare i cittadini. Per questa ragione, venerdì prossimo nove regioni (eccezion fatta per l’Abruzzo) promuoveranno dinanzi alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione, allo scopo di recuperare sia il quesito sulle proroghe sia quello sul piano delle aree.
Rispetto a questo scenario, il governo ha davanti a sé due strade: consentire che si vada a referendum (sul quesito sul mare ed eventualmente su quelli relativi alle proroghe e al piano delle aree, qualora il conflitto di attribuzione si risolva positivamente) oppure modificare nel senso voluto dalle Regioni la normativa oggetto di referendum.