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Filippo Ciccone
Il punto sul Piano paesaggistico della Sardegna
10 Marzo 2007
Scritti ricevuti
Una nota di uno dei membri del Comitato scientifico che ha collaborato alla redazione del PPR, con una postilla.

Quasi in contemporanea, due avvenimenti caratterizzano l’attuale fase del Piano paesistico della Sardegna. Un referendum e la fase due del Piano, relativa alle zone interne. Si tratta di quel Piano che è stato preceduto dalla coraggiosissima decisione di sospendere per due anni gli effetti potenziali di tutti i piani regolatori, per una fascia di due km dal mare. Coraggiosa decisione davvero, a mio parere più della tassa sul lusso che magari ha più appeal mediatico.

Il punto, per il Presidente della Regione è questo: la Sardegna con uno sfruttamento “turistico” delle coste del tutto legale sta distruggendo il suo paesaggio. La risorsa costa rischia di essere seppellita sotto milioni di mc di costruzioni, per di più senza alcun legame con la storia dei luoghi. In Costa Smeralda è stato inventato un nuovo vernacolo, fatto di archetti, tegole, tinteggiature alla veneziana, scale a profferlo che nulla hanno a che fare con le tradizioni costruttive della Sardegna e col rapporto fra costruzioni e paesaggio consolidatosi nei millenni. E il cancro si è rapidamente metastatizzato: il modello smeraldino ha invaso ogni angolo di Sardegna, con un effetto comico e tragico ad un tempo.

Ora, il Piano per la costa è stato approvato un anno fa e valgono nuove regole, ispirate agli intendimenti dell’amministrazione Soru. Regole che, com’era prevedibile, non sono piaciute a molti e in particolare all’opposizione che ha appena raccolte le 10 mila firme necessarie per sottoporre a referendum popolare il Piano paesistico della costa. Gli uffici, nel frattempo, hanno quasi concluso la parte del Piano relativa alle zone interne che, ovviamente, presenta difficoltà assai minori rispetto agli interessi in gioco.

Sarebbe veramente una beffa se l’unica seria esperienza italiana in corso in materia di pianificazione paesistica, per di più aggiornata sulla base delle più recenti direttive e leggi (convenzione europea e codice Urbani) venisse azzerata da un referendum. La possibilità c’è, perché l’attuale versione del Piano paesaggistico un vulnus ce l’ha. Nell’insieme il piano è molto ricco di innovazioni e di attenzioni per il paesaggio della Sardegna ma, come insegna l’esperienza, è sufficiente un neo per aprire una voragine.

La questione è stata da me già posta in quanto membro del Comitato scientifico per il piano. Ma la mia posizione non ha avuto successo. Credo che i recenti citati avvenimenti creino le condizioni per una riapertura anche pubblica del dibattito.

Il punto, il vulnus è contenuto nell’articolo 15 delle norme del piano per la costa. Tale articolo è stato redatto sulla base del principio che vanno fatti salvi alcuni diritti acquisiti dai proprietari delle aree oggetto di previsioni edificatorie dai piani regolatori. Si tratta di un principio che vede divisi i tecnici, già quando si parli della sola pianificazione comunale. In altri termini, c’è chi dice che una previsione, specie se consolidata da atti (convenzioni, concessioni e altro), non possa più essere rimessa in discussione e chi, come me, ritiene che un Prg fatto oggi possa e debba assolutamente non tener conto di precedenti decisioni. D’altra parte, è a tutti noto che la sensibilità ambientale si evolve anche sulla base delle acquisizioni tecniche e culturali. Se quindi, un’amministrazione comunale può ritenere che bisogna lasciare libero sfogo agli imprenditori edilizi, è altrettanto lecito che quella che la segue possa ispirarsi a principi del tutto opposti. D’altra parte il piano è lo strumento con il quale la comunità decide del suo futuro e lo fa occupandosi di paesaggio, di ambiente e di quella risorsa irriproducibile che è il suolo. Niente di anomalo, quindi, se un’amministrazione si muove con grande prudenza (di gran lunga preferibile all’incoscienza) e dispone delle sue risorse con la dovuta attenzione. La giurisprudenza asseconda questa impostazione anche se vi sono sentenze che la negano. In sostanza, a livello di Prg si può ancora intravedere una giurisprudenza contraddittoria, ma quando si parla di paesaggio la musica cambia assai.

La pianificazione paesaggistica, in sostanza, poiché opera in funzione di un interesse superiore, può decidere anche in modo molto drastico, comprimendo il diritto di proprietà fino al limite estremo di limitare o vietare la pratica di determinate modalità colturali, senza che per queste limitazioni sia dovuto alcun indennizzo. Il Piano paesaggistico della Sardegna, come il decreto transitorio che lo ha preceduto, nascono dalla situazione di allarme descritta in esordio, secondo la quale se le previsioni dei Prg si fossero attuate si sarebbe distrutto il paesaggio costiero della Sardegna.

Se questa era e rimane la motivazione di fondo delle attività della Giunta Soru in materia di pianificazione paesaggistica, è evidente che il piano può prevedere anche un nuovo modo di considerare eventuali espansioni edilizie. Gli studi economici di supporto al piano sono chiarissimi. Se espansione “turistica” ci dovrà essere, essa sarà limitata alle attività alberghiere, con una decisa limitazione dell’edificazione di seconde case. Non solo, ma anche le seconde case esistenti e gli insediamenti che le raccolgono, dovranno essere urbanisticamente e paesaggisticamente riqualificati e sono possibili anche premi di cubatura per quanti riconvertiranno le seconde case in attività para alberghiere. In sostanza, la Sardegna non può permettersi il lusso, che stava diventando un’abitudine, di lasciar edificare manufatti destinati a essere utilizzati per pochissime settimane l’anno.

Ma l’articolo 15, concepito come se fosse la norma transitoria di un Prg, per altro non proprio di avanguardia, è scritto in modo tale da sollevare con facilità quei problemi che hanno consentito all’opposizione di raccogliere rapidamente le 10 mila firme necessarie alla richiesta di referendum. Perché? Perché hanno raccolto il comune sentire che la Regione ha bloccato le piccole speculazioni ma ha lasciato delle chances alle grandi imprese, che sono le uniche in grado di operare nel settore alberghiero. E così in fondo è se, per un lungo periodo, le uniche cose che si faranno, saranno edificate laddove era già previsto che si facessero. Dove c’erano interessi costituiti e ratificati da atti pubblici.

Ma la strada maestra non è questa, quanto piuttosto quella del piano paesaggistico della costa orientale nuorese, redatto negli anni Sessanta da esperti del calibro di Insolera, Giacomini, Pratesi e altri, che era un piano che sceglieva con accortezze legate a un approfondito studio degli ecosistemi dove localizzare espansioni quasi esclusivamente di tipo alberghiero, e cioè destinate a generare risparmio di suolo e ampia e più stabile occupazione. Quel piano non è stato mai adottato e poi è finito nei cassetti. Ma se fosse stato attuato (verificare per credere) quella costa oggi sarebbe ben più bella.

Il metodo di allora è applicabile ancora oggi. Semplificando molto, basterebbe davvero azzerare tutto (con il piano) e decidere (indipendentemente dalle pressioni dei proprietari delle aree) in quali luoghi e con quali vincoli e limitazioni si possono realizzare strutture alberghiere. Poi, con avviso pubblico, selezionare le proposte imprenditoriali più meritevoli da tutti i punti di vista (paesaggio e economia in primis).

Un simile procedimento, che si farebbe sempre in tempo a prendere, spunterebbe le armi a chi si aggrappa alla disparità di trattamento e ai diritti acquisiti. Un piano del genere sarebbe inattaccabile in quanto equanime e credibile, specie se gestito come l’Amministrazione Soru intende fare.

Postilla

Condivido con Ciccone la tesi che un piano urbanistico ha il diritto di modificare motivatamente qualunque previsione di un piano precedente, e che non esistono precostituiti “diritti edificatori” che debbano essere compensati. Tanto più ha il potere di modificarla n piano paesaggistico. Ciò però ha poco a che fare con l’articolo 15 delle norme attuative del Piano paesaggistico regionale della Sardegna. Quelle norme non derivano da un principio , ma da una opportunità politica . Il PPR ha indubbiamente, e saggiamente, fatto violenza alla situazione preesistente, che a sua volta faceva violenza alla qualità del paesaggio sardo. Ha cancellato o sospeso non “diritti”, ma legittime aspettative. Ha contrastato decisioni (generalmente insane) di comuni legittimamente costituiti e legittimamente operanti: decisioni che erano state legittimate da precedenti poteri regionali (e statali).

Non sembra affatto scandaloso, né rischioso dal punto di vista della legittimità costituzionale, che la Regione abbia anche deciso, là dove le precedenti decisioni della pianificazione attuativa erano consolidate, di esaminare nel concreto, caso per caso, con la provincia e il comune interessati, quali convenzioni già stipulate prima dell’adozione del PPR e fuori della fascia di 2000 m dalla linea di costa potessero essere completate. Si tratta della ricerca di una posizione di equilibrio tra le nuove decisioni della regione e le componenti più consolidate di un lungo pregresso che l’amministrazione regionale ha ritenuto politicamente opportuno assumere.

Forse è anche per effetto di questo atteggiamento misurato che, mentre il piano di Insolera, Giacomini e Pratesi è ricordato solo dagli studiosi, il piano paesaggistico della Giunta Soru riuscirà a cambiare le cose in Sardegna: come le ha già cambiate, cancellando almeno una buona metà dei 70 milioni di metricubi approvati senza eccessive resistenze negli anni trascorsi, e facendo comprendere a tutti che si è aperta una nuova epoca. Beninteso, se il referendum o altri atti non cancelleranno il piano paesaggistico (e.s.).

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