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Mariagrazia Gerina
«Il Prg frena chi specula attenzione a rivederlo»
9 Maggio 2008
Roma
Intervista a Paolo Avarello, che per difendere la politica urbanistica romana insiste sulla balla dei “diritti edificatori”. L’Unità, Roma, 9 maggio 2008, con postilla

La puntata di Report sull’urbanistica romana ha «scoperchiato» il vaso. Ma le critiche si sono abbattute sulla amministrazione Rutelli-Veltroni non proprio a ragione secondo Paolo Avarello, presidente dell’Istituto nazionale di Urbanistica, perché tutto ciò che è stato trasmesso da Report - spiega Avarello - non è il nuovo ma l’eredità del vecchio piano regolatore che risale al ’65 ma si allunga fino ai nostri giorni. Ora, invece, le amministrazioni Rutelli e Veltroni lasciano in eredità ad Alemanno con il nuovo piano regole che dovrebbero migliorare la qualità urbana in una città massacrata da decenni di abusivismo. Alemanno saprà farle rispettare? Una domanda che preoccupa il presidente dell’Inu.

Parliamo prima del passato recente. Che tipo di rapporto hanno impostato le amministrazioni Rutelli e Veltroni con i costruttori?

«Intanto le due amministrazioni non sono state la stessa cosa e non si sono trovate ad affrontare esattamente le stesse questioni. In particolare, la seconda amministrazione Rutelli ha avuto il grosso problema di liquidare il pregresso: chiudere i conti con il vecchio piano, ridurne le previsioni edificatorie. E ha scelto di farlo patteggiando con i privati, che dal piano del ’65 si erano visti riconosciuti una serie di diritti edificatori».

Non si poteva semplicemente dire: qui non si costruisce più?

«No, perché una volta assegnata l’edificabilità l’amministrazione, con le leggi vigenti in Italia, non ha molti margini per tornare indietro: i privati acquisiscono un diritto e se l’amministrazione prova a toccarlo, fanno ricorso e nel giro di 8 anni – tanto durano le cause – di solito vincono loro. Per di più l’ultima finanziaria Berlusconi ha ribadito che l’Ici si paga anche sulla sola previsione edificatoria del prg. Quindi se non vuoi più che il privato costruisca devi anche restituirgli l’Ici pagata. Comunque per liquidare i vecchi diritti edificatori le vie erano sostanzialmente due: patteggiare con i privati oppure espropriarne le aree. Ma l’amministrazione non aveva soldi per farlo.

Quindi è venuta a patti con i privati?

«Sì, non patti segreti, ma accordi in base ai quali l’edificato previsto nel vecchio prg è stato spostato altrove: non dove si era costruito troppo ed era meglio lasciare spazio a un parco, non nelle aree centrali ma in quelle periferiche, che valgono di meno, quindi aumentano le cubature. Si chiama compensazione e si pratica ovunque. Roma però ha dovuto anche fare i conti con una legge urbanistica regionale rigida per cui il piano ha dovuto stabilire non solo dove, ma anche quanto, come costruire. Mentre in Toscana, per esempio, quanto e come lo si vede in un secondo momento, proprio per evitare che si stabiliscano dei diritti acquisiti rigidi».

Perché il Lazio ha scelto un’altra via?

«La Regione aveva un assessore del Prc e i suoi consulenti, molto di sinistra, sostenevano che tutto si doveva espropriare e costruire a spese del pubblico».

E invece?

«Nella pratica il pubblico non ha i soldi. Una condizione diffusa oltre i confini italiani: anche altrove il pubblico non avendo soldi patteggia con il privato».

Forse altrove si patteggia in modo più vantaggioso?

«Sì, ma non è che l’amministrazione di Roma sia tra le ultime d’Europa. Su alcune cose ha fatto meglio, su altre ha “sbracato”. Il punto è che patteggiare si faceva anche prima, ma sottobanco e la quota sottratta ai costruttori andava in tasca ai decisori politici o tecnici e non per finanziare opere pubbliche. L’amministrazione Rutelli ha impostato l’urbanistica in modo che su ogni singolo progetto si decide cosa farà il privato per sé ma anche quale contributo in termini di aree verdi e opere pubbliche. Gli oneri concessori previsti per legge sono veramente una frazione minima: l’amministrazione si è fatta dare qualcosa di più dai privati in verde e in infrastrutture».

Ma il Comune non ha aree sue?

«Ne ha, ma non nei posti giusti, quindi se le deve far dare dai privati».

Vuol dire che ciò che è stato costruito in questi anni, frutto di questo patteggiamento, era un male necessario?

«Sono i quartieri previsti dal vecchio piano, un male inevitabile più che necessario, viste le leggi e le condizioni economiche».

Ma non si poteva dire qualche no in più?

«Forse sì, ma tenga conto di cosa significa l’edilizia a Roma».

Cosa significa?

«La prima attività non terziaria».

Risultato?

«Alcuni interventi sono infelici, altri meno, alcuni sono di buon livello. Ma quasi nulla di quello che ora fa gridare allo schifo viene dal nuovo piano, compresa la Bufalotta, che era in avanzata esecuzione quando è stato approvato il prg. Fare “papponi” in cui si tende a confondere il prima e il dopo e le responsabilità è ingiusto».

Ma Veltroni e Rutelli hanno davvero voltato pagina?

«Basta confrontare il peggiore dei quartieri realizzati in questi anni con via della Magliana o con le concentrazioni di abusivismo condonato».

E però le infrastrutture continuano ad inseguire ciò che i costruttori hanno già realizzato.

«Purtroppo è più facile fare le case che le infrastrutture. Però, per le nuove edificazioni è stato ribadito in sede di adozione del piano che senza metropolitana non si costruisce. Una regola che i costruttori non hanno mandato giù: speriamo bene.

Teme per il futuro?

«So che Alemanno ha detto che bisognerà rivedere alcune cose del piano. E so che su questo punto le pressioni sono molto forti».

L’idea centrale del piano è costruire in periferia nuove centralità. Funziona?

«La periferia romana è particolare, molto slabbrata con molti buchi: alcuni sono parchi altri no. Una periferia fatta solo di case non è una buona cosa. L’idea iniziale di densificare portando anche servizi e metropolitane, pattuita anche qui con gli operatori economici, era ottima. Però sconta molti ritardi. Storace per anni ha bloccato per motivi politici i grandi progetti di riqualificazione contrattati con interventi privati e poi si è perso tempo anche per completare i vecchi piani di edilizia economica che hanno prodotto quartieri brutti e nemmeno tanto economici. Nel frattempo è cambiato il mercato: quando l’iter è iniziato tutti volevano fare centri direzionali, centri commerciali, alberghi. Oggi i centri commerciali abbondano, vendere gli uffici è difficile, l’unica cosa che tira ancora è la casa».

Quindi anche l’idea delle centralità rischia di naufragare?

«So che Alemanno ha accennato che ci vuole qualche cambiamento al prg. E la pressione dei costruttori è la solita: fare solo e soltanto palazzine».

Postilla

Incredibile. Continuano a mentire sui cosiddetti “diritti edificatori” che non esistono. Continuano a dire che, se un comune vuole fare una variante al piano regolatore che elimina, motivatamente, l’edificabilità concessa ad alcune aree, deve indennizzare i proprietari. E chi lo afferma è il presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica!!! (veramente, sapevamo che da qualche anno era un altro). Ci tocca ripetere per l’ennesima volta che il piano regolatore non attribuisce alcun “diritto edificatorio”, e che invece rimane totalmente in piedi il diritto di variante del Comune, purchè motivato. La dimostrazione della balla dei “diritti edificatori" venne fornita alcuni anni fa e dimostrata per tabulas (vedi in questo sito: Forse che il diritto impone di compensare i vincoli sul territorio?) e confermata da autorevoli giuristi (vedi la lettera a Italia nostra del prof. Vincenzo Cerulli Irelli).

Se i governanti di Roma hanno preferito accontentare la proprietà immobiliare anziché modificare il PRG eliminando l’eccesso di previsioni del vecchio PRG, concepito e approvato nella lontana “età dell’espansione”, ciò dipende da una precisa scelta politica, culturale, sociale: quella di cercare e ottenere sempre l’alleanza, il sostegno e l’appoggio degli interessi della proprietà immobiliare volta alla speculazione sul plusvalore dei suoli. La stessa scelta, del resto, che era state compiuta e ribadita dalle giunte dominate dalla destra democristiana, nei decenni precedenti alle giunte di Argan, Petroselli e Vetere.

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