Dividere unendo, o unire dividendo: ancora una volta Silvio Berlusconi ha invaso lo spazio politico, con un´operazione che mira a essere formalmente impeccabile, ma che in realtà è insidiosa e strumentalizzatrice. Perché è vero che contro Bin Laden e il radicalismo islamico l´unione rapresenta un valore: se l´attacco terroristico globale è un´aggressione alla democrazia, allo stile di vita occidentale, alla cultura che tutti respiriamo, alla nostra stessa civiltà, allora ogni manifestazione unitaria o bipartisan è benvenuta. Anche, s´intende, la manifestazione contro il terrorismo lanciata da Leonardo Domenici, presidente dell´Anci e sindaco di Firenze.
Naturalmente occorre avere chiaro che manifestazioni di questo genere non servono a unire dal basso il popolo della sinistra e della destra: certi eventi accadono soltanto nella terribile condizione in cui si è trovata la Spagna dopo gli apocalittici attentati di Madrid. Servono piuttosto a unire le rappresentanze, i partiti, le élite, le leadership. A dimostrare pubblicamente l´unità di un paese minacciato, e a trasmettere un´immagine di reciproca solidarietà a tutta l´opinione pubblica.
Con l´intervista che esce oggi sul Foglio, il quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, Berlusconi conduce una spericolata acrobazia in parte sui territori dell´ovvio, e in parte sui terreni scivolosi della manipolazione politica. Dire che è necessario un «patto democratico» per impedire «l´uso politico di parte» del terrorismo significa rivendicare con enfasi un´ovvietà. Si ha notizia in Italia di qualcuno, partito o uomo politico, che usa politicamente il terrorismo? C´è qualche soggetto nella politica italiana che scherza col fuoco? No, evidentemente. E allora che cosa vuole dire il premier quando sostiene che bisogna «escludere con una dichiarazione comune il terrorismo dall´ambito delle questioni su cui si svolge il conflitto ordinario della democrazia italiana»?
Non si capisce bene, a meno che non voglia dire che sul terrorismo occorre essere sempre d´accordo con il governo. Oppure, peggio, che c´è qualcuno, si immagini in quale settore politico, che la tentazione di sfruttare politicamente il terrorismo ce l´ha. Difatti Berlusconi aggiunge subito dopo che «la sinistra deve decidersi, uscire dall´ambiguità». Ora, che la sinistra abbia un atteggiamento variegato rispetto all´intervento unilaterale in Iraq, e che al suo interno le posizioni sulla missione "Antica Babilonia" siano le più diverse è un fatto: ma sostenere che esista e si manifesti un´ambiguità rispetto al fenomeno terroristico non è nemmeno un insulto. È una torsione tanto velenosa della realtà da risultare insostenibile per tutti coloro a cui è rivolta.
In realtà la posizione di Berlusconi, apparentemente brillante sul piano polemico (in sintesi: «non si può essere contro il terrorismo a giorni alterni») sembra fatta apposta per incenerire ogni idea bipartisan, sulle prossime manifestazioni pubbliche ma soprattutto sulla linea politica del nostro paese. Perché da un lato il capo del governo invita all´unità nazionale, alla solidarietà di tutto il Paese, e dall´altro attacca gli «equivoci» del centrosinistra, la «contraddizione profonda» che segna il campo a lui avverso. A suo dire c´è un´Italia della pace vera, quella «che scese in piazza il 10 novembre 2001 per solidarietà con gli americani colpiti da Bin Laden, quella che il 19 aprile del 2002 manifestò il proprio amore per Israele colpito dalle stragi di civili dell´Intifada del terrorismo suicida».
Questa eccellente prova linguistica di Berlusconi si riferisce alle iniziative pubbliche promosse dal Foglio. Ma a osservare da vicino le sue espressioni, il senso del discorso è che esistono due Italie, l´una affidabile, vicina agli amici americani, cosciente della sfida terroristica di Al Qaeda e serenamente decisa a reagire; e un´altra Italia inaffidabile, caratterizzata da un pacifismo talmente ideologico o rinunciatario da non essere credibile perfino sul piano della sua lealtà democratica.
L´ossimoro di Berlusconi, dividere per unire, o viceversa, sembra incomprensibile ma è comprensibilissimo. Oggi i governi che hanno sostenuto l´intervento in Iraq sembrano i prossimi destinatari dell´ondata di rancore che si riverserà su di loro, sulle «destre delle bugie», come è appena avvenuto alle elezioni spagnole. Per questa ragione il capo del governo ha bisogno di distinguere, di separare, di identificare con un sigillo interlocutori e nemici. Per suddividere le responsabilità, per alleggerire la scelta tragicamente futile del sostegno alla politica angloamericana, per attribuire alle pattuglie della cattiva sinistra il perdurare dell´opposizione alla presenza italiana sul suolo iracheno.
A occhio, l´intervista di Berlusconi è il frutto di una stagione precedente, inavvertitamente passata. È una volontà assertiva che si presenta con le caratteristiche affascinanti e bizzarre del fuori moda. In realtà, non stiamo giocando alla politica. In realtà siamo sotto tiro, l´ha detto proprio Berlusconi. In realtà, proprio per tutto questo ci vorrebbe una consapevolezza diversa, anziché il disincanto cinico e la manipolazione contro gli avversari politici. Ma la consapevolezza, cioè lo spirito bipartisan o repubblicano, una generosità politica di fondo, non la possiede Berlusconi come non l´hanno avuta Aznar e i suoi ministri. Questa volta è possibile che il calcolo di Berlusconi, la croce gettata addosso ai suoi oppositori, sia stato un azzardo. Se è così, gli rimbalzerà addosso molto presto, e potrebbe fargli molto più male del male che ha voluto infliggere ai suoi avversari