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Stefano Luca; Vergine Piana
Il Ponte si pagherà in 60 anni
23 Ottobre 2009
Il Ponte sullo Stretto
La Grande Opera nascerà sommersa di debiti e sempre più inutile per migliorare la mobilità. Da L'Espresso, n. 43, 29 ottobre 2009 (m.p.g.)

Giovedì 15 ottobre il ponte sullo Stretto di Messina è piombato nella vita degli italiani. Il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, ha annunciato che a Natale partiranno i lavori per spostare la ferrovia che arriva al porto di Villa San Giovanni. La costruzione del ponte, costo stimato 6,3 miliardi di euro, sarà finita in sette anni. Per il ministro i dibattiti sul progetto definitivo che manca, sugli interessi mafiosi per gli appalti, sull'utilità di un'opera che mai si ripagherà sono finiti: il ponte si farà.

Nel fronte dei contrari tanta sicurezza è stata letta come una mossa politica: il governo è alla ricerca di un colpo a effetto e l'apertura in diretta televisiva del cantiere per un'opera accessoria si riduce a mera propaganda. I reali motivi dell'accelerazione di Matteoli, però, sono probabilmente diversi. Le più recenti cifre sul traffico, infatti, dicono che il passaggio sullo Stretto sta diventando sempre meno cruciale nelle rotte per la Sicilia. Da quando il progetto preliminare è stato varato, infatti, l'isola ha vissuto un boom di voli low cost e di navi cargo che saltano lo Stretto, collegando direttamente Palermo con Napoli, Livorno, Genova. E questo, per Matteoli, è un grosso problema.

Il piano finanziario prevede infatti che una fetta consistente dei soldi necessari, circa 3,8 miliardi, venga presa a prestito in banca e restituita nel tempo con i pedaggi incassati da chi userà il ponte. Soltanto 2,5 miliardi dovrebbero venire dalle casse dello Stato e, di questi, appena 1,3 miliardi a fondo perduto: il resto dovrebbe essere restituito al socio pubblico nei modi previsti per le banche.

Questa struttura, però, è a rischio.

Gli istituti di credito vogliono certezze su quando riavranno indietro i loro prestiti. E ci sono i consueti dubbi su un costo reale che potrà essere più alto del previsto. Timori che potrebbero far saltare i prestiti bancari, una prospettiva che va sempre tenuta in considerazione, vista la lezione del fallimento finanziario dell'Eurotunnel, la galleria sotto la Manica che, pur collocata sull'asse fra due megalopoli vivissime come Londra e Parigi, ha causato perdite miliardarie agli investitori. Di qui il tentativo in extremis di Matteoli per serrare le fila, convincere le banche sulla serietà delle intenzioni e non mandare all'aria un progetto fortemente voluto dal premier Silvio Berlusconi e dal partito del cemento, visto l'appalto affidato a un consorzio guidato da Impregilo, società che conta fra i soci pezzi da novanta come i Ligresti, i Benetton e il costruttore Marcellino Gavio.

In apparenza, il traffico sullo Stretto è tutto fuorché in crisi. Fra traghetti privati e navi delle Ferrovie dello Stato, ai moli messinesi di Rada San Francesco e di Tremestieri e a quelli calabresi di Reggio e Villa San Giovanni si contano 280 partenze giornaliere, che salgono a 400 in alta stagione. Gli imprenditori sostengono che i treni merci prima di essere imbarcati aspettano anche due giorni. Per chi viaggia con l'auto i ritardi sono una dannazione, come appare inevitabile se si considera che lo Stretto è affollato anche da 20 mila cargo l'anno in viaggio fra Tirreno e Mediterraneo. Di qui la difesa dell'utilità del ponte fatta da Pietro Ciucci, numero uno della Stretto di Messina Spa, la società dell'Anas chiamata prima a sovrintenderne la costruzione e poi a gestirlo per trent'anni: "Anche un non amico del ponte come Alessandro Bianchi, l'ex ministro dei Trasporti, in un'audizione definì lo Stretto una delle aree più trafficate del Mediterraneo. Ogni quattro minuti parte un traghetto, mentre un terzo delle navi che incrociano trasporta prodotti chimici e petroliferi: i rischi per la sicurezza e l'ambiente sono facilmente immaginabili", dice Ciucci.

Se però si scende nei particolari, le prospettive di ritorno economico di un'infrastruttura tanto impegnativa appaiono fortemente dubbie. Basta prenotare un viaggio via Internet per farsene un'idea. In un giorno feriale di novembre, un trasferimento da Trapani a Roma con la compagnia aerea Ryanair costa 30 euro e dura un'ora e mezza, mentre con il treno si va dai 55 euro dell'interregionale ai 126 dell'Intercity e ci vogliono da 16 a 23 ore, cambi compresi. Da Palermo a Roma si vola con EasyJet a 40 euro e con WindJet a 75 euro, mentre in treno - scegliendo il Frecciarossa da Napoli - ci vogliono 11 ore e 87 euro.

Il passaggio via ponte accorcerà un po' i tempi, ma il vero ostacolo restano l'arretratezza della linea di oltre 400 chilometri fra Reggio e Napoli, nonché quella delle ferrovie che congiungono Messina a Catania e Palermo. Dipende anche da questo il successo negli ultimi anni del traffico aereo. Se si guardano solo i viaggi tra la Sicilia e il resto d'Italia, il boom è superiore a quello nazionale. Nel 2001 era il 13,4 per cento dei viaggiatori a utilizzare l'aereo, mentre nella prima parte del 2009 si è raggiunto il 17 per cento.

Dagli aerei alle navi, i dubbi sul ponte non vengono meno. L'anno scorso sono diminuiti sia i passeggeri che le merci passate per lo Stretto. Le Ferrovie, in particolare, hanno tagliato del 5 per cento le corse rispetto alle previsioni, ma sono molte le valutazioni che indicano come il transito da Reggio a Messina non sia più un passaggio obbligato per i trasporti di merce per la Sicilia. I camion hanno molteplici rotte con il resto d'Italia. Il 42 per cento dei posti disponibili, stando ai dati di Confitarma, è su navi che collegano Palermo con tutto il Tirreno: solo il 23 per cento passa da Messina. Persino la Caronte & Tourist, la storica società dei traghetti dello Stretto, realizza ormai metà dei propri ricavi su rotte diverse: una diversificazione attuata in vista del ponte, ma che già oggi dà i suoi frutti.

La questione è delicata. "Se alla fine le stime di traffico non dovessero essere rispettate, chi ci metterà i quattrini necessari: le banche, i privati o i contribuenti?", si domanda Marco Ponti, che insegna Economia dei trasporti al Politecnico di Milano. A domande come queste, Ciucci risponde che i piani elaborati dalla Stretto Spa non presentano falle: "È stato considerato un ventaglio di scenari sia in relazione alla crescita del Pil che all'evoluzione del traffico. A settembre, come ulteriore prudenza è stato scelto di utilizzare le nuove previsioni di traffico stradale ridotte del 5 per cento e di calcolare, a partire dal quinto anno, flussi di traffico stradale e ferroviario costanti. Anche in questo scenario, molto prudenziale, il progetto è risultato economicamente fattibile", dice.

Può darsi che sia così. Il problema, però, resta quello delle cifre in gioco. Se si guardano i bilanci delle Ferrovie e della Caronte & Tourist, emerge un dato interessante: oggi il giro d'affari del trasporto sullo Stretto vale circa 120 milioni di euro. Una piccola torta, se si considera che la Stretto Spa dovrà restituire alle banche e ai soci pubblici (l'Anas e le Fs) circa 5 miliardi su 6,3. Se anche riuscisse ad accaparrarsi l'intero business del transito, polverizzando la concorrenza navale e aumentando i prezzi, ci vorrebbero decenni per ripagare l'investimento. È questo il nodo principale che, probabilmente, Matteoli e Ciucci dovranno sciogliere con le banche: se anche le cose andassero al meglio, nei 30 anni di concessione la Stretto Spa non riuscirà a restituire l'intera cifra.

Dal punto di vista tecnico, Ciucci la mette così: "Abbiamo previsto di effettuare nel periodo di gestione un ammortamento dell'opera non inferiore al 50 per cento dell'investimento ed il riconoscimento alla Stretto di Messina da parte dello Stato di un valore di riscatto pari, al massimo, al 50 per cento dell'investimento stesso al termine del periodo di gestione". Il valore di riscatto, aggiunge, troverà "integrale copertura mediante utilizzo di parte delle risorse che verranno acquisite dallo Stato rimettendo a gara la gestione al termine del periodo della prima concessione". Che cosa significa? Che anche se tutto filerà liscio alla fine dei 30 anni metà dei 5 miliardi probabilmente non sarà ancora stata restituita ai finanziatori e dovrà essere, nella migliore delle ipotesi, spalmata su una nuova concessione trentennale. I banchieri lo chiamano 'balloon', che in italiano vuol dire mongolfiera. Una mongolfiera di debiti che, prima o poi, bisognerà restituire.

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