Alla fine degli anni 80 come ingegnere sono stato coinvolto nel progetto preliminare di una soluzione alternativa di attraversamento stabile dello Stretto di Messina e questo mi ha dato modo di farmi un’idea abbastanza precisa della problematica del Ponte. Su tale problematica mi accingo oggi a fare alcune considerazioni.
Essendo però trascorsi ormai più di 10 anni, ho ritenuto opportuno aggiornarmi sulla materia attraverso internet. Da un lato il sito web ufficiale della Società Stretto di Messina, il quale contiene indubbiamente cose interessanti, ma anche diverse cose non dette ed altre presentate con un ottimismo che appare assolutamente fuori luogo. Dall’altro alcune analisi critiche molto approfondite, in particolare alcuni articoli presenti nel sito www.eddyburg.it, che hanno fortemente rafforzate le mie perplessità sull’operazione Ponte.
Si tratta di un ponte sospeso a campata centrale unica di 3300 m di lunghezza sostenuto da due grandi pilastri in acciaio alti 382 metri. L’impalcato corre ad una altezza media di circa 70 metri sul livello del mare, ha una larghezza di circa 60 metri, sulla quale corrono sei corsie autostradali, due binari ferroviari e due corsie aggiuntive per la manutenzione. I pilastri sostengono le funi portanti, costituite di grandi cavi di acciaio armonico, che a loro volta sostengono il ponte, tramite una serie di tiranti verticali. I cavi portanti, del diametro di 1,24 metri, sono quattro, due a destra e due a sinistra; cosa inusuale per i ponti sospesi, ma necessaria in questo caso, perché data la lunghezza del ponte ed il suo enorme peso, il cavo unico risulterebbe di diametro troppo grande (1,70-1,80 metri di diametro).
Come si vede rispetto agli altri ponti simili esistenti nel mondo il progetto vuole battere un insieme di primati quali:
- massima lunghezza di campata, 66% in più rispetto all’attuale ponte più lungo (AKASHI KAIKYO, di 1990 metri)
- massima larghezza, 60 metri, contro valori massimi di 35 metri degli altri ponti grandi
- massima altezza delle torri di sostegno
cavi di sostegno di 1,24 metri di diametro, (contro 1,12 metri di AKASHI KAIKYO) e per giunta doppi, due a destra e due a sinistra, con un problema assai critico di uguale ripartizione della tensione (come segnalato al convegno di Stavanger dal prof. LEONARD, uno dei massimi esperti mondiali dei ponti sospesi)
- presenza di binari ferroviari che non esistono sugli altri ponti di lunghezza elevata, anche perché i treni sono più sensibili alle oscillazioni del ponte ed alle pendenze, che sono indotte dagli stessi carichi del traffico durante l’attraversamento. In AKASHI KAIKYO i binari ferroviari erano stati previsti, ma poi tolti, verosimilmente proprio per queste ragioni.
Ci sono poi degli altri primati, dei quali si parla poco, che sono la diretta conseguenza di tutti gli altri o se vogliamo della febbre di grandezza che sembra essere alla base del progetto. Il ponte (e anche questo è un primato), è ai limiti della fattibilità di questo tipo di strutture, tant’è che i principali elementi portanti (in particolare i cavi portanti) impegnano circa l’80% della loro resistenza per sostenere il peso proprio del ponte a vuoto, mentre il 20% resta disponibile per il carico pagante, cioè il traffico automobilistico e ferroviario. Come altri ovvi primati sono i costi ed i tempi di realizzazione, che alla fine saranno certamente ben superiori a quelli che oggi vengono dichiarati.
Un primato che assolutamente non c’è, è invece la quantità di traffico attraverso lo stretto, che oltretutto tende, come vedremo, a diminuire nel tempo.
Un ulteriore primato è il fatto che il ponte viene realizzato in un luogo ad alta criticità, sia come condizioni sismiche che metereologiche.
Il ponte è calcolato per un sisma di 7,1 gradi Richter, paragonabile al terremoto di Messina del 1908. Ma dato che un’opera del genere deve avere una vita operativa molto lunga, si ritiene che il sisma di progetto dovrebbe essere maggiore. Da notare comunque che il pericolo non è tanto l’effetto vibratorio (che data l’elevata flessibilità della struttura non è particolarmente pericoloso), ma la possibile rotazione relativa delle basi dei pilastri, o dei blocchi di ancoraggio dei cavi portanti per effetto degli scorrimenti di faglia, che spesso accompagnano i terremoti “estremi”. E questa è comunque di difficile valutazione.
Relativamente al vento di elevata intensità, si può dire che anche se esso non è pericoloso per la struttura, tuttavia esso induce ampie (seppur lente) oscillazioni che oltre un certo limite renderanno difficoltoso il traffico (prima quello ferroviario e poi quello automobilistico), fino a portare alla chiusura del ponte nelle situazioni più critiche.
Non è quindi vero che il ponte consente l’operatività 365 giorni l’anno.
E’ stato detto che il ponte fa risparmiare circa 40 minuti alle auto e circa un’ora ai treni e ciò è vero per il traffico di lunga distanza (per es. da Milano o Roma verso Palermo e viceversa). Ma per percorsi così lunghi, della durata di moltissime ore, questi vantaggi teorici non sono significativi.
Ancora peggio va per il traffico locale. Il traffico automobilistico che attualmente utilizza i traghetti è costituito per oltre il 40% di traffico locale, tra le città ed i paesi presenti ai due lati dello stretto e questa quota di traffico non solo non trae alcun beneficio dalla presenza del ponte, ma rischia di allungare i tempi di attraversamento. Ad es. per andare dal centro di Messina a Villa S. Giovanni attraverso il ponte, occorrerà prima percorrere parecchi chilometri di strade provinciali e di raccordi di collegamento nelle colline dietro Messina prima di raggiungere il più vicino casello autostradale ed immettersi sul tratto autostradale che imboccherà il ponte (il quale, va ricordato, corre ad un’altezza di circa 70 metri sul livello del mare). Stessa situazione sull’altra sponda dello stretto.
Per quanto riguarda le quantità di traffico nello stretto, le statistiche relative alla situazione del passato e le tendenze evolutive, esse sono descritte con grande precisione nel dossier: Il principe cammina sulle acque, a cura di Marco Guerzoni, agosto 2002, consultabile al sito http://eddyburg.it.
In sintesi possiamo dire:
- il traffico che fino agli anni 80 era in aumento, a partire dai primi anni 90 è costantemente in calo, soprattutto per il maggior uso dell’aereo da parte dei passeggeri e il maggior impiego per le merci, di navi che collegano direttamente i grandi porti, non solo italiani, direttamente con i porti siciliani
- i numeri attuali e la loro tendenza rendono assolutamente antieconomica l’operazione Ponte.
E non è un caso se il vero capitale di rischio, quello “privato”, sul progetto ponte non arriva.
I vertici della Società Ponte di Messina in varie interviste si affannano a dire che il ponte creerà sviluppo economico e turistico e contribuirà a debellare la mafia ecc. ecc. Ma come mai la Calabria che fa parte del “continente”, soffre gli stessi problemi di sottosviluppo e di mafia della Sicilia? O non è più verosimile che mafia e ndrangheta prenderebbero una ricca quota del business sulla realizzazione del ponte e in definitiva si rafforzerebbero?
Per inciso, le ben note cattedrali nel deserto realizzate nel passato avevano gli stessi lodevoli obiettivi teorici. Risultato pratico: non si è mai riusciti ad impedire la quota di business della mafia durante la realizzazione, mentre poi le opere sono state abbandonate nel nulla.
Lo scrivente ha avuto visione diretta di due casi specifici di tali cattedrali:
- L’enorme complesso termale di Sciacca, realizzato anche con la collaborazione di albergatori di Abano Terme, un’impresa che sembrava avere tutte le premesse per funzionare e che invece è in totale abbandono.
- I porti e porticcioli turistici, anche questa una scelta apparentemente giusta in una regione come la Sicilia. Ne sono stati costruiti una trentina, ma nessuno è stato completato e solo qualcuno funziona molto parzialmente.
Ora ci poniamo la seguente domanda: cosa richiamerebbe più turisti in Sicilia, la presenza del Ponte o la corretta funzionalità dei porti turistici e di altre infrastrutture ? Ed il recupero di tante spiagge bellissime ma oggi lasciate in balia del degrado e prive di qualunque servizio? E prima ancora, la certezza di avere sempre l’acqua potabile, questa sì, 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno?
Ma nel paese di Bengodi, sappiamo già quale risposta ci verrà data: Noi faremo tutto, sia il Ponte che tutte queste altre cose!
I vertici della Società Ponte di Messina affermano che il ponte porterà tanta occupazione, addirittura un totale di 40.000 lavoratori sulle due sponde dello stretto, nella fase di costruzione.
Ma se questo è vero, proviamo ad immaginare l’impatto sociale di una massa grande di persone (con le loro famiglie) che si dovrà insediare nella zona, a ridosso dei centri abitati. Potrebbe verificarsi una situazione critica, simile a quella che si verificò a Gela per effetto del petrolio e del petrolchimico. Migliaia di abitanti dell’entroterra lasciarono le campagne e dettero origine a quel grande e disordinato agglomerato di case, privo di strade e di servizi che sorge dietro Gela. Personalmente rimasi molto colpito da quella distesa di costruzioni che apparivano come scheletri fatti di pilastri di cemento in cui in modo casuale ed anche su piani diversi, alcuni appartamenti erano già abitati, mentre altri adiacenti erano ancora allo stadio di sole travi e pilastri.
Non è un caso se negli anni 80, studiosi olandesi della materia scelsero Gela come caso di studio emblematico di impatto socio - economico fortemente negativo e quindi come esempio da non ripetere.
Nessuno crede ai costi (4,6 miliardi di euro) ed ai tempi di realizzazione (6 anni), compresi i soggetti proponenti e gli ambienti del ministero. Tutti sappiamo che le grandi opere in Italia si dilatano sempre sia nei tempi che nei costi di realizzazione.
Nel caso del ponte dobbiamo aspettarci risultati peggiori della media per i due seguenti motivi:
- si tratta di un’opera vicina ai limiti della fattibilità tecnologica e realizzativa
- si opera in ambiente ad alta densità mafiosa.
Personalmente dopo questo aggiornamento personale e queste riflessioni sono diventato più ottimista: penso che il ponte non si farà.
Primo perché lo stato non ha i soldi; secondo perché nessun privato metterà mai una lira su un’avventura così evidentemente antieconomica.
Se però avrò avuto torto, allora come compenso avrò (o avranno le mie figlie) la possibilità di ammirare dal vero il ponte dei primati, cioè la madre di tutte la cattedrali nel deserto.