«Regina Coeli, San Vittore e Poggioreale i primi istituti, poi altri nove. Li acquisterebbe la Cassa depositi e prestiti, sarà lei a trattare con i Comuni per ottenere le variazioni urbanistiche e poi a sua volta cedere i palazzi ristrutturati». La Repubblica, 28 maggio 2016, con postilla
Che cosa stanno studiando Orlando e Cdp? Partendo dalle motivazioni e dagli obiettivi. È fin troppo evidente che carceri assai antiche – San Vittore risale al 1879 e allora fu previsto in una zona periferica rispetto al centro di Milano; Regina Coeli era originariamente un convento costruito a metà del 1600 e diventò carcere solo nel 1881; più “moderno” Poggioreale realizzato nel 1914 – non possono rispondere alle attuali esigenze di una corretta detenzione. Nonostante lavori interni e migliorie, che pure ci sono state in questi anni, le mura rimangono quelle. Mura invece molto preziose dal punto di vista urbanistico, perché ormai in zone centrali, tali da consentire una trasformazione e una riutilizzo per altre destinazioni economicamente molto vantaggiose. Una valorizzazione commerciale che va dalle residenze per i privati, agli spazi collettivi, agli alberghi.
Orlando, che ha puntato molto della sua gestione ministeriale sul carcere dal volto umano, sulla “decarcerizzazione” ottenuta con pene alternative alla galera, ha già realizzato l’obiettivo di veder calata la popolazione carceraria e con essa la spina del sovraffollamento, per cui l’Italia ha rischiato una multa molto pesante dalla Corte di Strasburgo. Ma non basta qualche metro in più per ottenere una detenzione effettivamente rieducativa. Per questo servono strutture nuove, spazi per il tempo libero, zone per il lavoro.
Spiega il ministro: «Nuove strutture ci devono consentire di superare l’attuale modello italiano, sui generis a livello europeo, perché segnato dalla dicotomia del dentro-fuori. Il detenuto o sta dentro oppure non ci sta. Non esiste, come in Germania o in Spagna una zona grigia, un carcere cosiddetto “di transizione”, in cui dentro si comincia a scontare una pena dura, ma poi si passa a una pena attenuata, anche lavorando».
E qui l’esigenza di Orlando si può saldare con l’esperienza di Cdp. Il ministero potrebbe cedere le tre strutture. In cambio sottoscriverebbe il contratto per la costruzione di nuove carceri che verrebbero realizzate dalla Cassa e diventerebbero di proprietà del demanio. Cdp – cui andrebbe l’utile della messa sul mercato delle vecchie strutture dopo un’adeguata progettazione d’intesa con i Comuni e la conseguente ristrutturazione – potrebbe occuparsi della manutenzione, sempre sotto il controllo del ministero della Giustizia. Ovviamente tutto questo, dal punto di vista economico, sarebbe possibile perché in cambio la Cassa diventerebbe proprietaria delle carceri storiche.
Un fatto è certo, come dice Orlando, «è del tutto avveniristico in Italia pensare a carceri di proprietà dei privati e gestiti dai privati, come avviene negli Usa, dove il business ha avuto come effetti l’aumento del numero dei detenuti. Io sono contrario alla privatizzazione, credo che ci siano anche dei vincoli costituzionali, l’esecuzione della pena non può essere delegata a un altro soggetto. Nel nostro Paese poi, con la criminalità mafiosa, sarebbe addirittura inquietante ». Conclude Orlando: «Con il regime del 41-bis (il carcere duro per i mafiosi, ndr.) abbiamo riconquistato il carcere, adesso non possiamo rischiare di compromettere la situazione».
postilla
Ecco le parole chiave dell'operazione: «Mura molto preziose dal punto di vista urbanistico, perché ormai in zone centrali, tali da consentire una trasformazione e una riutilizzo per altre destinazioni economicamente molto vantaggiose. Una valorizzazione commerciale che va dalle residenze per i privati, agli spazi collettivi, agli alberghi». Provate a immaginare a quali "spazi collettivi" penserà la Cassa depositi e prestiti; noi che sappiamo guardare nel futuro vi anticipiamo che saranno alberghi, residenze di lusso, a magari qualche lucroso centro commerciale.