Dalla razza padana alla razza messicana. Le magnifiche sorti delle telecomunicazioni nazionali potrebbero di qui a un mese veleggiare da un capo all’altro del mondo. Il magnifico timoniere sarebbe Marco Tronchetti Provera, che spera di traversare l’uragano e approdare ai lidi dorati d’oltreoceano, riempiendo la sua cassaforte e lasciando l’Italia a guardare e a telefonare su licenza straniera. Eravamo dei primatisti. Rischiamo di finire peggio che in mutande: l’Omnitel, fondata da De Benedetti, è alla dipendenze dell’inglese Vodafone; Enel aveva inventato Wind e l’ha ceduta al fondo Weather dell’egiziano Naguib Sawiris; “3”, unica compagnia umts, appartiene ai cinesi della Hutchinson Whampoa. Ci restava Telecom, restiamo avvinghiati a Telecom, come al tricolore, ma Tronchetti Provera dopo aver a lungo dialogato con l’australiano Rupert Murdoch, detto lo squalo, s’è inventato quest’altra strada, un pesce d’aprile condiviso con americani e messicani, che sembra uno sberleffo per chi ancora sogna “italiano”. Di fronte al quale potrebbe aver ragione persino il neodemocristiano Rotondi, che ci racconta come questo sia il mercato, chiedendo a tutti di arrestarsi quindi di fronte alla sua inalienabile libertà. Sarebbe da incoscienti però non accogliere con rammarico la notizia dell’eventuale salto al di là dei mari di una tanto strategica (e storica) impresa italiana e non rimpiangere i tempi in cui i famosi cavalieri distribuiti tra Brescia e Mantova, da Chicco Gnutti a Roberto Colaninno, si gettavano, il cuore oltre l’ostacolo, nell’impresa gigantesca della telefonia privatizzata. Onore all’azzardo dei “grandi progetti”. Con gli americani e con i messicani si può avvertire il gusto esotico e modernista della globalizzazione in casa nostra. Ma come si fa a nascondere l’amarezza di vivere in un paese che rischia di perdere un altro pezzo, in un paese dove i primi a far dietro front davanti all’impresa sono proprio gli imprenditori, che esaltano il mercato purchè sia protetto, garantito, sovvenzionato (anche grazie ad imprevedibili “tesoretti”, come invoca Montezemolo), eccetera eccetera. Dove nessuno ti chieda idee, coraggio, piani industriali, dove mai una sfida si presenti, un rischio si calcoli.
Marco Tronchetti Provera sembra di questa stoffa: se ha rischiato, ha rischiato (molto, in passato) con l’Inter o con le sue regate. Con la Pirelli e con i telefoni è passato via via all’incasso. Smobilitando, ma incassando. Come quando nel 2001, proprio all’alba dell’operazione Telecom, cedette la Fotonica Pirelli, definita solo un anno prima la «produzione del futuro», intascando una stock options di circa cinquecento miliardi di lire, che il Wall Street Journal definì una vergogna per il capitalismo italiano. Il risultato è che la Pirelli da multinazionale s’è ridotta, sotto la sua regia “commerciale” ad azienda quasi quasi di nicchia: un sacrificio per coprire i “debiti di gioco” (finanziario ovviamente) del suo presidente. Debiti che riporterebbero ovviamente a Telecom, al primo anno di governo Berlusconi, quando Tronchetti, con Edizioni Holding dei Benetton, attraverso Olimpia, rilevò il cento per cento della lussemburghese Bell in Olivetti, arrivando a controllare per questa via il 23 per cento della società telefonica. Un pasticcio di sigle, quote azionarie, partecipazioni. Nel 2003 Tronchetti decise di scorciare la catena di controllo di Telecom fondendo Telecom Italia con la controllante Olivetti. Nascendo una nuova Telecom (quotata in borsa a partire dal 4 agosto), scomparve il marchio Olivetti. Un altro addio, un’altra dismissione alle spalle. Altro colpo nel 2005, quando Telecom lanciò un’Opa di quattordici miliardi e mezzo sulla controllata Tim. Nel via e vai miliardario, molti non ci capiranno più nulla. Sta di fatto che i debiti della capogruppo Telecom schizzarono da 29 a 44 miliardi di euro, diventarono una specie di cappio al collo dell’italianità di Telecom e consentirono a Olimpia di distribuire bei dividendi. Tronchetti aveva la risposta pronta: i profitti della telefonia mobile consentiranno la riduzione dei debiti... S’illudeva pure lui.
L’anno dopo, ai primi di settembre, a Cernobbio, per il Workshop Ambrosetti, il nuovo capo del governo, Romano Prodi, parlò a Tronchetti che lo rassicurò: niente svendite, niente scorpori, rosei orizzonti, malgrado i debiti. Pochi giorni dopo Tronchetti Provera navigava attorno all’isola di Zante, nel mitico mare di Grecia, in compagnia del patron di Sky, Rupert Murdoch, per discutere di televisione e di contenuti. Voleva fare la “media company”, basta con gli obsoleti telefoni. S’avviò così il balletto della vendita di Telecom, con il veleno di polemiche, di smentite e controsmentite, nel segno del piano Rovati (Angelo Rovati, il consigliere di Prodi). Piano privato, segreto e noto a tutti, imperniato sulla divisione della rete fissa da Telecom Italia e il passaggio del suo controllo sotto l'ombrello dello Stato, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti (con successiva quotazione in Borsa). Insomma, secondo Rovati, lo Stato si sarebbe dovuto riappropriare di fili e cuniculi, insomma dell’hardware di base, quello che fa forte nella contrattazione e nel controllo. Pochi giorni dopo Tronchetti Provera presenterà invece il suo piano: separazione della rete fissa dalla telefonia mobile di Tim (dopo l’opa miliardaria del gennaio 2005), con il progetto di venderla. Tensioni sempre più aspre. Il 15 settembre Tronchetti Provera lasciava la presidenza di Telecom. Arrivò Guido Rossi. Pochi mesi ancora (siamo all’inizio del 2007) e Pirelli comunicava l’intenzione di cedere la quota dell’ottanta per cento di Olimpia. Russi, indiani, spagnoli ne studiarono l’acquisto. Invece il pesce d’aprile dell’altro ieri, grazie al quale Tronchetti Provera si è ripreso qualche carta. Ne ha passate di tutti i colori. S’è trovato tra i piedi persino gli spioni e i loro giochi sporchi, le intercettazioni e i ricatti, sempre all’ombra dello storico marchio Telecom. Lo ricordiamo nel solito gessato blu doppiopetto in una caldissima conferenza stampa imprecare, sull’orlo di una crisi di nervi, contro quei traditori. L’offerta transoceanica gli vale miliardi di euro e il plauso delle borse, con una rivalutazione miracolosa delle azioni Telecom, a favore di Pirelli. Il padrone se la riderà: arricchirsi con i debiti. Questo, signori, è il capitalismo. O forse solo il capitalismo di capitalisti senza qualità.