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Piero Ignazi
Il pasticcio delle primarie
4 Marzo 2015
Articoli del 2015
Un'analisi benevolmente critica di uno strumento mediante il quale furboni paralleli tentano di cancellare la democrazia in nome della democrazia.

La Repubblica, 4 marzo 2015, con piccola postilla

IL PD considera le primarie il mezzo principe per la scelta dei candidati alle cariche pubbliche e di partito. Ma sono veramente il sistema migliore? Dipende dagli obiettivi. Se si vuole aumentare la partecipazione alle decisioni non c’è mezzo migliore (al di là di esperimenti attraverso la rete che però sono ancora in fase embrionale).

SEe allo stesso tempo si vuole aumentare la partecipazione alla vita del partito e l’incremento degli iscritti, allora si affacciano seri dubbi. Se infine attraverso questo processo di selezione si vuole aumentare la democraticità interna del partito, non c’è mezzo peggiore: perché seguendo la strada delle primarie sempre e comunque si rafforza una visione plebiscitaria della democrazia deprimendo quella delegata. E si arriva così al pasticcio della Campania: dove si candida, e vince nell’imbarazzo generale, un candidato come De Luca, che il Pd non ha avuto la forza di far desistere. E ora il partito che aveva votato la legge Severino dovrà votare per un candidato governatore contro quella stessa legge.

Quando le primarie vennero introdotte per la prima volta a livello nazionale, nel 2005, si trattava in realtà di incoronare il prescelto, Romano Prodi. All’epoca quella iniziativa serviva soprattutto a legittimare un candidato che non rappresentava i maggiori partiti. Tuttavia emerse anche un effetto laterale: la partecipazione massiccia dei sostenitori, più di 4 milioni. Quella mobilitazione straordinaria, da un lato, costituiva una sorta di esibizione muscolare nei confronti dell’avversario, ma, dall’altro, evidenziava un grande desiderio, fin lì represso, di poter decidere direttamente. Nessuna iniziativa politica aveva mai coinvolto tante persone in Italia.

Le primarie apparvero quindi un efficace strumento per mobilitare l’elettorato e, in una fase di montante antipolitica — il successo del vaffa day di Grillo è di appena due anni dopo — , recuperare legittimità alla politica e ai partiti. Vi era poi un retropensiero in molti dei sostenitori delle primarie: sottraendo alla classe dirigente il potere di scelta dei candidati ai vari livelli si potevano modificare gli assetti interni e avviare un radicale rinnovamento del personale politico. In realtà questo obiettivo è stato raggiunto solo negli ultimi anni sia a livello di partito con la vittoria di Renzi, sia a livello politico con l’affermazione di sindaci e governatori estranei ai gruppi dirigenti consolidati — Pisapia a Milano e Doria a Genova i casi più eclatanti, oltre a Vendola in Puglia già nel 2005. Nel Pd il mito delle primarie è alimentato da una valutazione precisa, ripetuta come un mantra: la maggior “democraticità” di questo sistema.

Il ragionamento è limpido: aumentando il numero delle persone coinvolte nel processo di selezione, il cosiddetto “selettorato”, aumenta anche il grado di democraticità del partito. È evidente che un processo decisionale opaco e concentrato insindacabilmente in poche mani non può essere soddisfacente. Ma la decisione del Pd di estendere il selettorato sempre e comunque a tutti gli elettori — procedura adottata invece in pochissime occasioni da altri partiti europei — contiene in sé due handicap: dispossessa gli iscritti di una funzione che dovrebbe essere qualificante per l’appartenenza ad un partito, e stimola il virus plebiscitario all’interno del partito e, per estensione, nel sistema di rappresentanza italiano.

PNel momento in cui si offre a tutti (compresi i non cittadini italiani e i non aventi diritto al voto come i sedicenni) il diritto a scegliere, l’incentivo ad iscriversi al partito scende vertiginosamente: rimane solo l’adesione ideale, affettiva. E infatti gli iscritti al Pd, nonostante le brillanti performance elettorali e politiche di quest’anno, sono calati. Ma soprattutto, ben al di là della questione della esasperata personalizzazione, quello che più inquieta è la sottile delegittimazione del principio della rappresentanza e della democrazia delegata: come se procedere alle scelte attraverso rappresentanti sia un male. Indebolimento dei partiti, e contestualmente, indebolimento della democrazia sono gli effetti perversi che un uso debordante delle primarie rischia di provocare.

postilla
Non parliamo poi della pesante distorsione che avviene quando la primaria del raggruppamento Rosa è aperta anche ai Celeste, e quindi gli elettori Celeste possono determinare la scelta del candidato Rosa.

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