«Bergoglio ha detto che il carattere cristiano dell’Europa non si misura sulle sue lontane radici ma sulla capacità di praticare solidarietà».
La Repubblica, 19 marzo 2016 (m.p.r.)
Il futuro dell’Europa si gioca sempre di più sulla questione dei migranti, come mostra l’accordo con la Turchia finalmente raggiunto dopo ripetuti vertici dell’Unione europea. E le Chiese sono impegnate perché la bilancia penda dalla parte dell’accoglienza. È ormai in atto un coinvolgimento sempre più intenso di tanti cristiani - non da soli ma insieme a molti altri - in questioni sociali, dispute religiose, lotta al terrorismo, confronti elettorali, problemi politici e trattative diplomatiche che si intrecciano sempre più strettamente intorno al nodo immigrazioni.
Il cardinale Marx e il vescovo evangelico di Berlino hanno stigmatizzato il “linguaggio d’odio” usato dall’Afd, partito vicino all’ideologia xenofoba di Pegida, che ha raccolto molti consensi nelle recenti elezioni tedesche. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo ha raccomandato una preparazione spirituale all’ormai prossima Pasqua ortodossa che passi per un concreto soccorso ai profughi. Qualche giorno fa l’arcivescovo di Bologna ha sollecitato la costruzione di una grande moschea nella sua città e questa settimana i vescovi francesi hanno dedicato la loro assemblea generale ai rapporti con l’Islam. Il Consiglio permanente della Cei, che si è occupato di accoglienza ai profughi «senza discriminazione di nazionalità», ha dichiarato che «l’immigrazione porta con sé un contributo di ricchezza per tutto il Paese» e a Skopje il cardinale Parolin ha ribadito che l’Europa deve affrontare l’emergenza dei migranti con maggior solidarietà e meno individualismo.
Nel giro di pochi giorni, infine, papa Francesco, ha elogiato i «corridoi umanitari» promossi dalla Comunità di Sant’Egidio e dalle Chiese evangelica, valdese e metodista per evitare i «viaggi della morte» a chi giunge in Europa; ha lanciato un appello perché «le nazioni e i governanti aprono i cuori e le porte» a quanti «stanno vivendo una drammatica situazione d’esilio»; e ha richiamato l’attenzione delle future classi dirigenti sui rifugiati «tragicamente costretti ad abbandonare le loro case, privati della loro terra e della loro libertà».
Tante iniziative e tanti interventi, non coordinati tra loro, danno l’idea di un orientamento sempre più diffuso e radicato, malgrado divisioni e resistenze (come in Europa Orientale dove è forte l’ostilità verso gli immigrati). Emerge, indirettamente, un progetto sul futuro dell’Europa. È quello che Francesco ha cominciato a tracciare scegliendo Lampedusa per il suo primo viaggio da papa. Di recente, ha criticato severamente l’Europa per una gestione dei processi migratori senza visione e strategia.
Bergoglio ha più volte paragonato il Vecchio Continente ad una nonna che deve tornare ad essere madre o ad una donna sterile che può generare sebbene in tarda età. E si è detto sicuro che «l’Europa alla fine sorriderà ai migranti », anche grazie alla forza che viene dalla memoria di «grandi personaggi dimenticati» della sua storia come Adenauer, Schuman, De Gasperi. Proprio al piano Schuman, che fu all’origine del primo nucleo della Comunità europea, fa non a caso riferimento l’ultimo numero de La Civiltà cattolica - i cui articoli sono concordati con la Segreteria di Stato vaticana - per affermare che sospendere o, peggio, abbandonare il trattato di Schengen sulla libera circolazione all’interno dell’Unione europea significa contraddirne i principi fondamentali.
Il Papa che «non si immischia in politica» - come ha detto tornando dal Messico - è oggi il principale ispiratore di un “partito dell’accoglienza” destinato ad avere un peso politico crescente. È una politica molto lontana dall’iniziativa messa in atto nel 2003 per inserire riferimenti alle «radici cristiane» del Vecchio Continente in una Costituzione europea destinata tra l’altro a non entrare mai in vigore. Non a caso, nel 2014 Francesco ha detto che il carattere cristiano dell’Europa non si misura sulle sue lontane radici ma sulla sua capacità di praticare o meno la solidarietà.
Quella di oggi non è la politica tradizionalmente praticata dai cattolici: non è infatti scolasticamente desunta da principi supremi ma empiricamente ispirata dalle attese degli ultimi, non è ecclesiasticamente organizzata ma laicamente disorganizzata, non è chiusa in un recinto confessionale ma aperta a «tutti gli uomini di buona volontà». Ma è, anch’essa, politica. Un’Europa solidale verso gli immigrati sarà, infatti, «più facilmente immune dai tanti estremismi». Il “partito dell’accoglienza” può avere cioè un ruolo nella battaglia tra il centro e le estreme - o tra i partiti democratici e quelli che non lo sono - che nei Paesi europei, come ha scritto Garton Ash su Repubblica, sta sempre più spesso prendendo il posto del tradizionale confronto tra destra e sinistra.