Stefano Boeri, coordinatore degli architetti che hanno elaborato il masterplan di Expo 2015, vota sì al terzo quesito dei referendum ambientali milanesi, quello che chiede "la conservazione integrale del parco agroalimentare" che sarà realizzato sul sito dell´Esposizione universale. Perché?
«Un investimento pubblico di grande rilievo come quello previsto per Expo deve potersi trasformare in un regalo per la città e il territorio milanese. La realizzazione di un parco agroalimentare sarebbe la migliore eredità che l’Esposizione può lasciare a Milano, non solo come risorsa ambientale, ma anche culturale, turistica e produttiva».
L’intesa tra il neosindaco Giuliano Pisapia e il presidente della Regione Roberto Formigoni di procedere con la newco per acquistare i terreni da Fondazione Fiera e Cabassi va in questa direzione?
«Nel dossier di Expo la somma delle costruzioni permanenti arrivava a un tetto massimo di 220mila metri quadrati, che equivale a un indice di edificazione di 0,2, una cifra ragionevole. Ora la valutazione di vendita delle aree è stata fatta su un indice di 0,52 che farebbe crescere le volumetrie a 720mila metri quadrati. Mi pare una strada diversa da quella di costruire un grande parco agroalimentare da lasciare a Milano».
È ancora possibile cambiare rotta?
«Certo. Per questo invito tutti i milanesi a votare sì al terzo quesito dei referendum in modo da dare un segnale chiaro: correggere ogni ipotesi di stravolgimento del progetto originale ed eccessiva costruzione».
Si riferisce alla decisione di abbandonare l’idea iniziale di orto planetario?
«La scelta recente della società Expo di cambiare il progetto rende difficile realizzare il parco un domani».
Come dovrebbe essere questo parco agroalimentare?
«Lo immagino come un parco che in larga parte mantiene le caratteristiche del progetto presentato e approvato a novembre scorso al Bie di Parigi. Una zona di serre bioclimatiche dove si fa ricerca e divulgazione sul rapporto tra agricoltura e natura, e un’area di coltivazione dove al posto delle filiere dei 130 paesi ospiti di Expo ci saranno le 21 regioni italiane con i loro prodotti. Questa come base di partenza su cui si possono costruire diverse iniziative».
Per esempio?
«La cosa più bella sarebbe trasformare i lotti di terreno coltivato in luoghi per mostrare le eccellenze delle filiere italiane e come location per un Salone internazionale dell’agroalimentare che potrebbe svolgersi in ottobre, come contraltare del Salone del mobile di aprile. Sarebbe un’occasione per far venire ogni anno il mondo dell’alimentazione a Milano, favorire il commercio e i rapporti internazionali. Si potrebbe pensare anche a un fuori salone che coinvolga la ristorazione e il sistema del commercio».
Fare di Expo un evento permanente, quindi?
«Perché no? Un parco agroalimentare sarebbe un’attrazione in ogni giorno dell’anno».
Chi dovrebbe gestire il parco? E con quali risorse?
«Durante la stesura del masterplan abbiamo fatto uno studio attento del mercato e abbiamo già attivato i contatti con alcuni gestori di parchi a tema. In Cornovaglia, per esempio, c’è un parco simile, l’Eden Park, che registra un milione e mezzo di visitatori l’anno ed è in capo al mondo. Per la parte invece degli orti regionali credo che non sarà difficile trovare la collaborazione degli enti locali».