«Non potrò neppure aprire la finestra, che vita sarà questa?». Il Pirellone bis stringe il condominio su tre lati, è una gabbia di specchi, la luce arriva solo di riflesso, il tempo è scaduto e stare alla finestra non serve. Anzi, è peggio: dal 15 ottobre inizieranno i traslochi e si riempiranno gli uffici. Gli inquilini di via Bellani 3 sono stati circondati, hanno dettato le condizioni per la resa, ma non hanno spuntato un accordo: dovranno convivere col nuovo Palazzo Lombardia, inscatolati dal cemento. La Regione avrebbe preferito un divorzio consensuale, il progetto era di acquistare e demolire, non compra più: aveva offerto 4.500 euro al metro quadro ma gli abitanti ne chiedevano almeno il doppio, il costo del mattone più il disturbo e la buona uscita. La trattativa, ora, è chiusa. Non si sono intesi, e non sfugga il paradosso: don Ettore Bellani, l’uomo della targa sul muro, educava i sordomuti.
Il gigante e la casina. Qui vivono quattordici famiglie, due appartamenti sono sfitti, il terrazzo è ben curato, colpisce il verde. In questi giorni è stata attivata la nuova antenna per la televisione satellitare, regalo della Regione: «Il grattacielo oscurava il segnale— raccontano gli abitanti —. Ma se pensano di rabbonirci così, si sbagliano». I rapporti sono tesi dall’inizio, tre anni fa, da quando la Regione inizia a tirare su la sede direzionale in zona Garibaldi: «La nostra casa è stata costruita nel 1936, non ieri. C’è gente che vive qui da decenni. Eppure, un giorno arrivano, cancellano il Bosco di Gioia e dicono che siamo di troppo».
Si parte da lì. Il Pirellone vuole comprare a «prezzi di mercato» e col «consenso unanime» dei residenti: li trova resistenti. In alternativa, ipotizza una «permuta con altre unità immobiliari di pari superficie utile, di pari valore e nello stesso ambito territoriale tra Garibaldi e Repubblica». Insomma: insiste. Anche perché nell’angolo occupato dalla palazzina dovrebbe piantare alberi e posizionare «una cella a idrogeno e servizi connessi». L’assemblea di via Bellani 3, invece, non cede alla prima, rifiuta la seconda e ignora la terza offerta: «A queste condizioni, non ne vale la pena».
Antonio Rognoni è direttore generale di Infrastrutture Lombarde spa, la holding regionale che ha costruito Palazzo Lombardia e seguito il caso Bellani: «Il piano d’acquisto è basato su una stima dell’Agenzia del territorio e ai prezzi del 2008, i più alti. Oltre non si va: gestiamo denaro pubblico, non possiamo accettare atteggiamenti speculativi».
Per altro, non c’è più tempo. Il 15 ottobre, per primi, si trasferiranno da via Pola al nuovo grattacielo i dipendenti della direzione regionale Sanità: tutti i traslochi dagli uffici periferici, secondo il programma di Infrastrutture Lombarde, dovranno essere conclusi il 30 gennaio 2011. «Se non succede nulla — annunciano gli abitanti di via Bellani— torneremo alla carica». Rognoni esclude ripensamenti: «Li abbiamo trattati con i guanti, hanno scelto loro di restare lì».