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Dario Di Vico
Il Paese reale. L'agenda dei 14 milioni di pendolari che nessuno vuole (ancora) aprire
24 Marzo 2013
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Peccato che l'autore, da bravo economista conformista, non abbia titolato “i costi collettivi dello sprawl”. Ma a qualche conclusione corretta si arriva lo stesso.

Peccato che l'autore, da bravo economista conformista, non abbia titolato “i costi collettivi dello sprawl”. Ma a qualche conclusione corretta si arriva lo stesso. Corriere della Sera, 24 marzo 2013 (f.b.)

Dai 14 milioni di pendolari stimati in Italia quelli che stanno pagando di più i costi della crisi usano l'auto per recarsi ogni giorno sul posto di lavoro. Molti di loro sono operai perché le fabbriche ormai sono tutte fuori dei centri abitati, il resto sono lavoratori «flessibili» che devono timbrare il cartellino in orari non coperti dal servizio di trasporto pubblico. Un pendolare con auto ha subìto l'incremento delle tariffe autostradali e della benzina, usa la sua vettura e quindi spende di più in manutenzione ordinaria. In più sia con l'accisa sulla benzina sia con la fiscalità generale partecipa al sussidio del trasporto locale. Eppure non si aggrega, non protesta e di conseguenza non ha voce in capitolo.

La seconda tribù di pendolari è quella che si reca a lavoro con un bus extraurbano. Le tariffe sono in media +30% rispetto alle ferroviarie nonostante che i costi di produzione siano inversi, 15 euro a km per il treno e 3 euro per il bus. Come il pendolare in auto quello in bus è scarsamente organizzato, le proteste hanno come controparte naturale gli autisti dei bus e la relazione informale che si crea con loro serve a mitigare le inefficienze e ad apportare correzioni in corsa. In Lombardia i pendolari in bus sono stimati in circa 1 milione contro 760 mila in treno e la parte del leone la fa il traffico su Milano. La città del Duomo, infatti, attira giornalmente 900 mila pendolari complessivi che sono altrettanticity user in aggiunta ai residenti (1,3 milioni scarsi). Lo spostamento progressivo di popolazione da Milano verso l'hinterland e la provincia trova le motivazioni negli alti costi della città (innanzitutto nell'immobiliare) e nella possibilità di usufruire nei piccoli centri di preziose reti di supporto familiari e non.

Arriviamo ai pendolari in treno che sono l'ala più organizzata, «i duri». In Italia sono circa 3 milioni. Le prime proteste partivano come estensione delle lotte operaie e culminavano nel blocco dei binari. Poi via via il pendolarismo delle tute blu si è spostato su auto e bus e il treno è diventato interclassista. È facile trovare in carrozza persino magistrati e avvocati che quando vestono i panni del pendolare sono i più rapidi nel promuovere vertenze e cause. Grazie a Internet i pendolari dei treni hanno migliorato la loro organizzazione e ormai attorno a Milano esiste una ventina di comitati. Idem nel resto d'Italia con circolazione immediata delle notizie e addirittura una classifica delle tratte peggio servite o delle linee a binario unico come, per restare in Lombardia, quelle che angustiano i viaggiatori da Cremona a Milano o i pendolari di una parte della Brianza.

I viaggiatori da treno hanno il vantaggio di avere una controparte visibile (i gestori ferroviari) e di utilizzare le stazioni come «cattedrali» della protesta, i pendolari in auto alle prese con un ingorgo ovviamente non sanno con chi prendersela. La particolarità italiana è data dai larghi contributi statali e regionali al trasporto pubblico, cresciuti negli anni: in Lombardia dal 2001 al 2010 l'incremento è stato del 61% contro un'offerta di treni/km cresciuta solo del 30% e un aumento delle tariffe del 51% (l'inflazione ha inciso solo per 21 punti). La crisi se ha aumentato i costi del pendolarismo in auto ha decongestionato le autostrade e persino le tangenziali con l'eccezione delle ore di punta. Ma ha anche frantumato il lavoro e moltiplicato gli spostamenti. Sia chi opera nel terziario debole (partite Iva, precari) chi nel terziario forte (consulenti, professionisti) raggiunge più posti di lavoro o clienti in ore sempre meno canoniche. I comitati dei pendolari denunciano a più riprese che i treni a loro riservati sono vecchi e sporchi (pulizie e degrado) ma soprattutto sono lentissimi e poco puntuali, nonostante che in più di qualche caso i gestori abbiano allungato (sugli orari) i tempi di percorrenza.

Secondo Dario Balotta di Legambiente «il 2012 è stato l'anno che ha dato più problemi degli ultimi dieci». Consultando Pendolaria, una sorta di libro bianco del trasporto ferroviario, si scopre che l'anno scorso molte Regioni hanno deciso di tagliare corse e treni e ritoccare gli abbonamenti. Nel solo Piemonte 12 linee e il 90% dei treni sulla Napoli-Avellino è stato depennato. Ma il cambiamento più significativo lo si deve sicuramente all'avvento della Tav e ai riflessi che ha avuto sul traffico pendolari. La forte distanza tra la serie A del trasporto e la serie B è percepita da tutti, si sa che la Tav ha convogliato su di sé gli investimenti ed è diventato un business redditizio, tanto che su quelle linee in soli 5 anni l'offerta è aumentata del 395%. In parallelo il trasporto locale è stato lasciato degradare davanti ai super-treni che hanno l'assoluta precedenza perché devono arrivare in orario per non perdere competitività.

«Come conseguenza si è ridotta la velocità all'interno dei nodi urbani come Milano, andando più piano i treni pendolari hanno saturato gli spazi della rete e al minimo ritardo si genera un effetto di propagazione sull'intero traffico. E 15-20 minuti in più per un pendolare sono una tragedia, specie se si ripetono con una certa frequenza» sostiene Andrea Boitani, docente alla Cattolica di Milano e autore del pamphlet «I trasporti del nostro scontento». I clienti dell'Alta velocità pagano bei soldi e se il servizio ritarda magari tornano all'aereo, invece i pendolari «esprimono una domanda più rigida, che non ha alternative più convenienti e quindi su di essa si scaricano le inefficienze».

Ma se le cose stanno così come si possono risolvere i problemi dei pendolari? Ci vorrebbero più treni, più rapidi e nuovi almeno nelle 20 principali linee dei pendolari dove l'affollamento sta diventando sempre di più ragione aggiuntiva di ritardo. Quanto al recupero di velocità c'è molto da fare, oggi siamo a una media di 35,5 km l'ora contro i 51,4 della Spagna, i 48,1 della Germania e i 46,6 della Francia. Negli anni scorsi ha preso piede la pratica dei bonus di compensazione, che ha raggiunto il culmine con la Caporetto della Trenord lo scorso dicembre. I disservizi prolungatisi per 7 giorni hanno portato alla riduzione del 25% del costo dell'abbonamento. Ma il bonus chi lo paga? Non certo i dirigenti che hanno causato l'inefficienza ma si scarica sulla fiscalità generale. Lo paghiamo tutti. «E comunque sono soldi sottratti alla manutenzione, alla pulizia, alla qualità del servizio e al rinnovo del materiale rotabile. Il bonus è stato un punto di mediazione tra la politica e i comitati pendolari, rischia però di essere l'alibi della deresponsabilizzazione tanto paga Pantalone» commenta Balotta.

E allora? Come si può incidere veramente e cambiare la vita dei milioni di pendolari giornalieri? Il professor Boitani prova a mettere in fila le priorità. «Cambiare le regole di circolazione soprattutto nei grandi nodi per velocizzare il traffico in sicurezza. Accelerare gli investimenti per ampliare la capacità dei nodi metropolitani. Introdurre le gare per l'affidamento dei servizi bus e treni per stimolare l'efficienza e ridurre i sussidi. Rendere più attrattivi gli hub del traffico pendolare trasformandoli in veri e propri centri di servizi». È una lista da libro dei sogni o può trovare ospitalità in qualche agenda di governo?

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